“Se mi fermi ti uccido” – i milanesi e lo sciopero ATM.

C’è qualcosa di inquietante, una strana sensazione che si prova leggendo le notizie e vedendo le immagini sul caos e le polemiche esplose insieme allo sciopero nazionale dei trasporti urbani (ATM a Milano) di ieri, 2 ottobre 2012.

La Milano che corre, già da anni, accoglie con fastidio e insofferenza questi scioperi, ormai diventati molto frequenti, complici la crisi economica e occupazionale e le politiche del lavoro sempre più spietate nei confronti dei contratti e dei lavoratori delle aziende.

 La problematica alla base dello sciopero di ieri è quella, annosa, del mancato rinnovo dei contratti del 2007: poco altro si è effettivamente saputo sulle motivazioni di questi scioperi, che vanno avanti da anni (sempre più duramente), facendo intendere l’inasprimento di un braccio di ferro serrato tra governo, sindacati e aziende. Purtroppo non è dato, ai comuni cittadini, sapere nulla sui contenuti della protesta: basti sapere che ci saranno disagi, e tanti.

 Gli effetti di questa disinformazione sono stati evidenti e sotto gli occhi di tutti quando 8 persone sono finite in ospedale, personale dell’ATM è stato quasi linciato, e innumerevoli persone si sono accanite, arrabbiate e sfogate con rabbia le une contro le altre.

 Non posso fare a meno di fare una riflessione sulla psicologia dei miei concittadini.

Vengo da anni in paesi nei quali i disguidi, le perdite di tempo, le difficoltà del quotidiano sono all’ordine del giorno. Così come anche le sorprese. A volte è fastidioso, certamente, difficile e frustrante: ma non posso fare a meno di pensare che imparare, psicologicamente e materialmente, a gestire i disguidi, accettare gli intoppi e gestire le problematiche che si incontrano possa essere una risorsa. Che passa, inevitabilmente, dal gestire la propria rabbia.

 Nelle scene incredibili di ieri, di assalti ai cancelli, colletti bianchi gettati a terra per passare sotto le inferiate, eleganti signore che spingevano, gridavano e insultavano (come se si potesse, in questo modo, fermare uno sciopero nazionale), non ho potuto fare a meno di leggere e percepire incapacità. Incapacità a gestire l’imprevisto. Incapacità a gestire le possibili, umane, naturali variazioni, indipendenti dalla propria volontà, della quotidianità prestabilita. Gli orari, la fretta. Milano è malata. Non ho potuto fare a meno di pensarlo.

 Ci aspetta un autunno duro. Ci aspettano anni di scontento, di disagi. La strada probabile è quella della Grecia, della Spagna e del Portogallo. Il nostro è un futuro fatto di servizi che non funzioneranno più, di lavoro che mancherà, di soldi che non basteranno e di disservizi in tutto il settore pubblico, già gravemente e duramente piegato dalle scelte politiche e dai colpi della crisi.

 La rabbia dei pendolari, dei cittadini, dei lavoratori inferociti contro l’ATM non è altro che una misera lotta tra poveri, incapacità di prepararsi e gestire quello che ci aspetta, e soprattutto, mancanza di volontà nel ridurre i danni di un evento, facendone invece, esplodere le conseguenze negative, l’odio, l’individualismo.

 Seppur io stessa sia a volte in difficoltà per gli eventi che capitano, ringrazio la vita che ho fatto fino ad adesso che mi ha insegnato a non impazzire se le lancette dell’orologio di inceppano momentaneamente, se ciò che mi aspetto o programmo viene deluso, se a volte, semplicemente, alcuni eventi non dipendono da me.

 Essere colti da un imprevisto è un po’ essere nudi: ci spinge a tirare fuori, per forza, le nostre risorse più profonde.

 Seppur sia difficile, i milanesi e gli italiani dovranno presto iniziare a capirlo.

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