Il coronavirus e la società che verrà

Comunque vada, la vicenda del coronavirus non lascerà le cose immutate. Condizionerà la percezione delle cose e delle priorità da parte delle persone e produrrà conseguenze sul piano sociale, economico, culturale e politico. Questa è una delle poche certezze in questi giorni caotici, pieni di legittime paure e di psicosi più o meno indotte.

Difficile prevedere oggi cosa e come cambierà, anche perché siamo solo agli inizi e ognuno e ognuna di noi sta ancora cercando di metabolizzare la nuova situazione. Eppure, siamo costretti a ragionarci sin d’ora, perché in fin dei conti il nostro futuro non lo scriverà il virus, ma noi stessi, cioè le persone e le forze sociali, politiche e istituzionali in campo.

Ma prima di procedere va fatta una premessa, anzi due, per trasparenza nei confronti di chi legge.

Primo, non faccio il virologo e nemmeno il medico generico e penso che non sia molto furbo pensare di saperne più di loro. Credo, invece, sia molto utile ascoltare quello che ci dicono su come comportarsi, su come funziona il virus, sulla sua letalità e sulla sua aggressività. E su quello che dicono non ci sono molti dubbi, visto che, al netto di qualche protagonismo di troppo, si tratta sempre della medesima cosa, dalla Cina all’Italia: non siamo di fronte alla peste, ma nemmeno alla solita influenza stagionale. Quindi, niente panico, ma non facciamo neanche i pirla.

Secondo, io sto a Milano, zona gialla, e quindi vivo sulla pelle tutte le contraddizioni di questa fase inziale, a partire dall’incoerenza comunicativa, per usare un eufemismo, delle istituzioni, regionali e nazionali. Insomma, posso andare al super, prendere i mezzi e andare al lavoro in un palazzo dove normalmente ci sono oltre 2.000 persone (ora un po’ di meno tra ferie, smart working e qualche collega bloccato in zona rossa) provenienti da tutta la Lombardia, ma non posso andare al cinema e in palestra, fare un presidio o un corteo e fino a mercoledì sera non poteva neanche andare al bar dopo le 18 (ora sì, ma solo se mi siedo). Certo, nessuno è cretino e tutti capiamo che va trovata una mediazione tra prevenzione sanitaria e funzionamento della città e che questo non è facile, ma la continua oscillazione tra annunci allarmistici e proclami stile “ma è poco più un’influenza” è indubbiamente indice di una classe dirigente che naviga a vista e di cui la vicenda del presidente lombardo, Fontana, è più che paradigmatica.

Detto questo, per ricordarci che stiamo ragionando a caldo, dobbiamo però mettere i piedi nel piatto dei possibili scenari futuri e del nostro che fare, senza cedere alla facile e poco edificante tentazione di prendere un qualche nostro schema conosciuto e applicarlo alla situazione attuale. Invece, mi pare più utile, oggi e qui, partire dall’individuazione di alcuni temi e contraddizioni che senz’altro contribuiranno a disegnare gli scenari futuri.

 

Libertà e sicurezza: lo Stato autoritario

L’istituzione di zone rosse, che limitano sostanzialmente la libertà di movimento dei cittadini, e di zone gialle, dove viene imposto non solo la chiusura temporanea di alcuni luoghi, ma anche il divieto di assemblee e manifestazioni, è un fatto inedito nella storia repubblicana e avviene oggi con un largo consenso sociale. Difficile pensare che tutto questo non lasci il segno.

Diversi interventi di questi primi giorni hanno, infatti, proposto di riflettere a partire dal concetto di stato d’eccezione, la cui legittimità uscirebbe rafforzata dalla gestione di questa emergenza. Ritengo che quelle letture siano utili e condivisibili, nella misura in cui colgono un nodo centrale, cioè il potenziale rafforzamento di una tendenza in atto da anni, non solo in Italia, dal punto di vista delle persone (la famosa “richiesta di sicurezza”, anche a scapito delle libertà e dei diritti) e delle istituzioni (uno Stato più autoritario e meno sociale, nel quadro di una crescente disuguaglianza sociale). Andrebbe aggiunto, integrando lo scenario cinese nella nostra analisi, che questa emergenza è anche uno straordinario laboratorio per le strategie di controllo per mezzo dell’intelligenza artificiale.

Tuttavia, se lo stato d’eccezione dovesse rimanere l’unico strumento d’analisi, ne conseguirebbe inevitabilmente una lettura monca e distorta dell’attuale situazione, con l’annesso rischio di scivolare sul terreno del complottismo e della negazione del rischio sanitario.

Rapporto uomo-natura: la questione ambientale

Cambiamenti climatici, crisi ambientale, Friday For Future, inquinamento, biodiversità, sostenibilità ecc. Fino all’arrivo del coronavirus i temi ambientali venivano citati sempre e comunque, a proposito o a sproposito. Ora, invece, stupisce la loro assenza, se non sotto forma di lamento, tipo “i cambiamenti climatici uccidono più persone del coronavirus, ma voi parlate solo di quello”.

Sars, Mers, Ebola e coronavirus sono tutti virus che hanno fatto il “salto della specie”, passando da un animale all’uomo, magari attraverso un ospite intermedio. La novità di questi anni non è il salto della specie, che è sempre esistito e sempre esisterà, ma la frequenza con la quale si verifica questo fenomeno, normalmente molto molto improbabile. Ma qui entra il campo il fattore umano, cioè i processi di antropizzazione, la crescente pressione sull’ambiente e la rottura della sostenibilità.

Già, il mercato di Wuhan, dove in uno spazio ristretto e in condizioni di promiscuità, si trovavano un gran numero di umani, animali da allevamento e animali selvatici. È stato questo contesto a far sì che un evento estremamente improbabile diventasse probabile. Non a caso, infatti, pochi giorni fa la Cina ha proibito il commercio e il consumo di animali selvatici.

Secondo gli scienziati russi, in un futuro non troppo lontano altri virus o batteri, ormai sconosciuti al nostro organismo, potrebbero liberarsi a causa dello scioglimento del permafrost, provocato dal riscaldamento globale. Insomma, dal salto di specie al salto del tempo.

In altre parole, noi umani, i nostri modelli di sviluppo e il nostro rapporto con l’ambiente e gli altri esseri viventi c’entrano, eccome. Forse varrebbe la pena ragionarci con più sistematicità.

Globalizzazione e sovranismo

Il virus non rispetta le frontiere e si propaga veloce in un mondo sempre più piccolo, perché ormai siamo in 7,7 miliardi e ci spostiamo come mai nella storia. E così, scopriamo che quello che succede nel mercato di Wuhan ci tocca quanto quello che succede al mercato rionale.

Scopriamo anche un’altra cosa: non siamo più noi a inneggiare alla chiusura delle frontiere perché abbiamo paura dell’invasore, ma ora sono gli altri che ci chiudono le frontiere in faccia perché siamo noi a fare paura.

La paura di un mondo senza frontiere, dove paghi le conseguenze di un fatto avvenuto dall’altra parte del mondo, e la paura delle frontiere che si innalzano attorno a te. Due paure contraddittorie, che possono produrre reazioni opposte, oggi difficilmente prevedibili, ma che comunque non lasceranno le cose uguali a prima. Per questo è importante affrontarla subito, per non lasciare tutto il campo del dibattito a chi vende il prodotto della paura, dei muri e dei mille confini.

Pubblico e privato

Pochi se ne sono accorti o ci hanno ragionato. Siamo in piena emergenza sanitaria, ma qualcuno di voi ha visto la sanità privata? Beninteso, è ovvio che in una situazione del genere sia il pubblico ad essere al comando, ma l’assenza e il silenzio della sanità privata è assordante e contrasta radicalmente con il protagonismo normalmente esibito, quando si tratta di rastrellare risorse pubbliche e fette di mercato sanitario.

Se c’è una cosa che ci insegna la vicenda del coronavirus, in Italia e nel resto del mondo, è che un sistema pubblico serio e funzionante è la conditio sine qua non per poter affrontare eventi di questo tipo e garantire la salute di ognuno e ognuna di noi.

La funzione del pubblico e i limiti del privato è un tema che ha riacquistato un po’ di dignità negli ultimi tempi, ma l’attuale esperienza può essere utile per fare un altro passo avanti.

Sono solo alcune riflessioni a caldo, perché molto succederà ancora. Ma il futuro è già iniziato e quindi dobbiamo organizzare e condividere la nostra discussione, ora. Per non trovarci impreparati, disarmati o con in mano solo vecchi arnesi quando arriverà il giorno dopo.

Luciano Muhlbauer

Milano, 27 febbraio 2020

 

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