Coronavirus – Voci da un ospedale

Sul tema coronavirus abbiamo intervistato una nostra compagna che lavora come medico presso una grande struttura ospedaliera pubblica di Milano. Ecco cosa ci ha detto.

-In che struttura dell’ospedale pubblico lavori?
Reparti di degenza di un ospedale pubblico di Milano.

-Com’è stato l’impatto organizzativo dell’arrivo del virus in Italia?
Per quanto riguarda gli arrivi con traffico aereo evidentemente non efficace: la sospensione degli arrivi di voli dalla Cina ha fatto sì che passassero in sordina tutti gli arrivi dalle stesse zone che hanno fatto scalo in altri paesi. In questo modo non è stato, come in altri paesi in Europa, osservato il periodo di isolamento necessario per evitare che chi arrivasse da quelle zone diffondesse il virus. Proprio per questo non troviamo il o i “pazienti zero”, perché quando ce ne siamo accorti eravamo già alla seconda o terza generazione di contagi.
Per quanto riguarda il sistema sanitario i due centri di riferimento (Spallanzani e Sacco di Milano) sono sempre e in particolare in questo caso stati organizzati per affrontare l’eventuale arrivo del virus. Le altre strutture ospedaliere si sono dotate dei mezzi a disposizione (vedi tamponi per diagnosi) ma non hanno adottato misure preventive straordinarie se non nei casi sospetti (se non sbaglio a Milano circa un centinaio tutti risultati negativi sino a settimana scorsa). Per quanto riguarda la continuità assistenziale e l’assistenza primaria (guardia medica e medici di base) non sono invece state adottate misure preventive: non sono stati forniti un adeguato numero di presidi come le mascherine, non sono state fornite indicazioni di riferimento univoche e chiare sino a qualche giorno fa.

-Non pensi che si sia talmente gridato al lupo in questi due mesi che poi, quando il virus è arrivato la reazione isterica fosse inevitabile?
No, io non ho percepito questo. Forse perché in quanto medico ho sempre capito che non si trattava di un allarmismo ingiustificato o eccessivo. Si tratta di un virus nuovo e altamente contagioso e in quanto tale ho sempre compreso la reale minaccia che rappresentava per la salute pubblica.
La reazione insensata che molti hanno avuto penso sia dovuta in parte alla disinformazione (soprattutto diffusa attraverso canali social) e in parte a fenomeni antropologici molto complessi che non starei ad analizzare qui ora. Innanzitutto se vi fosse una corretta informazione scientifica la prima cosa che le persone avrebbero evitato di fare sarebbe stato proprio accalcarsi nei supermercati dove paradossalmente potrebbe essersi verificato il maggior numero di contagi. In secondo luogo non mi sembra sia stato paventato da nessuna fonte ufficiale un possibile embargo per cui quello che si è verificato è stato davvero frutto di una fobia collettiva totalmente infondata.

-Secondo te, al di là degli slogan e della retorica, la sanità italiana era pronta ad affrontare la prova?
ERA pronta: direi di sì. E lo ha, lo sta dimostrando. È o SAREBBE pronta in caso di reale epidemia: NO. Si tratta semplicemente di numeri. Dobbiamo evitare che il numero di contagiati cresca in un arco di tempo troppo breve, altrimenti la seppur piccola percentuale di pazienti (il 5% circa) che rischia di sviluppare forme gravi che necessitano di assistenza ospedaliera e/o rianimatoria sarà comunque troppo grande per essere assorbita dalla sanità italiana.
Non abbiamo un numero di posti letto sufficiente nelle nostre strutture ospedaliere per poter fronteggiare una tale ipotesi che, se si verificasse, potrebbe significare una crescita importante del tasso di mortalità legata al virus. Non si tratta di una manchevolezza, nessun paese in Europa potrebbe sostenere numericamente un sovraccarico tale di ricoveri ospedalieri. Questo è il motivo per il quale deve subentrare la politica e imporre regole e restrizioni che la maggior parte delle persone fa fatica ad accettare o comprendere, nonostante in fondo non sia poi così complesso capirlo.
E’ davvero pura matematica.

-Ci spieghi le gigantesche contraddizioni che tantissimi lavoratori hanno notato nella chiusura dei luoghi pubblici? Perché i bar sì e i ristoranti no? Perché ieri i bar sono stati riaperti? Perché la grande distribuzione possibile ed evidentissimo focolaio di contagio vista la quantità di persone che la attraversano non ha subito restrizioni?
Dunque, partendo dal presupposto che non ho partecipato alla stesura di tali decreti e che quindi non possa realmente motivarne le scelte posso solo portare alla luce dei dati che in parte riescano a giustificare alcune di queste misure. Innanzitutto la chiusura di cinema, teatri e musei è legata al fatto che queste sono le strutture dove la concentrazione di persone per mq è più elevata e dove per più tempo le persone respirano, tossiscono e starnutiscono nella stessa aria. E’ abbastanza intuitivo come 100 persone in una stessa sala di un cinema possano molto più probabilmente essere esposte al contagio rispetto a 200/300 persone sparse per i magazzini e i saloni espositivi di Ikea. Inoltre penso sia più facile lo scambio di particelle respiratorie, salivari, secretive tra persone che bevono, mangiano e parlano a distanza ravvicinata rispetto all’ipotetico scambio tra persone che si trovano in coda al supermercato o nelle corsie a riempire i carrelli.
Per quanto riguarda la differenza tra bar e ristoranti immagino che la stima fatta sia quella della densità di popolazione media all’interno di un pub dalle 18 (dove è più possibile un affollamento dopo l’orario lavorativo) rispetto ad un ristorante che ha un numero limitato di posti a sedere oltre i quali non può ospitare più clienti e che in quanto tali prevedono una maggior distanza tra le persone che difficilmente si accalcheranno. Detto ciò, non difendo questa scelta, a mio modo di vedere anche i ristoranti e la grande distribuzione sarebbero dovuti rientrare in questo decreto; magari a fasi alterne (sembra ridicolo ma almeno eviti un contagio contemporaneo collettivo e allo stesso tempo non barrichi un’intera città) e soprattutto basandosi su un rapporto mq-clienti non superando un certo numero e dando indicazioni riguardo all’areazione dei luoghi.

-Non pensi che dopo aver soffiato sul fuoco del panico la marcia indietro del mondo politico, primo fra tutti il governatore Fontana, sia indice di poca serietà?
Onestamente non ho visto soffiare sul fuoco da parte dei politici: se così è sembrato è stato per la traduzione che ne hanno fatto i media e i titoli di giornale, la selezione delle frasi più allarmanti e il silenziamento del resto dei discorsi. Ho ascoltato quasi tutte le conferenze stampa fatte dal governo e dal Ministro della Sanità da venerdì scorso: mi sembra si sia cercato sin dal principio di spiegare che la sanità italiana e lombarda fossero in grado di affrontare l’emergenza e che si trattava di osservare delle regole di comportamento atte ad evitare una rapida diffusione del virus, che le misure prese fossero atte anche a prendere il tempo necessario per meglio comprendere la situazione di fronte alla quale ci stiamo trovando: che tipo di ceppo fosse quello giunto in Italia, quanti e quali focolai già vi fossero e così via.
Se quello che è passato è stato il diffondersi del panico generale per alcuni e il minimizzare e sottovalutare per altri è perché non è semplice in ogni caso comprendere notizie di questo tipo anche in relazione alle decisioni di sospendere così tanti settori come quello dell’istruzione. In questo, ribadisco, penso che le maggiori testate giornalistiche italiane non abbiano contribuito positivamente.
Probabilmente adesso ci si accorge che l’impatto sull’economia è stato e sarà devastante e si è deciso quindi di invertire il tiro, soprattutto a livello mediatico ma anche a livello politico e questo sì, fa un po’ sorridere.

-Non pensi che da questa vicenda dovremmo uscire con chiaramente l’idea che bisogna puntare sulla sanità pubblica e investire molti fondi su di essa? Secondo te perché nessuno ne parla?
Penso da sempre che non solo bisognerebbe investire molti fondi sulla sanità pubblica ma bisognerebbe proprio uscire dal modello lombardo dell’ospedale-azienda che ha voluto Formigoni e con la quale è stata spianata la strada ai privati convenzionati che non solo si stanno arricchendo a dismisura ma lo fanno gravando sulle strutture pubbliche. Non ne parla nessuno perché non è evidentemente questo l’interesse della classe politica attuale.

-Cosa pensi di un eventuale divieto di manifestazioni politiche tipo l’8 marzo e del consiglio di evitare gli scioperi fino al 31 a fronte della progressiva riapertura dei luoghi pubblici?
Penso che anche chi organizza manifestazioni politiche e sindacali debba avere a cuore la salute pubblica e quindi il non voler rappresentare fonte di situazioni a rischio dal punto di vista del contagio. Non si tratta di creare uno stato permanente di annullamento delle mobilitazioni, si tratta di un arco di tempo molto limitato e molto delicato. Questo va compreso bene.
Non penso che il mondo politico in questo momento voglia sfruttare lo stato di emergenza per vietare manifestazioni politiche se queste non dovessero essere svolte in luoghi chiusi e quindi essere proprio quei tipi di assembramenti che vanno evitati. Se così dovesse essere ovviamente non condividerei la scelta.

-Non pensi che i social abbiano avuto un ruolo fondamentale nel dilagare della paura?
Assolutamente sì. Piattaforme dove il parere di un esperto o di chi ha studiato per anni l’argomento di cui si sta parlando, vale tanto quanto quello di una persona che esprime il proprio parere dopo aver letto due articoli magari da fonti neanche attendibili. Sui social vale tutto. E quindi anche e soprattutto le paure collettive immotivate possono dilagare senza limiti.

-Possiamo dire che il coronavirus non è come peste, vaiolo ed ebola?
Sì certo, nessun medico si è mai sognato di paragonarli in quanto la mortalità è completamente differente. Ma preciso: il coronavirus non è un’influenza! Non siamo tutti impazziti e dall’oggi al domani abbiamo pensato di stravolgere il mondo mistificando un’influenza per un’epidemia globale. Il coronavirus può provocare una sindrome simil-influenzale: raffreddore, tosse, febbricola, può non provocare niente (l’individuo rimane asintomatico), oppure, nel 5% dei casi circa può scendere più in profondità nel sistema respiratorio e provocare una insufficienza respiratoria molto più grave. Ed essendo anche molto più contagioso rispetto alla normale influenza (e forse nemmeno stagionale come la normale influenza) è molto più pericoloso.
In più è un virus nuovo, non esiste ancora un vaccino e non possiamo conoscerne tutte le peculiarità. Quindi no, niente ebola ma neanche influenza.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *