Di ritorno dalla Germania: considerazioni sulle giornate francofortesi

Sono passati alcuni giorni dall’atteso appuntamento di Francoforte, quando migliaia di persone,da tutta Europa, hanno deciso di portare la voce del famoso 99% sotto i palazzi della governance finanziaria europea. Come è d’obbligo in queste occasioni, è tempo di stilare “a bocce ferme” un bilancio dell’esperienza di quelle giornate, per non disperdere, nel mare magnum della politica e delle scadenze italiche, il patrimonio che portiamo indietro dalla Germania. Un bilancio che non ha il sapore dello sterile “mettere nero su bianco le entrate e le uscite di fine anno”, ma che guarda già alla nuova stagione che si apre, ricca di potenzialità conflittuali e di desiderio di inversione della rotta assunta, nel nostro paese e non solo. Francoforte ci consegna un primo dato essenziale: i movimenti di tutta Europa, dalla soggettività studentesco/precaria italiana, alle reti organizzate tedesche, passando per le più che folte delegazioni greche, spagnole, olandesi, francesi, si sono dati un momento di confronto netto ed orizzontale. Ognuno con le sue attitudini e specificità, si è incasellato un primo tassello di ricomposizione di quelle sinergie europee così fondamentali, soprattutto oggi, per rompere la cavalcata incontrastata di BCE, FMI ed UE, verso la polverizzazione dei diritti e di ciò che rimane del tartassato welfare(soprattutto nei paesi mediterranei). Partendo dalle diversità, c’è stata la capacità di dare vita a partecipatissimi momenti di confronto, dalle assemblee nel cortile della sede del sindacato, fino agli intensi dibattiti svoltisi nell’università intitolata a Goethe, uno dei luoghi cittadini maggiormente attraversato dalla variegata composizione sociale giunta in quel di Francoforte. Ed è da questo rinnovato desiderio di contaminazione reciproca, preceduto dai contatti transnazionali consolidatisi nei mesi precedenti, che è sorto il programma con le scadenze di quelle giornate. Dal “take the square” del Giovedi, passando per i blocchi spontanei e le azioni dislocate del Venerdi, fino alla bellissima manifestazione di Sabato, dove 30000 persone hanno letteralmente inondato la city finanziaria più importante d’Europa, toccando i centri nevralgici del gotha della governance continentale. Il tutto, e questo è un secondo dato da considerare, mentre i media mainstream facevano “orecchie da mercante”, nel tentativo di non dare risalto alla composita soggettività presente a Francoforte, e mentre la città si trasformava in un’enorme caserma a cielo aperto, con quasi 15000 agenti di polizia schierati, pronti a tradurre nei commissariati cittadini qualsiasi gruppo di persone, superiore alle 5 unità, che provasse a concentrarsi. E quindi ecco lo sgombero dell’acampada presente sotto la Banca Centrale fin da Ottobre(BCE, per altro, fuori servizio, visto che per motivi di “sicurezza” le sue attività erano state dislocate in uffici fuori porta), ecco il fermo preventivo di centinaia di attivisti italiani e non, “colpevoli”di essersi radunati fuori dall’università (con successive diffide dal poter entrare nel centro cittadino), ecco il famigerato polizeikessel, il cinturamento di innocui manifestanti che protestano sotto il municipio, chiedendo di poter esprimere liberamente il proprio dissenso. L’intero apparato repressivo, dal poliziesco al mediatico, si è schierato in forze fin da subito, per arginare l’ampio desiderio di portare una voce dissenziente là dove si emanano le direttive che, ogni giorno, inficiano la vita di milioni di persone(do you remember la famosa letterina agostana firmata Draghi-Trichet, costata il posto all’allora premier Berlusconi, poi sostituito dal più bravo alunno Mario Monti?). La migliore risposta è stata il corteo di Sabato. Annunciavano qualche migliaio di manifestanti, ed invece il distretto finanziario della città traboccava di corpi, sogni, canti e colori. Nonostante il metodico sistema di ostacolo messo in atto nei confronti di migliaia di cittadini, attivisti, precari e studenti, Francoforte, compressa fra lo scenario preromantico del lungo Meno e la spettrale silhouette dei grattacieli, ha vissuto giornate di fermento sociale come non era abituata a vederne. E’evidente che nulla sia compiuto, l’essere andati nel cuore della bestia non può essere vissuto ne come la panacea di tutti i mali ne come un punto di arrivo. Sarebbe una terribile miopia, oltre a mancanza di buon senso. Semmai il meccanismo deve essere inverso: le giornate francofortesi, che si intersecano con tutto quello che si sta contemporaneamente muovendo sul globo, dalle acampade americane alle manifestazioni anti-Nato, passando per la meravigliosa lotta generazionale che sta interessando il Quebec, debbono tramutarsi in un grimaldello fondamentale, che apra la strada ad un nuovo ciclo di lotte che parli un linguaggio comune e che sia in grado di dettare i nuovi punti dell’agenda politica internazionale. Dal rifiuto dell’austerity alla rivendicazione di un nuovo sistema di welfare, dalla valorizzazione dei beni comuni ad un reddito garantito come forma di superamento del ricatto della precarietà, sono solo alcuni degli elementi imprescindibili,per uscire da questa crisi sistemica, da porre al centro della discussione politica. Forse non è cambiato tutto, sicuramente qualcosa si è mosso. Sta ora ai singoli movimenti far rivivere lo spirito francofortese nei propri territori, consci che il cammino è lungo e tortuoso, ma che la direzione intrapresa, e cioè di lavorare con spirito cooperativo per cercare di costruire nuovi percorsi di ricomposizione transnazionale, è un’importantissima boccata d’ossigeno, oltre ad essere una tendenza da perseguire nell’ottica di un’Europa sociale e rinnovata.

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