Addio al lavoro penitenziario: il ddl stabilità taglia i fondi per rifinanziare la Legge Smuraglia

LAVORO IN CARCERE – Nel primo semestre 2012 a lavorare sono stati 13.278 detenuti, ossia meno del 20% del totale dei reclusi e comunque una cifra assai inferiore rispetto al numero dei condannati (che al 30 giugno erano 38.771) ai quali l’amministrazione ha l’obbligo di garantire un’occupazione retribuita in base all’art. 20 dell’Ordinamento penitenziario. Si tratta della percentuale più bassa dal 1991.tempi
Questo calo è conseguenza dei drastici tagli del budget previsto nel bilancio del Dipartimento per le mercedi dei detenuti che negli ultimi anni si è ridotto del 71%: si è passati dagli 11milioni di euro del 2010, ai 9.336.355,00 euro del 2011 ai 3.168.177 euro dell’anno in corso.

A Regina Coeli (foto) alla fine di giugno 2012 i detenuti erano circa 1.000 e i detenuti lavaranti erano solo 156 e tutti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (146 servizi d’istituto, 2 manutenzione fabbricati, 2 art. 21).

Alcuni semplici dati presi dal rapporto antigone 2012.

Qui il video di www.insidecarceri.com sul lavoro dietro le sbarre http://vimeo.com/53551394

da Ristretti Orizzonti www.ristretti.org

Scippati nel Decreto Stabilità i fondi (esigui) per rifinanziare la Legge Smuraglia sul lavoro penitenziario. Il grande Benigni può declamare articoli della Carta costituzionale finché vuole: da oggi però “la più bella del mondo” ha un articolo in meno. Anche se non molti se ne accorgeranno, perché è un articolo che non ha mai goduto di grandi fortune…

In queste ore si è decretata la morte dell’articolo 27 della Costituzione Italiana. O perlomeno del suo terzo comma. Ricordate? Quello che recita – poche parole, sintesi di grande umanità e di una grande civiltà del diritto – “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Bene, questa rieducazione è destinata a rimanere lì, sulla carta. Costituzionale, ma pur sempre carta.

Mentre le carceri vanno a rotoli (ma è la dignità del nostro Paese che va a rotoli), mentre il sovraffollamento permane inesorabile, mentre si incrementa la fila di chi abbraccia Marco Pannella sotto gli obiettivi dei fotografi e con tanta umana partecipazione, di nascosto, in tutta fretta e all’ultimo minuto, al di là dei proclami di facciata, a prevalere sono gli interessi personali e i calcoli elettorali.

I pochissimi euro previsti nel decreto stabilità per rifinanziare la Legge Smuraglia, riguardante il lavoro penitenziario, vengono letteralmente scippati. Pochi soldi, vale la pena ricordare, che servirebbero a porre un argine allo scandalo e a una spesa – questa sì – senza fondo, determinata da un semplice prodotto: 67mila detenuti per una spesa complessiva pro capite al giorno di 250 euro.

Lasciamo il compito a chi leggerà questo comunicato di fare in proprio la moltiplicazione. Noi ricordiamo solo due cose: che il prodotto, calcolato su 365 giorni all’anno, dà un risultato di dieci cifre, e che il lavoro penitenziario è il principale presidio medico che argina questa emorragia mortale. Emorragia non solo per il senso di umanità, ma quanto meno per le casse dello Stato.

Ci diranno che non è l’unica voce sacrificata e che ci sono tanti problemi più importanti fuori dal carcere. Ma rimane veramente difficile capire il perché di un simile taglio. Ormai anche i bambini sanno che investire in rieducazione e recupero dei detenuti fa risparmiare una valanga di soldi e porta sicurezza sociale. Rubare è un termine appropriato al mondo del carcere, chi ruba è normalmente definito un ladro. Chi ha scelto di non rifinanziare la legge Smuraglia ha rubato qualcosa. Ma non ai detenuti: a tutti noi.

 

 

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