[DallaRete] Zam, intervista agli occupanti: “Speriamo di rimanere qui a lungo”
Abbiamo incontrato Massimiliano, Giacomo e Guglielmo, del colletivo Zam, e affrontato diverse questioni: dalla proprietà dello stabile alle loro intenzioni nel quartiere, dall’impegno nella rivendicazione degli spazi sociali, alle richieste nei confronti delle istituzioni.
Vi siete fatti un’idea della proprietà dello stabile che avete occupato?
«Sì, la proprietà è sempre stata del supercondominio Chiesa Rossa, anche quando c’erano i vigili. La questione è nata nel momento in cui A2a, dovendo fare lavori di ristrutturazione, ha scoperto chel‘immobile risultava essere di proprietà di Bnp Paribas, sebbene i destinatari dell’affitto fossero i condomini. Quindi il problema è addirittura precedente. Ora sono in corso degli accertamenti e questo ci porta a pensare che il Comune, cedendo l’edificio, abbia effettivamente sbagliato».
Come pensate di agire una volta accertata la questione?
«Al momento i soggetti coinvolti restano, oltre a noi, il Comune, il supercondominio e Bnp Paribas. Se realmente sarà accertata la proprietà del supercondominio, si aprirà un’altra fase. Non abbiamo alcuna intenzione di fare un torto ai condomini i quali, per tutelarsi legalmente, hanno già sporto denuncia. Anche Bnp Paribas ha agito in egual modo. A fine Novembre ci sarà un incontro per definire ufficialmente la situazione. Abbiamo già avuto un confronto con l’amministratore e alcuni condomini: il dialogo pare essere attualmente franco, sincero, aperto e disponibile. Il nostro obiettivo non è privare di un bene i cittadini o gravare sulle loro spese, ma di sottrarre questo stabile alla speculazione, aprire con loro un dialogo e sperare, perché no, in un futuro ritiro della denuncia. In ogni caso quello che ci interessa è una reale prospettiva di intervento politico nella zona, nell’interesse di tutti i suoi abitanti, non solo nostro. Ecco perché ci piacerebbe rimanere qui dentro».
Avete già ripreso le vostre attività?
«Al nostro arrivo ci siamo subito resi conto delle grandi potenzialità di questa struttura. Ma, essendo rimasta in stato di inattività per molto tempo, si sono resi necessari alcuni interventi di pulizia e ristrutturazione, ai quali ci stiamo attualmente dedicando. Ogni zona ha le sue peculiarità ed esigenze; sicuramente ripartiranno alcune delle nostre vecchie attività, come l’hip hop lab, la palestra, l’aula studio e la cucina popolare. Stiamo cercando di capire e valutare cosa offrire a chi ci sta intorno, a chi abita questo quartiere, relazionandoci direttamente con loro. Da questo confronto è emersa la difficoltà delle piccole realtà del territorio che, a causa della crisi, si sono trovate senza risorse e senza un luogo dove incontrarsi e portare avanti i propri progetti. Da qui sono nate alcune idee, come un centro autogestito per mamme e bambini». Come siete stati accolti? «Questo quartiere ci ha piacevolmente stupito. Abbiamo percepito tanta voglia di interagire e di collaborare da parte delle realtà della zona che abbiamo incontrato. Sicuramente ci sarebbero i presupposti per lavorare assieme. Un aspetto importante che ci caratterizza è il desiderio di avviare un processo di costruzione partecipata, per creare qualcosa che sia frutto del desiderio comune. Noi e loro. Non vogliamo essere semplici promotori di attività!».
Come gestite le vostre attività a livello economico e organizzativo?
«Nulla qui dentro ha scopo di lucro. Ci basiamo essenzialmente sull’autofinanziamento, siamo indipendenti e le risorse che entrano vengono impiegate interamente a favore delle attività e del mantenimento della struttura. Un caso particolare è quello della Polisportiva: noi siamo un collettivo, quindi giuridicamente un gruppo informale, ma per ottimizzare i risultati di questo servizio ci siamo costituiti in associazione. L’idea alla base di questa scelta è di fornire una copertura assicurativa per tutte le discipline sportive come yoga, danza del ventre, kick boxing, offrendo quindi anche la possibilità di una partecipazione a livello agonistico».
Alcuni hanno insinuato che eravate d’accordo con i media, “che hanno ripreso l’occupazione indisturbati”, e con il Comune “che vi ha fatto trovare la luce allacciata”. Come rispondete alle accuse?
«Noi abbiamo fatto una precisa scelta di carattere politico, portando avanti la campagna spazi con il centro sociale Lambretta, un’escalation di occupazioni. C’è una netta differenza tra occupare nel silenzio mediatico e annunciare l’occupazione. Abbiamo bisogno di farci sentire e se i media scelgono di esserci, la nostra attitudine non è certo rifiutare la loro logica, perché sono un ottimo “megafono”. Per quanto riguarda il discorso illuminazione, di certo non è stato il Comune a farci trovare la luce allacciata. Infatti A2a ci ha prontamente staccato la corrente e ci siamo quindi attrezzati con alimentatori a benzina. Ribadiamo il fatto che non è nostro interesse gravare sui condomini».
Dopo lo sgombero dall’ex scuola di via Santa Croce, lo spazio è stato messo a bando. Perché non avete partecipato? E perché scegliete di non partecipare ad altri bandi?
«La nostra pratica attuale è la rivendicazione dello spazio sociale attraverso l’occupazione, ma non è detto che questo tipo di atteggiamento ci riguarderà sempre. Il punto è che per tutti gli sgomberi subiti, il Comune non si è mai schierato politicamente, né ha preso parola per ciò che riguarda le occupazioni. Lo sgombero di Santa Croce invece è stato voluto dal Comune al 100%, che ha addotto una serie di motivazioni riguardanti la non sicurezza dello stabile, non del tutto incosistenti, ma che a nostro parere non pregiudicavano la presenza di Zam all’interno dell’edificio. Non c’era pericolo per la nostra incolumità o per chi passava di lì. Abbiamo anche partecipato al primo incontro del Tavolo degli spazi con il Comune, ma poi c’è stato lo sgombero. Ci è quindi sembrato inutile proseguire questo dialogo, e così sarà finché le istituzioni non si esprimeranno politicamente sulla questione spazi occupati e centri sociali. Reputiamo poi che il Comune non abbia una connessione con il territorio, e in questo modo non soddisfi le necessità delle piccole realtà, che andrebbero maggiormente agevolate».
Ritenete i bandi, anche ora che sono stati semplificati, uno strumento inadeguato?
«La maggior parte dei bandi è totalmente inaccessibile per queste realtà, che lavorano concretamente sul territorio e creano ricchezza; quelli a cui possono realmente accedere sono un numero veramente ridotto. Diverso è, invece, per i macro soggetti e le realtà commerciali, che in questo senso sono totalmente agevolate. Tutto questo sfocia in un’altra questione: le piccole associazioni non possiedono un capitale di partenza necessario per far partire le attività e i lavori di ristrutturazione, che la maggior parte degli spazi messi a bando richiede, proprio come nel caso di Santa Croce. Paradossalmente la logica dei bandi funzionava meglio con le giunte di destra, che mettevano a disposizione spazi concretamente accessibili a tutti e già risistemati. Questi sono tuttavia cavilli tecnici, quello che ci preme è che il Comune prenda una posizione politica, ovvero che consideri gli spazi da noi rivendicati come un valore aggiunto e patrimonio dei cittadini. Questo è un passaggio che non c’è mai stato. Si è sempre parlato dei centro sociali con accezione negativa, sgomberando e quindi facendo a pezzi dei potenziali interlocutori».
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