Condanne in primo grado al processo Robin Hood: criminalizzata la lotta per la casa

Ieri mattina il Tribunale di Milano ha emesso la sentenza in primo grado del processo dall’altisonante nome “Domus libera”, poi ribattezzato da stampa e solidali “Robin hood”. Nei fatti si tratta di un feroce attacco repressivo, svolto nello specifico dai Carabinieri, contro l’organizzazione dal basso e la solidarietà al bisogno abitativo a cui il Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio aveva dato espressione.

Nel quartiere si era sviluppata un’importante esperienza di resistenza alle logiche di gentrificazione che nell’anno di Expo2015 ebbero ulteriore vigore. A un’ondata di sgomberi di case popolari erano seguiti diversi episodi di resistenza, che furono d’esempio per altri quartieri dando slancio alla nascita di una rete di comitati di lotta per la casa. La prepotente repressione che seguì tra gli anni 2018 e 2019 ha lasciato poco di quelle esperienze e i quartieri appaiono ora abbandonati ad un degrado sempre più desolante. La Base di solidarietà popolare dove si svolgevano doposcuola e attività aggregative è sigillata, i palazzi destinati alla demolizione sono stati sgomberati dalle ultime famiglie di occupanti, senza alcun contatto con i servizi sociali che in alcuni casi avevano in carico dei nuclei.

Il 13 dicembre 2018 scattava l’operazione di Polizia che metteva agli arresti domiciliari 9 attivistx, con la gravissima e degradante accusa di associazione a delinquere. Similmente a Cosenza nello stesso giorno altri 5 attivisti ricevevano queste accuse.

Il primo grado del processo si è concluso con una sentenza che ha raddoppiato le pene rispetto a quanto chiesto dalla stessa accusa: Un compagno è stato condannato a 5 anni e 5 mesi, un secondo a 4 anni e 3 mesi. Le altre condanne: 3 anni e 7 mesi, 3 anni e 6 mesi, 3 anni e 4 mesi, 3 anni e 3 mesi, 3 anni, 2 anni e 1 anno e 7 mesi.

Al momento della lettura della pesante sentenza i solidali presenti in aula hanno protestato con urla e slogan e la Digos ha proceduto con l’identificazione di quattro compagne e compagni.

Questo tentativo di delegittimare una lotta negandogli la dignità politica, equiparandolo ad un reato comune si era già verificato a Firenze nel 2011 contro lo “Spazio Liberato 400 colpi” in un’indagine che coinvolgeva 78 persone. Ma è particolarmente preoccupante il sempre più frequente tentativo da parte delle Questure di usare questo tipo di accusa per criminalizzare le lotte sociali.

Ad ottobre è iniziato il processo contro 28 attivistx del Centro Sociale Askatasuna che vede lo stato costituito parte civile per i danni che vari agenti di Polizia avrebbero subito dai loro stessi lacrimogeni sparati per sedare delle proteste, e numerosi altri reati legati a lotte sociali. Mentre è di settembre la revoca degli arresti domiciliari per 6 sindacalisti SI-Cobas da parte del Tribunale del Riesame di Bologna che ha distinto “reato-mezzo” e “reato-fine”, cioè atti che purché illegali hanno come fine il conseguimento di rivendicazioni lecite, facendo cadere il teorema della Procura di Piacenza. Ma il processo deve ancora iniziare e la fase politica profondamente reazionaria in cui ci siamo arenati rende tutto più complicato. Se questo principio legislativo sarà sdoganato potrebbe diventare una prassi attaccare ogni movimento sociale come semplice e mera criminalità.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *