Ceuta: spiagge, sole e filo spinato
Quella iberica sembra una frontiera ormai dimenticata, certamente interessa un flusso di migranti di dimensione minore rispetto alla complessità del fenomeno. Tuttavia si inserisce nel vasto panorama dei flussi migratori, che in alcuni casi intrecciano le loro drammatiche storie.
Recentemente Ceuta, enclave spagnola in Marocco, è tornata alla cronaca per il tentato “assalto” alla frontiera da parte di mille migranti, i media italiani hanno riportato che circa 300 sarebbero riusciti a passare il confine. Qualche precisazione, che aiuta ad uscire dalla logica scoop del giornalismo.
A Ceuta, come a Melilla, i tentativi di passare il confine sono la norma. Avvengono quasi tutte le settimane, quasi sempre in gruppi numerosi. Il momento migliore è quando dal mare si innalza una fitta nebbia umida. Ma in quel caso, spesso sono i sensori termici a metterti in trappola. Le due città funzionano un po’ come dei vasi comunicanti, a volte la pressione è maggiore da un lato, a volte dall’altro. In base ai respingimenti si sposta il flusso. Agosto è iniziato con la.fame di libertà. Proprio l’1 in diverse centinaia hanno tentato di scavalcare il cancello di 6 metri che per 9,7 km chiude tutta l’area. 81 hanno raggiunto l’obiettivo. Hanno tutti riportato ferite dovute al filo spinato che avvolge la cancellata. Un sincero avviso della brutalità del nostro mondo, un tributo necessario da pagare per essere almeno presi in considerazione come esseri umani, ancora di serie C. Tutti i giorni successivi si sono verificati tentativi di superare in massa la frontiera, fino al 7, quando un gruppo di 187 è riuscito a sfondare il blocco di polizia correndo. Quindi senza scavalcare. Da allora si è verificato un altro tentativo da parte di un gruppo di 300 la notte tra mercoledì 16 e giovedì 17, ma sono stati tutti respinti con violenza. Quando non riescono a saltare dall’altra parte, spesso rimangono in bilico sul cancello o appesi ai pali anche per ore, per ritardare le violenze della Gendarmeria Reale o forse anche solo per rimanere letteralmente appesi alla speranza.
Nel 2006 la barriera fu innalzata da 3 a 6 metri, ora un nuovo progetto finanziato UE intende portarla a 10 metri, la stessa UE che celebra pomposamente l’anniversario del crollo di regimi, e del Muro a Berlino. L’ambivalenza del concetto di democrazia… Poi oltre alla cancellata, da sfidare c’è un fossato, così tutto sembra più simile a una trincea videosorvegliata, che una località balenare ambita dai turisti. Sul territorio lavorano diverse associazioni, una di queste è ACCEM, che in Spagna ha una lunga storia ma è attiva solo da 2 anni a Ceuta, Sara Benbrahim e Rosario Vifente raccontano il sovraccarico che come operatrici affrontano: “Seguiamo numerosissimi casi, dell’assistenza legale, ai corsi di lingua, alle richieste d’asilo…” in alcune occasioni collaborano anche con il centro “La Speranza” che ospita minori non accompagnati. Attualmente nella struttura sono 180, senza quindi contare le decine in giro per la città, che come quando passiamo davanti al porto mi fanno notare, aspettano il momento giusto per saltare su qualche nave, anche solo aggrappandosi, nascosti, spesso in punti dove rischiano la vita. Sempre nei primi giorni di Agosto durante i festeggiamenti della Feria a Ceuta, alcuni migranti sono stati trovati dalla polizia attaccati al fondo dei furgoni di commercianti.
Una volta messo piede in territorio spagnolo inizia tutto l’iter burocratico che porta a stabilire chi ha diritto a una vita degna, o quasi, e chi sarà ricacciato nell’oblio. Questo per molti è già qualcosa, perché è la speranza a muoversi. Nel frattempo la reclusione. L’attivista e volontario Reduan calcola in circa 700 le persone attualmente presenti nel CETI di Ceuta, questo ha pressoché le funzioni dei CPT in Italia. Da qui vengono tutti trasferiti nella penisola, e là decidono chi rimane e chi viene deportato. I paesi di origine sono soprattutto Algeria, Guinea, Cameron, Pakistan, Bangladesh. A differenza di una decina di anni fa, ora i marocchini sono una piccola minoranza. Reduan è il segretario dell’associazione DIGMUN (Dignidad por Mujeres e Niños) che si occupa di assistenza, ed è il referente locale per Podemos in tema migranti. Anche se in questa città di 74.000 abitanti il 41% sono musulmani, solo il 10% sente un legame culturale col Marocco. Esiste un senso di identità comunitaria, anche dovuto alla divisione dei quartieri, che evidenzia la provenienza, ma non esiste un senso di solidarietà collettivo verso i migranti, peraltro quasi tutti subsahariani, visti nella maggior parte dei casi come un costo per la città. Per una cinica coincidenza sul simbolo della città, le colonne d’Ercole, è impressa la scritta “Non Plus Oltra”, (Non Più Oltre) carico di significati mitologici, riportato alla grigia materialità dei nostri giorni risuona come un monito, l’eco di una porta che si chiude. Anche se il partito xenofobo Vox non ha presa, qui la destra del PP (Partito Popolare) governa da 15 anni, e dal 2011 è anche al governo nazionale. Caballas è un altro partito influente, raccoglie voti soprattutto nella comunità islamica e infatti insieme all’associazione Luna Blanca in questi giorni sta organizzando iniziative e manifestazioni contro l’islamofobia, in solidarietà con le vittime dell’attentato di Barcellona. Il timore per l’emergere del razzismo è forte tra l’elettorato musulmano, ma questo non porta a spingersi oltre il proprio tutelato ombelico di cittadini a pieno titolo. La solidarietà con i clandestini è altra storia.
Fortunatamente la Spagna ha anche un volto solidale, che spesso si mostra lontano dai recinti delle frontiere. In questo caso, la piazza dello scorso Febbraio, proprio a Barcellona, ne è stato un bell’esempio. 600.000 persone in piazza per l’accoglienza e contro le scelte del governo. Il Ministro degli Interni Zooido Alvarez ha recentemente rifiutato la richiesta dell’UE di mettere a disposizione i porti per le ONG. Le narrazioni mediatiche post-attentato tenteranno di avvelenare questo clima, chi lotta per un mondo libero dovrà affrontare un altro braccio di ferro. La Spagna sotto Franco ha vissuto un lungo periodo di chiusura, ma dagli anni ’90 un flusso continuo ha portato gli stranieri a rappresentare il 10% della popolazione, in maggioranza sudamericani. Oggi 1/4 delle richieste d’asilo vengono da Ucraini, probabilmente presenti sul territorio già da anni prima del precipitarsi degli eventi a Kiev.
Nei primi 8 mesi del 2017 si sono registrati 8.653 arrivi, contro 2.476 di tutto il 2016. Considerando solo questo dato sembrerebbe evidente che la chiusura in Libia abbia portato una deviazione di rotta, ma non è così semplice. Infatti basta risalire al 2014 per registrare nella sola Melilla 6.248 arrivi. Dati certamente in calo rispetto al 2003/2004/2005 che vedevano solo nei primi 8 mesi 6.287 / 5.395 / 4.329 arrivi. Il trend in progressivo calo mostra che è proprio al 2003 che dobbiamo guardare per comprendere il perché la gestione spagnola della frontiera meridionale è considerata un laboratorio politico-tecnologico.
Dopo la lunga crisi del 2001-2003 culminata con l’invasione dell’isolotto di Perejil da parte dell’esercito marocchino, è stato proprio intorno alla collaborazione in tema di sicurezza e lotta all’immigrazione clandestina che le relazioni ispano-marocchine hanno ricominciato a normalizzarsi. Dal 2000 è in funzione SIVE (Sistema Integrado Vigilanza Exterior) che compie un monitoraggio capillare servendosi dei dati di radar, video, tracce satellitari e aeree. Lo Stretto di Gibilterra è un tratto più piccolo e chiaramente più controllabile, ma gli accordi che i monarchi hanno stretto sono alla base. L’esternalizzazione delle frontiere quindi, che oggi l’Italia insegue, è un gioco politico che anche Mohammed VI conosce, e in base al suo bisogno di fare pressione su Spagna o Europa, apre o chiude il rubinetto come strumento di contrattazione politica. Non diversamente funzionava con Gheddafi d’altronde, in una mano il flusso dei migranti, nell’altra le rendite del petrolio per controllare quelle tribù a cui oggi Minniti deve dare la paghetta.
La differenza quindi è che oggi è direttamente la mano del ministro italiano a strangolare ragazzi, donne e bambini in cerca di un futuro migliore. È dal 2012 che infatti si registra un’impennata di partenze dalla Libia, data della caduta del regime Gheddafi e dell’inizio del conflitto siriano (Marzo 2011). I metodi sono gli stessi, le brutalità della Gendarmeria Reale sono note. Nel 2005 uccisero a fucilate sulla schiena 11 migranti che tentavano di scavalcare le reti. E in molti casi Medici Senza Frontiere ha denunciato gli abusi da parte della polizia di entrambi gli stati. Le deportazioni illegali avvengono nel deserto a Sud del Marocco, con camion o autobus. Diversi testimoni hanno visto in più occasioni cadaveri nei pressi del confine algerino.
Gli autoritarismi hanno sempre nuove occasioni per ritrovarsi, così come quando insieme ai Mori, la Guadia Civile soffocò il governo repubblicano in Spagna, oggi a soffocare sono i sogni di tanti e tante. Ancora una volta l’unità e la resistenza saranno la nostra arma di opposizione.
Davide Vzx
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