[DallaRete] L’anima nera della locomotiva d’Europa
Cos’è Pegida? Come nasce? Dopo le manifestazioni dell’estrema destra in Germania un viaggio all’interno del nazionalismo islamofobo che vuole far saltare l’Europa. Da destra.
Ovvio che accogliamo le persone che cercano di salvarsi (Angela Merkel discorso di fine anno 2014)
La “democratica” locomotiva d’Europa, la Repubblica Federale Tedesca, si è svegliata martedì 13 Gennaio meno sicura rispetto al proprio rapporto con un passato più volte sepolto, taciuto e ridotto a una parentesi tremenda della propria storia tra il 1933 e il 1945. Una nuova formazione di destra e di massa ha consolidato la propria presenza in una città importante come Dresda e ha fatto irruzione nel quadro europeo: i Pegida. Per la prima volta dal dopoguerra una forza marcatamente nazionalista e xenofoba non risulta più essere marginale, non può più essere presentata al “consesso democratico” europeo come il parente stupido e imbarazzante ma tutto sommato controllabile da parte degli ordoliberali tedeschi (atteggiamento che da Adenauer in poi ha sempre caratterizzato il conservatorismo cristiano tedesco). I PeGida tuttavia non possono essere letti come forza contemporanea senza una lettura sequenziale, senza cioè definire il quadro in cui nascono e il dibattito che li genera. Per questo è bene soffermarsi su un complessissimo concatenarsi di eventi che possono rendere possibile la loro lettura in controluce e la costruzione di un adeguato processo antagonista a una forza incredibilmente pericolosa.
Lo sdoganamento del razzismo e gli HoGeSa: l’apertura strumentale di un vaso di Pandora chiuso nel 1945
Lo Stato non può accogliere tutti i cittadini poveri europei (Markus Ferber, CSU partner di governo della CDU nel Novembre 2014)
Negli ultimi cinque anni i media conservatori e gran parte della governance politica tedesca hanno costruito le condizioni materiali per l’ascesa di una forza marcatamente xenofoba e razzista. Lo hanno fatto anche per rendere più solida e “dura” la posizione tedesca nel dibattito europeo; per poter cioè legittimare l’imposizione dei diktat economici nel quadro europeo. La ricerca di questo consenso alle misure di austerity imposte ad altri paesi tuttavia ha aperto il vaso di Pandora di sentimenti xenofobi e razzisti, presenti da sempre ma sempre controllati nell’area politica della CDU-CSU. La stampa e in particolare il gruppo Springer, da sempre opinion leader della destra tedesca, con i suoi tabloid, di cui il Bild è il più famoso (oltre al più letto in Germania), ha accompagnato volentieri una escalation reazionaria e ha dato grande visibilità alla radicalizzazione delle posizioni dei politici conservatori (titoli sensazionalistici ma anche pseudo-inchieste grottesche, come quelle sull’analisi psicologica degli attivisti dei movimenti sociali tedeschi o un’inchiesta sul fenomeno di presunte “polizie religiose” musulmane sul territorio tedesco).
La CSU bavarese (“cattolici democratici”), partner di governo della CDU di Merkel, ha costruito una vera e propria campagna politica contro bulgari e rumeni in quanto nuovi cittadini UE accusati di saccheggiare il sistema di welfare tedesco. Ovviamente nessun dato statistico dimostrava queste tesi (per esempio solo lo 0,8 % dei Bulgari presenti in Germania fa richiesta per il reddito minimo, Arbeitslosergeld II, contro il 10% degli italiani e il 14 % degli inglesi). Questa campagna sul “turismo sociale” ha permesso nel Novembre 2014 l’approvazione di una legge durissima sui disoccupati stranieri che cercano lavoro in Germania, ma ha anche, ed è il dato che preme sottolineare, costruito una “psicosi d’assedio”. La governance e l’area conservatrice del capitalismo tedesco storicamente avevano sempre incentivato l’arrivo dei lavoratori stranieri in Germania (i “Gastarbeiter”), ma a valle della crisi economica in Europa hanno avuto il bisogno di “selezionare” i migranti, puntando solo su cittadini con alta formazione. La campagna contro i “lavoratori non qualificati” si è trasformata in una battaglia razzista e ha costruito un primo tassello importante per il processo che porta ai Pegida a Dresda. Contemporaneamente e sempre nel quadro della crisi economica ci sono state moltissime pressioni per superare il trattato di Dublino che confina i rifugiati politici ai paesi di arrivo (in molti casi Spagna, Grecia e Italia) impedendo de facto una loro circolazione nei paesi UE; il movimento tedesco da Amburgo a Berlino ha costruito moltissime mobilitazioni su questo e lo slogan “Refugees Welcome” è diventato negli ultimi anni una delle parole d’ordine principali della sinistra tedesca. La reazione della governance è stata anche qui assolutamente smodata e cieca. Sempre la CSU bavarese ha aumentato i controlli al confine con l’Austria (per fermare i flussi provenienti dall’Italia) e ancora una volta la CDU (malgrado le proteste di diversi pastori protestanti) ha costruito anche su questo un elemento di fobia e paranoia sociale. In particolare nelle grandi città e nei territori dell’ex Germania Est il partito neonazista NPD ha provato a costruire consenso su questa paura. A Berlino per due anni quasi ogni settimana i neonazisti hanno provato (la reazione del movimento antifascista berlinese l’ha quasi sempre impedito) a organizzare nelle periferie di Berlino Est presidi di protesta contro la presenza di centri d’accoglienza. Presidi spesso finiti con diversi attivisti antifascisti arrestati e scontri con la polizia. A questo contesto mediatico e a questo dibattito interno nella politica tedesca bisogna aggiungere la nascita di una forza elettoralmente nuova che in pochissimo tempo si è imposta alle urne (passando in due anni dallo 0,4 al 6,8 %): Alternative Fuer Deutchland. Una forza nata da una scissione a destra dell’area di governo spiccatamente antieuropea che si è trasformata da rappresentante dei “falchi” ordoliberali tedeschi in una forza rappresentativa delle pulsioni “innominabili” della società tedesca. AfD spaventa il governo perché erode consenso al partito di Angela Merkel (che ribadisce invece spesso l’idea “classica” ordoliberale di “multiculturalismo nel capitalismo”) e riesce a estremizzare le proposte dell’area conservatrice, richiamandosi in alcuni casi a principi evidentemente nazionalsocialisti (“tedeschizzare l’Europa o i migranti che vivono in Germania”).
In definitiva queste sono le condizioni oggettive e di contesto in cui i media e la politica tedesca ha permesso, in modo consapevole o meno, di arrivare a Pegida, sebbene interessante e fondamentale è anche fare riferimento alla cronaca dello sviluppo di questo movimento. Cronaca che parte sempre e comunque da gruppi marginali che animavano le periferie e le curve degli stadi tedeschi. Partendo cioè dagli Hogesa.
Gli HogeSa
Vogliamo solo preservare i nostri costumi e le nostre tradizioni, i nostri mercatini di Natale… insieme siamo la forza della Germania e dell’Europa (HogeSa nel loro ultimo comunicato stampa dopo aver devastato Colonia; comunicato dal titolo “la verità”)
Gli “Hooligan contro i salafiti” non nacquero come un gruppo formale e omogeneo, ma dal magma contraddittorio della galassia dei gruppi hooligan di estrema destra, come una rete ispirata dal concetto di Defence League inglese; rete fondata da hooligan nel 2009 con, come matrice comune, una fortissima impronta xenofoba e specificatamente islamofoba. Tuttavia solo nel 2012 si arrivò a una concreta messa a sistema della rete, attraverso l’uso, allora “innovativo” per i gruppi di destra tedeschi, di internet: la nascita degli GnuHoonters (omofono di “Nuovi cacciatori”).
Gli GnuHoonters consistevano in un’unione di 17 gruppi organizzati di hooligan da tutta la Germania. In questa fase lo scontro con i gruppi di tifosi di sinistra ma anche le campagne delle dirigenze di alcune squadre contro gli hooligan di destra (famosa per esempio la clip della società del Borussia Dortmund contro il tifo neonazista) radicalizzarono le posizioni politiche, mettendo tuttavia in secondo piano gli aspetti più immediatamente islamofobi rispetto ad altri. La campagna contro i “nuovi cacciatori” portò comunque a dei risultati incredibili, moltissimi gruppi organizzati di destra furono cacciati dagli stadi di molte squadre tedesche. Per rispondere a questa cacciata e a questa marginalizzazione politica e sociale circa 300 GnuHoonters, in particolare quadri politici di organizzazioni dell’estrema destra neonazista, si riunirono in un’assemblea nazionale. In questa assemblea nazionale decisero di recuperare il loro iniziale lato xenofobo e islamofobo provando a fare leva su un contesto che grazie ad alcuni media conservatori si poteva rivelare strumentalmente utile.
Scelsero come feticcio ideologico e “nemico pubblico” il predicatore islamico Pierre Vogel e all’inizio del 2014 fondarono la rete “Hooligans contro i Salafiti” (con l’acronimo HoGesa). Solo alcuni media tedeschi seguirono la nascita di questo gruppo (considerato marginale e persino “folkloristico”) malgrado la pagina Facebook ottenne in brevissimo tempo circa 40.000 fan (un numero superiore persino di quello di alcuni partiti presenti in Parlamento). Alle prime due azioni della rete, entrambe contro Pierre Vogel a Mönchengladbach e Mannheim (però con una ridottissima partecipazione) si aggregò subito il partito neonazista dell’NPD (in grave crisi di consenso elettorale, di identità politica e sotto attacco da parte del Governo Tedesco attraverso la Commissione di Vigilanza sulla Costituzione). Tuttavia la loro irruzione “mainstream” nel contesto politico tedesco avvenne il 26 Ottobre 2014, quando 5.000 HoGESA misero a ferro e fuoco Colonia. Una comparsa troppo improvvisa per non destare sospetti anche sui possibili fiancheggiatori. Gli HoGESA il 26 Ottobre si scontrarono per ore con la polizia e nei disordini si riportarono diverse mezzi distrutti, moltissimi arrestati, quasi 60 agenti feriti. La stampa mainstream, anche quella che aveva costruito condizioni politiche favorevoli agli Hogesa e un humus potenzialmente razzista e islamofobo, reagì in modo durissimo ai fatti di Colonia, e la condanna fu pressoché unanime.
Tuttavia gli HoGesa come soggetto organizzato e l’NPD come organizzazione politica avevano dato una prova di forza indubbiamente sorprendente considerando la marginalizzazione (o l’espulsione quasi totale) negli stadi dei primi e la criminalizzazione politica dei secondi. Forti di questo gli Hogesa continuarono con manifestazioni dislocate nelle città tedesche, fino a proporre un’altra manifestazione nazionale “per la difesa dell’Europa dal pericolo islamico” nelle storiche città roccaforti del movimento antifascista Amburgo e Berlino. Entrambe le chiamate furono tuttavia annullate per “impraticabilità nella gestione del conflitto da parte della polizia” e il rilancio politico avvenne il 15 Novembre, con una manifestazione ad Hannover.
Sotto lo slogan “L’Europa contro il terrorismo islamico” gli HoGesa e i militanti dell’NPD furono accolti da moltissimi manifestanti antifascisti, provenienti da tutta la Germania. Sebbene scortati da circa 6.000 poliziotti in antisommossa fu impossibile evitare lo scontro con gli antifascisti, che si rivelò talmente violento ed efficace da fare emergere le contraddizioni al loro interno e una debolezza insita della formazione, tanto che il 15 Novembre si trasformò in una debacle totale per gli Hogesa, segnando la fine (almeno fino ad oggi) dell’esperienza.
Il ruolo svolto dagli Hogesa in un tempo relativamente brevissimo è stato quindi quello di traghettare frange di estrema destra espulse e marginalizzate in tutta la Repubblica Federale, attraverso un dibattito ambiguo su temi a loro favorevoli, fuori da un’impasse che durava da diversi anni. Ovviamente l’errore nel definire la composizione sociale, nello scegliere modelli organizzativi e pratiche si è rivelato loro fatale rispetto a ogni ambizione possibile di aggregazione o velleità nella produzione di eccedenza. Errore che non è stato fatto dalla declinazione sassone, a Dresda, della rete: i PeGiDa.
La società incivile di Dresda: i PeGiDa
I “Patriottici europei contro l’islamizzazione dell’Occidente” (PEGIDA, PEgIdA o Pegida) nascono il 20 Ottobre 2014, con una prima “passeggiata” (il termine che loro usano non è “corteo”) di poche decine di partecipanti. Un primo dato che salta agli occhi è la “staffetta” tra gli Hogesa e i Pegida. In contemporanea alla più grande manifestazione hooligan a Colonia, a Dresda nasceva una declinazione più presentabile agli occhi del “borghese conservatore” (come diversi commentatori politici identificano i sostenitori dei Pegida) con tuttavia un identico manifesto politico. Lutz Bachmann, il leader della protesta aveva creato nell’ottobre 2014 un gruppo facebook per opporsi alla vendita di armi al PKK (che combatteva paradossalmente i salafiti dell’Isis nella regione del Kurdistan del Rojava) e in risposta agli scontri tra curdi e salafiti che ad Amburgo e Celle, secondo Bachmann, “esportavano” in Sassonia un conflitto “di cui il popolo sassone non era in alcun modo responsabile”. Bachmann, tra l’altro, ha ripreso alcuni elementi iconografici “classici” nella politica tedesca: le “passeggiate del lunedì” richiamano il giorno settimanale storicamente scelto dai gruppi nazionalsocialisti per le loro marce; lo slogan “noi siamo il popolo” rimanda agli slogan che portarono alla caduta del Muro nell’89; e i volantini dal titolo “difendiamo la società occidentale” ricordavano i manifesti anticomunisti del 1960 usati dalla CDU (che, malgrado la Sassonia fosse una regione della RDT, aveva nella zona di Dresda un seguito silenzioso notevole). Almeno pubblicamente e inizialmente i Pegida hanno scelto una forma organizzativa assembleare in sintonia, in un paradosso che ha del grottesco, con le piazze delle “primavere arabe” (una sorta di democrazia assembleare che presto però di lunedì in lunedì verrà cristallizzata in una più rigida e controllabile forma associativa vera e propria). I dodici portavoce scelti nelle assemblee per acclamazione sono risultati ben presto personaggi noti e rappresentativi di un’area politica che sintetizza al meglio l’anima nera della Germania: ex liberali orfani del parlamento, ex cristiani democratici, un rappresentante degli Hogesa, piccoli imprenditori, attivisti del partito euroscettico Alternative Fuer Deutchland e figure che richiamavano ai valori della “tradizionale famiglia tedesca”. Proprio per rassicurare sulle differenze con gli Hogesa, “bruciati” sul terreno del consenso politico, la manifestazione del 20 Ottobre, cioè il debutto dei Pegida, si dà come slogan la formula: “non violenti uniti contro la religione e le guerre sul suolo tedesco”.
Da quel momento, e nel corso di dodici lunedì, la sigla riuscirà ad arrivare da 350 partecipanti a 18.000. Il crescere della partecipazione ha coinciso non solo, come già scritto, con la cristallizzazione della formula organizzativa, ma anche con l’aumento dell’aggressività nei confronti della stampa (responsabile di “mentire” ed essere al servizio di una politica a loro ostile) e con l’aumentare dell’investimento delle formazioni nuove o storiche della destra tedesca sul fenomeno. Il 1 ° Dicembre infatti, alla marcia di Dresda fanno la loro comparsa l’europarlamentare di estrema destra Udo Voigt e i leader più rappresentantivi dell’NPD, Frank Franz e Holger Szymanski.
Interessante per cogliere al meglio gli aspetti più particolari dell’ascesa dei Pegida è osservare oltre che il mutamento della struttura organizzativa che si è avuto al crescere della partecipazione (cosa che non ha assolutamente generato divisioni o tensioni, non essendoci nel background politico e culturale degli organizzatori alcun modello democratico o partecipativo), la trasformazione delle parole d’ordine. Nel Novembre 2014, cioè agli inizi, gli organizzatori distribuivano ai media comunicati ufficiali in cui i punti salienti erano: una migrazione gestita tramite un “sistema a punti”, seguendo l’esempio del Canada, una politica di rimpatrio coerente con il principio di “Tolleranza zero” nei confronti degli immigrati illegali, un aumento dei controlli al rientro, una politica genericamente tesa a conservare e proteggere “l’identità della nostra cultura giudaico-cristiano”. Nessun accenno programmatico rispetto alla presenza dei musulmani in Germania se non appunto un’invocazione ideologica e un riferimento nel proprio nome. Da Dicembre tuttavia, con l’investimento politico di tutti i gruppi e i partiti dell’estrema destra tedesca, si sono presentati nuovi punti programmatici come “la normalità dell’espressione del patriottismo”. Questo ultimo punto è fondamentale considerando un elemento centrale della Germania post conflitto mondiale, una forma di antinazionalismo quasi “costituzionale”. Esattamente da questo momento il fenomeno ha iniziato a crescere in modo esponenziale di lunedì in lunedì. E quasi ogni lunedì si è aggiunto un elemento nuovo alla piattaforma. Nel mese di Dicembre sono esplosi i temi più forzatamente islamofobi. La cultura islamica viene definita misogina e violenta, ma contemporaneamente si attacca ancora una volta il PKK, visto come un’organizzazione terroristica. Nell’ultima marcia precedente i fatti di Parigi per affermare infine la “tradizionale famiglia tedesca” si è arrivati ad attaccare la ‘genderization’ cioè il processo di neutralizzazione del genere nella lingua tedesca, elemento simbolico di molte battaglie dei movimenti di emancipazione sessuale in Germania. Ad ogni aggiunta di parola d’ordine i media aprivano un dibattito parallelo sul tema rendendo Pegida anche una soggettività politica in grado di porre domande politiche e teoriche all’intera società oltre che alla governance tedesca. Ultimo elemento saliente, e poco ripreso dagli analisti politici (almeno prima della marcia del 5 Gennaio), è la declinazione paradossalmente “pacifista” del movimento Pegida che ha preso parola sempre più rispetto alla vicenda Ucraina e alle sanzioni nei confronti della Federazione Russa. Sempre più marcatamente la Germania è stata da loro dipinta come una marionetta nelle mani degli Stati Uniti e più volte si è chiesto una politica di distensione nei confronti di Putin. Nelle ultime manifestazioni si è nuovamente citato il caso NSA e si è persino richiesto l’asilo politico per Snowden (attualmente rifugiato politico in Russia appunto). Questo è un elemento abbastanza radicato nell’anima conservatrice tedesca, mai sul serio sinceramente atlantista e molto attenta all’Est Europa, ed è un elemento che mette i Pegida (nella loro trasformazione da assemblee civiche “spontanee” a movimento politico) perfettamente in linea con il Front National di Marine Le Pen la Lega di Matteo Salvini ma anche altri movimenti di estrema destra nel continente europeo.
Questa strutturale ambiguità, questa capacità di attingere ai temi cari alla sinistra (anche quella radicale) tedesca stravolgendone il senso fino a renderli accettabili al “borghese conservatore medio” rendono la formazione dei Pegida un esperimento incredibilmente attuale ed efficace nell’ambito dell’estrema destra europea. A questo bisogna ovviamente aggiungere due elementi che rendono il fenomeno particolarmente potente: la più volte richiamata capacità di usare social network e nuove forme comunicative (e una formale “creatività orizzontale” nella costruzione degli aspetti collaterali alle tematiche, ottime per aumentare solo l’ambiguità dentro cui Pegida cresce) e l’insistere quasi esclusivamente su un territorio molto specifico nella Repubblica Federale come la Sassonia e Dresda in particolare (la regione con la minor presenza migrante e musulmana dell’intera Repubblica Federale Tedesca). Come ha recentemente ricordato Gregor Gysi, figura rappresentativa della formazione parlamentare anticapitalista Die Linke, nell’Est Germania una delle eredità della RDT è una certa chiusura alla novità e allo straniero rispetto al quale la politica della CDU che governa la regione ininterrottamente dall’unificazione del 1990 ha fatto poco o nulla. Anzi, da più parti si sottolinea come la CDU Sassone sia molto simile alla CSU bavarese, una formazione molto più conservatrice rispetto alla federazione nazionale che ha in Merkel il suo punto di riferimento. E infatti mentre la politica nazionale parla di “una vergogna per la Germania” (Ministro federale della giustizia Heiko Maas, SPD) o ancora di “campagne diffamatorie” e “propaganda contro le minoranze” (Presidente del Bundestag Norbert Lammert (CDU) e il Vice-Cancelliere Sigmar Gabriel, SPD), l’esponente della CDU sassone Heiner Geissler ha giustificato la “paura dell’Islam” e ha affermato che, come sostengono i Pegida, non può esserci spazio in Germania per i predicatori d’odio che agiscono “con il pretesto di libertà del popolo”. La CDU sassone e i partiti di estrema destra hanno deciso tuttavia di sfidare apertamente il consenso di Angela Merkel che era arrivata ad affermare il 15 dicembre, ribadendolo poi nel discorso di fine anno, che in Germania “non c’è posto per la propaganda e la calunnia” in particolare per “quella contro gli stranieri”.
Tuttavia la lotta per la conservazione del potere della CDU Sassone e la ricerca del consenso di AfD hanno prodotto rotture e forme schizofreniche di esternazioni nel campo conservatore tedesco, ma solo nel campo della “rappresentanza” e mai tra i Pegida, che anzi hanno visto consolidato e aumentato il proprio consenso e si sono affermati nel corso del tempo come il vero spauracchio dei conservatori; spauracchio che in definitiva risulta essere la materializzazione di quello spettro nazionalsocialista innominabile da sempre soppresso con la memoria, ma mai realmente decostruito. Spirito che si dava tra le tante cose appuntamento annuale ogni 17 Gennaio a proprio Dresda, per commemorare il bombardamento inglese della città. Le “foibe tedesche” hanno evidentemente sedimentato un consenso sempre minimizzato dalle forze “democratiche” sassoni e federali. Spettro che con Pegida ha trovato modo di farsi forza politica.
La pesante eredità di Parigi
La marcia del 12 Gennaio è stata la prima marcia a Dresda dopo gli attentati di Parigi. Pegida ha provato ancora una volta un rilancio sul piano nazionale. Ha tentato cioè di fare sciacallaggio politico sulle vittime parigine e ha tentato di manifestare in altre città tedesche (Bergida a Berlino, Dugida a Duessldorf ecc…), ma ancora una volta non è riuscita a rendere egemone il proprio discorso in nessuna di queste realtà. Il movimento antifascista tedesco e tanta parte dell’opinione pubblica da Monaco a Duessldorf, da Berlino ad Amburgo ha impedito la riuscita dell’operazione rifiutando la retorica dello scontro di civiltà. A Berlino in particolare, dopo giorni di manifestazioni con migliaia di persone in solidarietà al popolo francese, appena duecento manifestanti hanno aderito alla chiamata dei “Bergida” difesa da moltissimi poliziotti dalla rabbia di migliaia di antifascisti. A Dresda, invece, è accaduto quello che oggi spaventa la Germania e ha costretto Merkel a convocare precipitosamente e goffamente una “manifestazione contro l’islamofobia” a Berlino: da un lunedì all’altro, nel giro di una sola settimana, i Pegida sono passati da 18.000 a 50.000 (altre fonti parlano di 25.000). La più grande manifestazione di destra in Germania dal 1943, cioè dal Terzo Reich.
È la fine dell’anomalia tedesca nel quadro delle forze reazionarie contemporanee in Europa. La rottura definitiva e lo sdoganamento di sentimenti reazionari spesso messi al bando dalla società tedesca ma continuamente conservati o usati strumentalmente dalla governance per governare i processi più difficili e i passaggi più conflittuali. Sentimenti che non hanno ormai più paura di richiamarsi a un passato tremendo che la “democratica” locomotiva d’Europa pensava di aver seppellito sotto le macerie del novecento. Sentimenti in definitiva che si collocano esattamente all’interno della contemporaneità tra vecchi e nuovi fascismi, evocazioni di scontri di civiltà che riescono a produrre un discorso “politico” che agita moltissimo i sonni del Governo di Grande Coalizione. Probabilmente i Pegida, malgrado il loro progressivo aumento numerico e la capacità di imporre l’ordine del giorno della discussione politica all’intera Germania, non riusciranno a darsi forme e capacità di intervento larghe ed efficaci nel resto della Repubblica Federale Tedesca. Sicuramente, però, hanno raggiunto un obiettivo strategico fondamentale e, fino a pochissimo tempo fa, insperato: rompere l’assedio in cui si trovava l’estrema destra tedesca e rimetterla coerentemente al fianco delle forze neofasciste, non più minoritarie, in Europa: dal Front National francese alla Lega Nord italiana.
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