Gaza: la tregua regge, ma per quanto?

foto da Nena News Agency

Raggiunto alle 20 ore italiane di ieri, 21 Novembre 2012, l’accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza, martoriata da una settimana di bombardamenti.

La gente è scesa in strada festeggiando, sollevata dopo giorni interminabili di terrore: Gaza piange 164 morti e molti feriti, di cui molti porteranno segni indelebili, nel fisico e nella mente.

Attore cruciale per il raggiungimento dell’accordo è stato il nuovo Egitto di Morsi, dei Fratelli Musulmani: ha giocato un ruolo decisivo non solo con l’appoggio e la solidarietà data al governo di Hamas, ma anche e soprattutto con l’azione di mediazione giocata, coinvolgendo anche gli Stati Uniti.

Se Morsi non ha deluso i musulmani e gli arabi di tutto il mondo, che si aspettavano di certo un atteggiamento diverso da quello del suo predecessore (tradizionalmente alleato di Israele), l’accordo raggiunto non risulta credibile né concretamente fattibile e, soprattutto, non risulta essere risolutivo per la situazione di conflitto permanente tra Israele e Palestina.

L’accordo contiene non solo l’impegno al cessate il fuoco da entrambe le parti, ma l’importante clausola rispetto all’apertura dei valichi di Gaza e alla libera circolazione di merci e persone: si apre così uno spiraglio di speranza rispetto alla possibilità di ricostruzione, di sviluppo e di miglioramento della vita di quei palestinesi che vivono da anni nella prigione a cielo aperto di Gaza.

Il blocco delle frontiere, della circolazione e dell’ingresso di merci infatti, causa da anni un embargo che ha conseguenze devastanti sulla popolazione civile: a Gaza scarseggiano da anni beni, medicine, persino acqua, che causano gravi danni alle condizione di salute degli abitanti della Striscia. Dopo Piombo Fuso, nel 2009, non fu possibile ricostruire le case, scuole ed ospedali per l’impossibilità di far entrare i materiali necessari.

Inoltre, l’impossibilità di circolazione ed allontanamento per i palestinesi residenti a Gaza ha ucciso attività economiche importanti come la pesca, l’agricoltura e il commercio, fondamentali per uno sviluppo economico e l’indipendenza dagli aiuti umanitari.

A Gaza c’è scetticismo per quanto riguarda il rispetto di questa clausola: di fatto la situazione tra Israele ed Hamas non pare risolta, ma, anzi, Netanyahu è uscito fortemente indebolito da questo attacco: ci si chiede dunque quale vantaggio abbia lo stato ebraico ad allentare la morsa sul suo nemico, proprio a ridosso delle elezioni.

La popolazione Gazawi intanto resta un esempio più unico che raro di resilienza: la capacità, cioè, non solo di non soccombere alle avversità, ma di uscirne rinvigoriti.

Uno dei popoli più oppressi ed umiliati della terra ancora una volta dimostra a tutto il mondo la sua forza nella lotta per la propria vita, per la propria resistenza e autodeterminazione: così, nel festeggiamento di ieri notte per le strade, si poteva intendere non solo il sollievo per la fine delle bombe, ma l’esclamazione, ancora una volta, del diritto alla propria vita.

Sarebbe auspicabile che i tanti fondi che verranno donati e raccolti nei prossimi giorni per la “Giornata Mondiale dell’Infanzia” (25 novembre) venissero devoluti a progetti per i bambini di Gaza, traumatizzati dall’ennesima esperienza di violenza e terrore, impossibilitati ad andare a scuola o privi delle infrastrutture perché danneggiate, colpiti profondamente e ripetutamente nei loro basilari diritti, già difficilmente garantiti e definitivamente negati con questa guerra.

 

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