[DallaRete] Israele: Rompono il silenzio
Presentato ieri il rapporto della ong Breaking the Silence. Decine di testimonianze di soldati e ufficiali descrivono la violazione sistematica del diritto umanitario e delle leggi internazionali da parte delle forze armate israeliane durante l’offensiva Margine Protettivo contro Gaza.
Gerusalemme, 5 Maggio 2015, Nena News – Yehuda Shaul è indignato. Si affanna a denunciare le violazioni del diritto umanitario e delle convenzioni internazionali il fondatore di Breaking the Silence, l’ong israeliana che, grazie alle testimonianze di soldati e ufficiali disposti a “rompere il silenzio”, squarcia il velo delle motivazioni ufficiali delle operazioni militari contro Gaza e nel resto dei Territori palestinesi occupati.
«Un tempo nelle forze armate (israeliane)», ci dice Shaul, ha poco più di 30 anni ma ne dimostra tanti di più, «quando ti spiegavano le regole d’ingaggio, ti dicevano che un uomo armato è diverso da un civile. Ora non più. L’ultima operazione contro Gaza, Margine Protettivo, dice che quella distinzione non viene più fatta. A Gaza c’è stato un fuoco indiscriminato contro tutto e tutti, in qualsiasi circostanza, anche senza pericoli o rischi per i soldati».
Ieri Yehuda Shaul e Yuli Novak, la presidente di Breaking di Silence, hanno presentato l’ultimo rapporto dell’ong – “This is How We Fought in Gaza” – che contiene oltre 60 testimonianze di militari, tra i quali diversi ufficiali, protagonisti di Margine Protettivo, e denuncia la violazione sistematica delle leggi internazionali a tutela dei civili durante la guerra. «Raccogliendo quelle testimonianze abbiamo compreso perchè a Gaza siano rimasti uccisi oltre 2 mila palestinesi, tra i quali così tanti civili, e perchè siano state causate distruzioni così immense», dice Shaul.
Dalle testimonianze emerge che il principio che ha guidato tutta Margine Protettivo è stato quello del rischio minimo per le forze israeliane, anche a costo di colpire civili innocenti. Nei loro resoconti, i soldati – tutti coperti dall’anonimato – hanno descritto le regole di ingaggio come permissive, addirittura non esistenti, dal momento che di fatto stabilivano che «chiunque fosse stato trovato in una zona militare, o che i militari avevano occupato, non era un civile», ha raccontato un soldato. Un altro militare ha riferito che era dato per scontato che qualunque edificio palestinese venisse utilizzato dalle forze israeliane sarebbe poi stato distrutto dai bulldozer, senza alcun ragione.
«Fino alla fine dell’operazione non ci è mai stato detto quale fosse l’utilità operativa di radere al suolo le case», ha spiegato. Tra le tante testimonianze, alcune sono illuminanti. Tra queste ”Buon giorno, al-Bureij”. Un carrista ricorda che un comandante di una unità di mezzi corazzati gli ordinò di sparare contro il campo profughi e la cittadina di al Bureij, a sud di Gaza city. Quando lui chiese dove puntare il cannone gli fu risposto di scegliere l’edificio che preferiva: più a destra, più a sinistra, in alto o in basso. Poi è partito l’ordine di fuoco con le parole “Buon giorno, al-Bureij” e tutti i carri armati hanno sparato simultaneamente. Nessuno aveva minacciato le forse israeliane, ha precisato il militare.
Il fuoco indiscriminato sui centri abitati palestinesi denunciato da Breaking the Silence conferma i risultati dell’inchiesta resi pubblici a fine di aprile dalle Nazioni Unite che accusano Israele di aver colpito sette siti dell’Unrwa (l’agenzia che assiste i rifugiati palestinesi) utilizzati come rifugi per i civili durante “Margine Protettivo”, uccidendo 44 sfollati e ferendone 227. Tutto ciò nonostante la posizione delle strutture dell’Onu – comprese le scuole usate come rifugi – sia regolarmente comunicata all’esercito israeliano ed aggiornata in tempo di guerra.
Scorrendo il rapporto di Breaking the Silence, un altro militare israeliano racconta che il desiderio degli autisti dei carri armati era quello di schiacciare con i cingoli le automobili ai bordi delle strade. «Dopo aver distrutto interi quartieri – si domanda – che differenza faceva un’auto schiacciata in più?». Un tenente della Divisione Gaza da parte sua riporta che «a differenza di precedenti operazioni si poteva sentire che c’era un radicalizzazione nel modo in cui veniva condotta l’intera faccenda. Il discorso era estremamente di destra. Un militare aveva idee molto chiare sui nemici: gli arabi, Hamas…quelli coinvolti e quelli non coinvolti, e il gioco era fatto. Ma il fatto che siano stati descritti come coinvolti piuttosto che come civili e l’indifferenza nei confronti del numero in aumento di morti palestinesi…il livello di distruzione, il modo in cui le cellule militanti e le persone civili sono state considerate come obiettivi e non come esseri viventi, è qualcosa che mi turba. Il discorso era razzista. Il discorso era nazionalista».
Secondo le autorità militari il rapporto di Breaking the Silence sarebbe viziato da «tendenziosità di fondo» dovute a finalità politiche. Inoltre trovano fuori luogo che le testimonianze siano proposte in forma anonima. Per buona parte della stampa israeliana, la vera origine delle sofferenze della popolazione palestinese era Hamas che combatteva dall’interno di zone abitate. Il giornale Yediot Ahronot sostiene che delle oltre 2000 vittime palestinesi, mille erano miliziani del movimento islamico e di altri gruppi armati che agivano in zone affollate di civili. È una tesi ben nota: le forze armate israeliane hanno sparato, cannoneggiato, bombardato, colpito ovunque ma la colpa in ogni caso è solo dei palestinesi.
http://nena-news.it/israele-rompono-il-silenzio/
Tag:
break the silence gerusalemme israele Palestina