[DallaRete] Gaza senza luce scende in piazza
Contestazioni popolari contro la mancanza di energia elettrica. Gli abitanti dell’enclave palestinese puntano il dito contro l’embargo israeliano e la corruzione e l’incapacità della classe dirigente.
Roma, 19 settembre 2015, Nena News – Crescono il disagio e le manifestazioni popolari di dissenso all’interno della Striscia di Gaza a causa delle costanti e prolungate interruzioni di energia elettrica: una condizione di sofferenza che ha spinto centinaia di persone a scendere in piazza per tre giorni consecutivi in protesta contro una crisi energetica aggravata dalle divisioni politiche. Contestazioni che evidenziano la crescente insoddisfazione della popolazione verso la propria classe dirigente.
La situazione è degenerata la settimana scorsa, quando due linee elettriche, di cui una a Jabalia (Striscia di Gaza settentrionale) ed un’altra nell’area centrale, sono state sconnesse per problemi tecnici. Inoltre, fonti locali hanno riportato che la principale linea elettrica dalla rete egiziana è stata interrotta per quattro giorni. Guasti che hanno permesso un rifornimento di energia sufficiente a coprire solo il 30% dei bisogni della popolazione, considerando che l’energia proveniente dall’Egitto, dalla rete israeliana e dall’unica stazione elettrica di Gaza non copre i bisogni dell’intero territorio della Striscia. In questa situazione di emergenza, la maggior parte dei palestinesi di Gaza vive con quattro o sei ore di elettricità al giorno poiché non c’è carburante sufficiente affiché la centrale elettrica di Gaza possa operare. Lo scorso venerdi, il presidente dell’ associazione dei proprietari della stazione di gas della Striscia di Gaza aveva avvertito di un rallentamento dei rifornimenti di carburante a causa di una carenza di importazione dal valico israeliano di Kerem Shalom.
Nel corso delle manifestazioni di questi giorni, i residenti hanno protestato contro l’assedio imposto da Israele dal 2007, contro l’Autorità Palestinese, accusata di mancanza di serietà nel trattare i problemi dentro la piccola enclave, ma anche contro la compagnia elettrica di Gaza ed il modo di trattare la crisi energetica e sociale da parte di Hamas. Quella dell’impatto del conflitto interno è inoltre una storia che va avanti da tempo. La gente sta protestando contro Hamas a causa della corruzione nel settore energetico e la cattiva gestione dell’emergenza, a causa del deterioramento della situazione socioeconomica perché Hamas non è stato in grado di gestire questioni importanti come la disoccupazione, la povertà, la crisi edilizia. La protesta popolare, iniziata nella città di Rafah, si è poi estesa in tutte le città e villaggi della Striscia.
Non sono mancati disordini e tensioni. Secondo quanto riportato dal Palestinian Center for Human Rights (il Centro Palestinese per i Diritti Umani), la polizia palestinese avrebbe disperso le manifestazioni pacifiche, usato violenza ed arrestato dei partecipanti alle proteste, impedito ai giornalisti di coprire le contestazioni. In un comunicato stampa il PCHR ha riportato che, la sera del 12 settembre, ufficiali della sicurezza palestinese avrebbero impedito a centinaia di residenti indignati di raggiungere l’ufficio della Compagnia di distribuzione dell’energia elettrica di Gaza, nei pressi della piazza al-Shuhada a Rafah, avrebbero inoltre impedito ad un gruppo di giornalisti di coprire la protesta e li avrebbero privati della loro attrezzatura, compreso macchine fotografiche e memorie. Il giorno successivo, diverse proteste popolari sono state organizzate non solo a Rafah ma anche in altre zone della Striscia, come nel campo rifugiati di al-Maghazi, nel campo rifugiati di Nusairat e in Beit Lahia, nella zona settentrionale. Anche in questo caso, la polizia e la sicurezza palestinese avrebbero disperso le proteste. Domenica sera, ha riportato il PCHR, decine di giovani avrebbero lanciato pietre e bottiglie vuote contro un’auto delle brigate al-Qassam, ala armata di Hamas, mentre stava passando nella manifestazione organizzata a Rafah. La protesta è stata dispersa, un manifestante sarebbe stato colpito violentemente ed arrestato insieme ad un altro residente che era intervenuto in sua protezione.
Il portavoce del ministro degli Interni palestinese ha tuttavia negato quanto scritto nel rapporto del centro per i diritti umani, riferendo che “I fatti sul campo sono contrari a quanto affermato nel comunicato del Palestinian Center for Human Rights”. Secondo il portavoce, la polizia avrebbe permesso ai movimenti popolari di esprimere pacificamente le loro richieste, avrebbe avuto un comportamento moderato fino al termine delle manifestazioni ed ha aggiunto che alcuni interventi duri siano serviti al fine di impedire il danneggiamento di proprietà pubbliche e private.
Lunedì, durante il terzo giorno di proteste, manifestanti a Rafah avrebbero chiesto le dimissioni del Primo Ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah. Allo stesso tempo, residenti dei campi rifugiati di al Bureij e Nuseirat avrebbero manifestato ed incendiato pneumatici in una contestazione tenuta di fronte all’unica stazione di energia elettrica palestinese. Hamas, come riportato dall’agenzia Ma’an, ha riferito che manifestanti avrebbero bruciato fotografie del presidente palestinese Mahmoud Abbas, prima che la polizia disperdesse la protesta. Ufficiali locali di Fatah successivamentesi si sono dichiarati sorpresi da tale gesto ed hanno accusato membri delle brigate al-Qassam di aver bruciato le foto.
L’autorità per l’energia di Gaza condanna le tasse imposte dall’Autorità Palestinese. L’impossibilità di coprire questi costi ha costretto quest’anno la centrale elettrica a chiudere per oltre un mese. Una crisi che ha portato la maggior parte degli ospedali ad annunciare una chiusura per diverse ore al giorno a causa della mancanza di energia elettrica, come confermato dal direttore dell’ospedale Al Wafa in un comunicato in cui ha denunciato che in queste condizioni non tutte le unità ospedaliere sono in grado di operare.
Da parte sua, riportano media locali, Rami Hamdallah ha rifiutato ogni accusa affermando che il governo nazionale “sta facendo tutto il possibile per la popolazione di Gaza”, ribadendo la necessità delle tasse per far fronte al costo del carburante e rivelando che si sta lavorando per creare un gasdotto affinché il governo sia in grado di fornire gas alla centrale elettrica della Striscia di Gaza invece di acquistare combustibile industriale il cui prezzo è superiore a quello del gas.
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, espressione della sinistra palestinese, ha invece denunciato che la crisi energetica sia una crisi politica causata dal battibecco tra le parti, segnalando una cattiva gestione della compagnia elettrica. La divisione politica ha impedito l’attenuazione della crisi, così come la mancanza di coordinamento con le autorità egiziane in tema di energia elettrica. Il Fronte ha chiesto quindi la formazione di un comitato nazionale che esamini le responsabilità della crisi energetica e fornisca alternative per risolverla seriamente, invitando ad una corretta riscossione delle tasse, ad una razionalizzazione dei consumi energetici, a rafforzare la fiducia del cittadino attraverso una gestione trasparente della compagnia e non tralasciando la responsabilità morale e legale dell’occupazione militare israeliana. Da parte sua, Hamas ha confermato in una dichiarazione l’iniziativa di formare con altre fazioni un comitato nazionale che esamini la questione dell’elettricità.
Secondo il quotidiano israeliano Yediot Ahronoth, Israele pare stia considerando la proposta del Qatar di collegare la stazione elettrica della Striscia di Gaza con un gasdotto per il trasporto di gas naturale da Israele al fine di attenuare la crisi. Doha si impegnerebbe a finanziarne la costruzione, mentre l’Autorità Palestinese si assumerebbe i costi del trasporto del gas anche attraverso fondi privati, lo stesso progetto a cui ha accennato Rami Hamdallah.
Intanto, negli ultimi due giorni le autorità israeliane hanno riaperto il valico di Kerem Shalom dopo una chiusura di cinque giorni a causa delle festività ebraiche permettendo il trasferimento di maggior quantità di carburante per la centrale elettrica di Gaza, al fine di consentire un ritorno alla distribuzione di energia elettrica per almeno 8 ore quotidiane.
Nel mese di luglio, l’ OCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, aveva pubblicato un rapporto sull’impatto umanitario della crisi energetica a Gaza, confermando che a fronte di una richiesta di energia elettrica stimata intorno ai 470 megawatts (MW), questa verrebbe coperta solo per il 45%. A causa della mancanza di carburante, dal luglio 2013 la centrale elettrica di Gaza ha operato a circa metà o al di sotto della propria capacità. Oltre che dalla stazione elettrica, Gaza dipende dall’acquisto di elettricità da Israele (120 MW) ed Egitto (28 MW), specifica il rapporto. La carenza cronica di elettricità che ha colpito Gaza negli ultimi nove anni ha interrotto i servizi essenziali e indebolito le già fragili condizioni di vita e di sostentamento. Una situazione deteriorata dal giugno 2013, a seguito della interruzione dell’arrivo di carburante egiziano attraverso i tunnel sotterranei dall’Egitto poi distrutti dalle forze militari di Al Sisi.
L’ufficio dell’Onu denuncia che più fattori hanno compromesso negli anni il funzionamento della centrale elettrica, tra questi il costante conflitto tra le Autorità palestinesi di Ramallah e di Gaza sul finanziamento del carburante, la riscossione limitata delle bollette dai consumatori, molti dei quali non in grado di pagarle, la distruzione di serbatoi di carburante a seguito di un attacco israeliano durante l’ultima offensiva militare nel luglio 2014, infine le restrizioni sull’importazione di attrezzature, materiali, carburante nel contesto del blocco israeliano. La crisi ha sferrato al settore sanitario un duro colpo, provocando un mal funzionamento delle apparecchiature mediche, compreso per ecografie e radiografie, monitor cardiaci, apparecchi per la sterilizzazione, incubatrici. Per dare priorità agli interventi chirurgici di emergenza, gli ospedali hanno dovuto posporre altri tipi di operazioni il cui rinvio può comunque avere conseguenze negative sui pazienti affetti. Inoltre, la crisi ambientale resta dietro l’angolo.
Il rapporto ha denunciato che il rifornimento insufficiente di energia elettrica e di carburante per il funzionamento di pompe di acqua e pozzi ha causato una ulteriore riduzione nella disponibilità di acqua corrente in molte abitazioni. Gli impianti per la gestione delle acque reflue hanno ridotto i cicli di trattamento, aumentando il livello di inquinamento di acque di scarico parzialmente trattate e scaricate a mare, mentre resta il rischio di fuoriuscita delle acque nelle strade. L’Ufficio delle UN ha infine ribadito che una serie di soluzioni a lungo o medio termine sono state proposte ma tutte le opzioni restano sospese a causa di motivi politici.
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