Barcellona is burning – un racconto dalla rivolta catalana

Dopo la sentenza del 1 ottobre che ha visto dure condanne (dai 9 fino a 13 anni) da parte della Corte Suprema spagnola nei confronti di nove leader indipendentisti catalani stiamo assistendo a una forte reazione di piazza da parte della popolazione.

È una settimana che l’intera Catalunya, in particolare la città di Barcellona, è occupata da fiumi di persone che con determinazione occupa le strade e le piazze manifestando davanti alle procure e le sedi della GuardIa Civil (la polizia di Madrid) impossessandosi del centro del centro e delle zone strategiche delle città.

È da esattamente due anni, dalla campagna “1-O” in cui il primo ottobre del 2017 venivano occupati e autogestiti i seggi per il referendum autoconvocato sull’indipendenza, che non si assisteva a mobilitazioni di questa portata e questa intensità.

Come spesso accade sono la lotta e le pratiche che aiutano una comunità a crescere e a rafforzarsi insieme alle proprie rivendicazioni. Questo è proprio uno dei fenomeni a cui abbiamo assistito in questi giorni a Barcellona: determinazione, radicalizzazione delle pratiche ed espressione di forza collettiva che hanno portato più di un milione e mezzo di persone in piazza solo a Barcellona nel giorno di mobilitazione più partecipato (lo sciopero generale di venerdì 18), a occupare le università a Lleida e imporne la chiusura a Barcellona in nome del diritto studenti di scioperare, a occupare il porto di Tarragona e bloccare l’aeroporto di Barcellona.

Anche osservando la polizia abbiamo assistito a un escalation, non tanto dell’organizzazione e della capacità di controllo della situazione, quanto più della spregiudicatezza e ferocia negli attacchi. Il bilancio degli arresti si attesta tra 150 e le 200 persone tra cui anche alcuni minorenni e un ragazzino di 14 anni preso durante la notte del sabato sera.
Possiamo contare centinaia di manifestanti feriti, cosa non impensabile considerando la quantità di lacrimogeni e proiettili di gomma che sono stati sparati. Alcuni sono feriti veramente gravi e ancora in pericolo, chi ha perso un occhio, chi i genitali, molte ossa rotte, un ragazzo di vent’anni investito brutalmente da una di quelle camionette che durante tutta la settimana ha pensato di giocare a bowling piuttosto che ad azioni di contenimento.

Quelli osservati in questi giorni in Catalunya sono dispositivi di repressione vergognosi per ogni società democratica, ma d’altra parte, se la democrazia e il diritto internazionale vogliono darci un qualche tipo di definizione di “autodeterminazione dei popoli”, dall’altra parte i manifestanti si sono chiesti quale fosse la definizione di “popolo” che soddisfa i requisiti necessari per ottenere la sua autodeterminazione.

La cultura, la lingua, l’idea comune di un possibile diverso e la voglia di lottare insieme per ottenerlo hanno portato in questi giorni il Popolo Catalano ad autodeterminarsi, non contro gli spagnoli, ma contro lo Stato spagnolo, contro il fascismo e muovendo forti critiche al sistema economico più in generale.

Tra le azioni più radicali, oltre ad alcuni espropri e al sabotaggio e di alcune catene e multinazionali come Footlocker, Burger King, McDonald’s Peugeut e il celebre centro commerciale “el Corte Ingles”, i manifestanti hanno bruciato la sede de la “Hacienda”, il corrispettivo italiano di Equitalia.
Le barricate incendiarie ammontano a circa 800 e 300 tra blindati e altri mezzi della polizia danneggiati, come l’elicottero colpito da razzi e fuochi pirotecnici.

Duri scontri anche con i fascisti, che come spesso accade scendono in piazza nei momenti di fermento politico come braccio violento della reazione, specialmente durante la notte del giovedì, in cui ci sono stati gravi feriti sia da una parte che dall’altra.

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