[DallaRete] Regeni, i pm: «Ucciso da professionisti della tortura»

ImageLa Procura di Roma smonta tutte le altre ricostruzioni del Cairo. E vuole le password dei social network usati dal ricercatore. Nessun legame con i Servizi segreti.

Nessun rapporto con i Servizi segreti, né con quelli italiani, né con quelli di altri Paesi. I magistrati della Procura di Roma, che indagano sulla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni, non hanno dubbi. Dopo aver esaminato il suo pc, messo insieme un indizio dopo l’altro, sono giunti alla conclusione che a ucciderlo sono stati «professionisti della tortura», e che l’omicidio è collegato alle ricerche accademiche condotte dal nostro connazionale.
Tutte le altre ricostruzioni arrivate dal Cairo, secondo gli inquirenti italiani, sono da escludere. Dal totalmente inverosimile incidente stradale al crimine commesso da banditi di strada. Dalla rapina al delitto passionale, o legato allo spaccio di droga.

VENTI TELEFONATE FATTE PRIMA DELLA SCOMPARSA. «Prima della sua scomparsa la sera del 25 Gennaio», Giulio Regeni «effettuò 20 chiamate telefoniche». Lo ha sostenuto una ‘fonte della sicurezza’ in dichiarazioni al quotidiano egiziano Akhbar Al Youm. Il giornale precisa che «il rapporto della compagnia telefonica consegnato agli investigatori fornisce prove chiare» per nutrire «sospetti» e che tale documento aiuta la sicurezza nella ricerca dei responsabili dell’omicidio. Il telefono, aggiunge il quotidiano «è stato chiuso una mezz’ora prima del suo rapimento».

LO STUDIO E LE CHAT CON LA FIDANZATA. Le giornate di Giulio trascorrevano tra lo studio e le lunghe chat con la fidanzata su Skype. Il suo portatile ‘parla’, e comincia a offrire tasselli importanti. Dall’esame del pc, che i genitori di Giulio hanno consegnato settimane fa ai magistrati, non emergono legami con l’intelligence. Nessun contatto con persone equivoche e nessuna evidenza che i dati raccolti nell’ambito delle ricerche sui sindacati indipendenti siano usciti dall’ambito universitario.
I SOCIAL PER MAPPARE GLI SPOSTAMENTI. Per circoscrivere gli spostamenti fatti da Giulio nel corso dell’ultimo giorno di vita, il pubblico ministero Sergio Colaiocco ha chiesto le password dei suoi account ai principali social network, sperando di poterne mappare le tracce attraverso la geolocalizzazione.
Il cellulare del ricercatore, infatti, non è mai stato ritrovato. Ma attraverso i social potrebbe essere possibile risalire ai dati Gps del dispositivo mobile. L’indagine, con l’arrivo dei risultati definitivi dell’autopsia, dovrebbe conoscere un’importante accelerazione nell’arco della prossima settimana, quando dovrebbero giungere a Roma anche gli atti della procura egiziana. Alcuni punti fermi, in ogni caso, ci sono già.
OMICIDIO COMMESSO DA PROFESSIONISTI. Alla Procura di Roma non risulta che Regeni fosse stato schedato dalle autorità egiziane, anche se l’episodio di una foto scattata da uno sconosciuto durante un’assemblea sindacale aveva turbato il ricercatore universitario. E soprattutto, per gli inquirenti italiani, è una certezza che il delitto sia stato eseguito da professionisti della tortura.
LA FAMIGLIA RINGRAZIA CHI LOTTA PER LA VERITÀ. Mentre l’Università di Padova ha dedicato a Regeni la giornata d’apertura dell’anno accademico, è tornata a parlare anche la famiglia del giovane ricercatore. E ha voluto ringraziare «tutti i singoli cittadini, i rappresentanti delle istituzioni, gli enti locali e le associazioni che stanno manifestando la loro vicinanza e che si sono impegnati a mantenere ferma la loro richiesta di verità».
Verità per Giulio «non è solo uno slogan, ma un’imprescindibile istanza di giustizia per tutti i cittadini».

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