Eroina, cresce l’uso tra i giovani L’unico antidoto? Tifare rivolta
Ripubblichiamo questo interessante articolo perché affronta, secondo noi, in modo intelligente un tema complesso come quello della dipendenza da sostanze. Facciamo solo una precisazione rispetto ad uno degli ultimi temi affrontati nel testo: il sistema più diffuso di contagio dell’Aids è oggi , tra i giovani dai 20 ai 25 anni, effettivamente il sesso non protetto. Contiamo di poter scrivere presto anche su questo argomento. La redazione di MIM
di Paola Tavella da http://www.glialtrionline.it/
Quando sono venuta ad abitare all’Alberone, un quartiere semiperiferico di Roma, era il 1990 e mi capitava ancora di trovare siringhe usate in un angolo buio vicino al cancello del garage. A metà del 1992 le siringhe sono scomparse, da allora in poi l’eroina in giro si è vista sempre meno, poi non si è vista più. Si trovavano cocaina a mucchi, pasticche, molte altre sostanze, ma non la roba. Da qualche mese, quasi un anno, invece, la siringa è tornata nell’angolo. Dapprima raramente, poi sempre più spesso. Una notte di dicembre, tornando a casa alle due del mattino, ho fatto conoscenza con il nostro tossico. Anzi, mi ha parlato. “Non le dispiace se sto qui, vero?” ha chiesto, educatissimo. Un ragazzo biondo, con le occhiaie, un vestituccio corretto, le scarpe nuove. Aveva il laccio emostatico in mano, proprio quello da infermiere. Un tossico col laccio non l’avevo mai visto, i miei amici usavano la cintura. Gli ho detto: “Senti, però portati via la siringa”. Sudava, anche se eravamo un grado sotto zero. Gli oppiacei riscaldano. Volendo fare cosa gradita ai pastori himalayani, si porta in dono qualche pallina d’oppio. Allora le capre smettono di belare per la fame e il freddo, e intanto sonnecchiano. Dunque è possibile perfino tagliargli via una fettina sottile di carne viva (bella metafora, eh?). I pastori con quella carne preparano un brodo per i vecchi e le donne che hanno partorito da poco, o almeno così mi raccontava un amico che per ragioni mistiche si arrampica fin lassù da anni, e sa bene che cosa scambiare con un riparo per la notte.
Nella mia generazione (ho 54 anni) siamo divisi in due gruppi: chi si è fatto di roba e chi no. Io non mi sono mai fatta per paura degli aghi e perché l’odore dell’eroina – nel caso avessi voluto spararmela su per il naso – mi faceva vomitare.
Ma non avevo, e non ho, nessuna estraneità verso chi si faceva, come verso chi ha sparato, si è ucciso, si è perso in Oriente, oppure è impazzito. Dentro di me, dentro tutti quelli della mia età e oltre, c’è un cimitero, un mantra di nomi e di amici perduti, pianti e sepolti. Per questo sono in grado di riconoscere un segno particolare che chiamo il “teschio dell’oppio”. È qualcosa di indelebile che resta per sempre, anche quando si sopravvive, o si smette. Traspare persino sotto i segni dell’età, nel viso reso più carnoso dagli anni, sotto qualunque calvizie o sistemazione con la chirurgia plastica, a dispetto del lavoro di un ottimo dentista. Non so perché, ma gli oppiacei lasciano un imprinting che non se ne va più nel corpo e nello spirito, una specie di marchio. E mi accorgo che il teschio dell’oppio è di nuovo in circolazione. Se prendo la metropolitana o salgo sul tram di notte ormai becco almeno un teschio, talvolta due.
Ho un amico che ha cominciato a farsi a 14 anni, il primo e il più giovane tossico della mia città. Era l’inverno del ’74 e l’eroina costava niente. La spingevano a tutta forza sui muretti e davanti ai licei. L’erba e il fumo erano scomparsi, al loro posto offrivano questa polvere a basso prezzo, ce n’era quanta ne volevi. Il mio amico, era bellissimo, efebico, scriveva poesie. Girava anche in inverno con le braccia nude, perché tutti vedessimo i segni dell’ago. I suoi genitori telefonavano ai nostri e li mettevano in guardia, raccontavano di furti di argenteria, sparizioni di quadri preziosi dalla loro bella casa. Alla fine lui si è salvato attraverso peripezie inenarrabili. Ora vive lontano, fuori dall’Italia, esercita con profitto una professione liberale adatta alla sua origine, è tornato nella culla borghese da cui aveva cercato di strapparsi a forza di endovenose di eroina. Eppure, ogni volta che mette piede in città, che torna a rivedere gli anziani genitori o i fratelli, va in giro a cercarsi una dose. E se la spara. Ho un’amica che si è fatta per trent’anni. Nel frattempo ha fatto famiglia, si è inventata un mestiere di enorme successo. Qualche anno fa ha deciso di piantarla lì, si è ricoverata in una clinica. Teme la vecchiaia, il giorno in cui non potrà più uscire a cercare il pusher, immagina di dover chiedere a uno dei suoi figli: vammi a cercare la dose. Un’altra nostra vecchia conoscenza sta facendo i bagagli per trasferirsi in un posto qualunque nel Triangolo d’oro. Là potrà permettersi una pipa al mattino e una alla sera. Qui, una volta andato in pensione, al massimo può farsi di psicofarmaci – almeno finché non crolla la sanità pubblica. A lui gli psicofarmaci non piacciono.
Dopo l’incontro con il tossico sulla rampa del garage, ho passato una notte di insonnia ricordando quello che è successo a noi, e temendo quello che può succedere ai ragazzi cui voglio bene. La fascia a rischio è fra i 15 e i 19 anni, dicono gli esperti. La via è già spianata dall’alcol, il consumo è aumentato moltissimo. Sarà una strage, a meno che non scoppi una rivolta. Io tifo rivolta, sì. Nella rivolta c’è senso, c’è la speranza di rifare il mondo, ci sono creatività, socialità, erotismo. Non vedo altre vie d’uscita. E so per esperienza che la giusta, motivata, sacrosanta rabbia, quando non si rivolge contro un sistema che la crea e la rinnova, allora quasi invariabilmente viene rivolta contro se stessi. Del resto per i ragazzi non c’è niente: non c’è più sicurezza che la scuola serva a qualcosa, non c’è lavoro, non c’è cultura, non c’è protezione, non ci sono attenzione né amore, c’è la brown a sette euro a dose. Ho chiesto in giro: sette euro. Meno della bamba. Roba molto pesante, mi assicurano.
Ad aggravare la situazione, l’eroina è considerata una droga sconfitta, scomparsa, e quindi non c’è allarme sociale, non si riconoscono i sintomi, non si vedono per tempo i segnali. I genitori sono distratti, preoccupati dalla miseria che avanza per tutti, dalla disoccupazione, dai prezzi, da tutto quello che sappiamo, e che viviamo. Il marketing dell’eroina ha ricominciato a lavorare a pieno ritmo. I servizi sono stati smantellati, in modo che gli assassini possano organizzare meglio i profitti, e una potenziale generazione di ribelli – che hanno imparato a battersi allo stadio, e hanno partecipato agli scontri in piazza del Popolo e a piazza San Giovanni – finisca preferibilmente con un ago nel braccio sinistro. I benpensanti, indignati perché i ginnasiali tiravano i sassi agli autoblindo rovinando la loro Bella Festa di Sinistra, oppure quelli che predicano la morale senza chiedersi che cosa brucia dentro i nostri figli, scanseranno le siringhe con il piede, tireranno diritto. Sugli stessi giornali dove ricompaiono in cronaca trafiletti sui morti da overdose, alcuni scriveranno editoriali pensosi perché il loro cane si è punto con un ago ai giardinetti. A proposito: anche la diffusione dell’Aids fra i giovanissimi cresce, e non certo perché fanno l’amore senza protezione.
P.s. Per gli amici cani: ai giardinetti state attenti.
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