[DallaRete] Lega e fasci si prendono Piazza Duomo (nonostante la manifestazione antifa)

mipoundIl tabù è infranto. Mai nella storia repubblicana razzisti e fascisti hanno manifestato fino nel cuore della città che una volta si definiva “medaglia d’oro per la Resistenza”. Il clamoroso successo del raduno leghista contro l’immigrazione di fatto sancisce la nascita della nuova estrema destra in Italia, un evento che è stato celebrato alla presenza dei militanti di Casa Pound che per la prima volta hanno messo piede in piazza Duomo. Questa giornata chiama in causa la sinistra che non c’è. Centri sociali, studenti e antifascisti sono stati lasciati soli in piazza, cinquemila persone che comunque andrebbero ringraziate una a una. Ma ormai è chiaro che non basta più.

Que­sto disa­gio cos’è? Dif­fi­cile da spie­gare. Forse la sen­sa­zione fisica di essere stati let­te­ral­mente can­cel­lati dalla sto­ria. Pro­prio qui, in piazza Duomo. La “nostra”, dice­vamo fino a ieri. Doveva suc­ce­dere. Era nell’aria e adesso si spre­che­ranno le ana­lisi. O forse faremo finta di niente. Ma dove cazzo era­vamo? Già. Troppo tardi ormai​. In Ita­lia c’è un nuovo par­tito anti sistema di massa. Il suo lea­der è abile, fur­betto. Il par­tito è di destra. Di estrema destra. Prima o poi farà il pieno di voti. Moderno. Forte, radi­cato nel ter­ri­to­rio, popo­lare, inter­clas­si­sta, pieno di vec­chi e di gio­vani dispo­sti a met­tersi in gioco. Sono orgo­gliosi di esserci, brutti per il nostro stra­bico punto di vista. Ma è il “popolo”, una volta lo chia­ma­vamo così.
Eccolo qua. Non sono più sfi­gati, sono minac­ciosi, non par­lano solo ber­ga­ma­sco o bre­sciano, ven­gono dal sud Ita­lia, dalle Mar­che, dalla Cala­bria. Fasci­sti, veri. Per­ché il primo par­tito di massa in Ita­lia è un par­tito a voca­zione nazio­na­li­sta, “da Trento a Palermo” come dice il capo supremo — sem­bra il fra­tello gemello dell’altro Mat­teo. Poi lungo il cor­teo qual­che sim­pa­ti­cone vaneg­gia ancora di seces­sione, ma quella è sto­ria vec­chia, il bor­bot­tare di Bossi che fa pena quando bia­scica dal palco.
La con­fu­sione è tanta anche sotto il cielo leghi­sta, ma il mes­sag­gio è forte e chiaro e garan­ti­sce una agi­bi­lità per tutti. Sono raz­zi­sti, can­tano le can­zon­cine con­tro i “clan­de­stini”, ridono, e fun­ziona. Pacioc­coni e pic­chia­tori stanno facendo un pezzo di strada insieme. Sono giu­sta­mente con­tro l’Europa delle ban­che e con­tro l’austerity che affama i cit­ta­dini (anche loro, solo che la sini­stra in un solo anno è riu­scita a per­dere per strada un milione di voti con Lista Tsi­pras). Come mai? Pro­blemi di cre­di­bi­lità? Forse abbiamo urgen­te­mente biso­gno di un altro Mat­teo tutto nostro? L’argomento è spi­noso, e non è ancora comin­ciata l’analisi. Biso­gna rico­no­scerlo. Sal­vini ha vinto. E dopo que­sta gior­nata forse biso­gne­rebbe smet­terla di rac­con­tarsi la sto­riella edi­fi­cante di Milano città meda­glia d’oro della Resi­stenza. Se così fosse non sarebbe successo.
Mai vista una piazza del Duomo così. Se vogliamo rima­nere sul sim­bo­lico, che tanto sim­bo­lico non è, pro­prio in que­sta città, guar­diamo l’ultimo spez­zone di cor­teo che entra in piazza. Fis­sia­molo negli occhi. I vec­chi can­tano le loro can­zoni con un filo di voce, sono com­mossi. Lo sguardo perso. Alle vec­chie vedove non pare vero, si com­muo­vono anche loro: piazza Duomo, piazza Duomo, “ma allora è vero”. Sì. I gio­vani sfi­lano die­tro le inse­gne di Casa Pound, il ser­vi­zio d’ordine è rigo­roso, sim­pa­tico, hanno vinto, sono alle­gri: sono fasci­sti gio­vani, loro hanno sof­ferto meno, arri­vano da tutta Ita­lia (Lazio, Cala­bria, Mar­che, Pie­monte, Abruzzo, Lom­bar­dia) entrano per la prima volta in que­sta piazza. E’ un ingresso trion­fale, pro­ba­bil­mente tre­mano le gambe. Il brac­cio teso. Il tabù è infranto. Saranno due­mila. Pochi? Tantissimi.
Si siste­mano all’imbocco della metro­po­li­tana per ascol­tare il comi­zio con i ves­silli blu sem­pre sull’attenti, intorno a loro c’è la piazza più acco­gliente che esi­sta in Ita­lia: diciamo 80 mila per­sone. Una marea. Ci scap­pe­rebbe la con­si­de­ra­zione enfa­tica, se dices­simo che mai nella sto­ria repub­bli­cana i fasci­sti hanno messo piede in piazza Duomo can­tando le loro can­zoni, per dare forza e lugu­bre sostanza a decine di migliaia di per­sone che per tutta la gior­nata non hanno fatto altro che pren­der­sela con gli stra­nieri, oltrag­giando i morti. Vin­cono e vin­ce­ranno facile, per­ché gio­cano da soli.
Il comi­zio del lea­der è uno show. Una mace­do­nia di popu­li­smo, dema­go­gia, deliri este­ro­fili, raz­zi­smo gua­scone, ammic­ca­menti, vio­lenza, con accenti di buon senso che sem­pre arri­vano alla pan­cia di “quelli che non arri­vano alla fine del mese”. Insomma, il ragazzo è abile. Non ce l’ha con i gay, per esem­pio, mica è scemo, solo che “i gay piut­to­sto che spo­sarsi magari pre­fe­ri­reb­bero avere un lavoro”. Esor­di­sce salu­tando Putin, il suo nuovo amico, e sul palco spunta un amba­scia­tore della Rus­sia che gli porge un rega­lino da parte dello zar. Poi spu­pazza un neo­nato, “siamo in que­sta piazza per il futuro dei nostri figli”. Liscia il pelo ai pen­sio­nati. Evoca le mele delle Val­tel­lina per dare del “pirla” a quelli di Bru­xel­les, poi evoca Oriana Fal­lacci. L’ordine dei gior­na­li­sti è “del cazzo” (qual­cosa da Grillo avrà pure impa­rato) e il canone della Rai non biso­gna più pagarlo. Vuole la castra­zione chi­mica per gli stu­pra­tori, chiama in causa Napo­li­tano per­ché vuole la gra­zia per un tale che ha ucciso un rapi­na­tore. Non vuole nean­che una moschea. E vuole la fine di Mare Nostrum (la pensa così anche il governo Renzi-Alfano, lar­ghis­sime intese). Niente di nuovo, ma dirom­pente. Poi chiama la piazza a scam­biarsi un segno di pace ma per “met­tersi in gioco”, ottan­ta­mila per­sone si danno la mano per giu­rarsi non si sa cosa. Ma ieri, intanto, in Duomo è nata la nuova destra popo­lare italiana.
Quanto ci riguarda? Molto, eppure in pochi, pochis­simi l’hanno com­preso. Il sin­daco Giu­liano Pisa­pia, per esem­pio, non deve essersi accorto di cosa è acca­duto sotto le sue fine­stre se a cose fatte rila­scia solo uno stri­min­zito comu­ni­cato per dire che “Milano è ed è sem­pre stata una città demo­cra­tica che non può accet­tare tali atteg­gia­menti lesivi della dignità dell’essere umano solo per­ché stra­niero”. Dav­vero Milano non può accet­tare? Allora non se n’è accorto nessuno.
Gli assenti que­sta volta non hanno scuse, per­ché que­sta non è una volta qual­siasi e tutta la sini­stra ha lasciato campo libero a una offen­siva aper­ta­mente rea­zio­na­ria e raz­zi­sta, men­tre la crisi e il disa­gio sociale sta ali­men­tando una peri­co­lo­sis­sima guerra tra poveri. E la Cgil, che ha saputo rimet­tersi in mar­cia sui temi del lavoro, non ha com­preso cosa signi­fica oggi sot­to­va­lu­tare il raduno leghi­sta e lasciare libera la piazza.
Per que­sto biso­gne­rebbe com­pli­men­tarsi con tutti quelli che ieri pome­rig­gio hanno sen­tito il biso­gno di esserci per dare almeno un segnale. Rin­gra­ziarli uno a uno. Si sono ritro­vati in piazza Cai­roli, per un altro cor­teo, con altri pen­sieri. Sta­vano bene insieme, per­ché erano troppo lon­tani da piazza Duomo. Cinquemila per­sone, ragazze, ragazzi, stu­denti, cen­tri sociali, la solita sini­stra spar­pa­gliata che se non altro non ha perso il rispetto per la pro­pria sto­ria e che man­tiene viva quella sfron­ta­tezza che serve per guar­darsi in fac­cia anche quando la situa­zione butta male. E que­sta volta butta male dav­vero. Forse non bastano più i riflessi condizionati.

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