Giustizia e Movimento No Tav. Intervista a Niccolò Garufi.

Il 26 gennaio scorso 46 persone sono state arrestate per gli incidenti in Valsusa  del 3 luglio 2011, tra di loro Niccolò garufi che rilascia un’intervista a Milanoinmovimento, alla fine del suo percorso processuale e del periodo in cui è stato sottoposto a misure detentive preventive.

“Ciao Nic, vogliamo introdurre per chi non ha seguito la tua vicenda le tappe e i momenti fondamentali?”

“Partiamo dalla data dell’arresto,  il 26 Gennaio 2012.

Dormivo con la mia compagna a casa mia quando alle sei del mattino siamo stati svegliati e la casa è stata subito sottoposta a una perquisizione approfondita; durante l’operazione siamo stati informati  che si riferiva ai fatti del 3 Luglio in Valsusa.

In seguito alla perquisizione  di casa mia siamo  dovuti andare a casa della mia compagna per accompagnare la polizia a recuperare altri ”elementi”, vestiti e prove che servivano come materiale indiziario.

In seguito mi è stato comunicato che avrei dovuto passare qualche giorno in carcere, ma che, sicuramente, al primo interrogatorio con il giudice sarebbe seguita la scarcerazione, quindi mi hanno detto di prendere ”proprio due cose” da portare con me.

Mi hanno portato in Questura con la premura di non ammanettarmi, lì ho incontrato tutti gli altri arrestati di Milano.

In compagnia degli arrestati che come me andavano a San Vittore ho varcato questo carcere, un mondo incredibile al centro di Milano, ed è così  iniziata tutta un’altra storia.

Mi sono misurato con una realtà che non avevo mai sperimentato. Seppur in passato mi sono mosso, in alcune occasioni, su una linea di confine forse  pericolosa, il carcere restava una realtà con la quale fino ad allora non mi ero mai confrontato e che sembrava lontana anni luce.”

 

“Quanto ti hanno trattenuto e quali sono state le tappe successive?”

“La mia vicenda complessivamente si conclude proprio oggi (Giovedì 19 luglio, ndr) a livello processuale e penale.

Dunque, ho passato dal 26 Gennaio al 4 Aprile in carcere, dopodichè  mi hanno dato i domiciliari fino al 7 Luglio; per un mese a casa dei miei e per i restanti a casa mia, e con delle restrizioni abbastanza rigide: mi era impedito comunicare e ricevere visite, per cui sono rimasto in una sorta di bolla di sapone nella quale mi relazionavo solo con la mia compagna, i miei genitori e il mio avvocato. Ovviamente cercavo di tenermi aggiornato il più possibile.”

 

“Raccontaci i momenti più significativi di questo periodo”

“Appena arrivato a San Vittore, c’è stato, dopo due giorni, se non ricordo male, il primo interrogatorio con il giudice.

In quell’occasione mi sono avvalso della facoltà di non rispondere, come credo tutti gli altri imputati e c’e’  da dire che da quel momento in poi pensavamo che in qualche modo le misure cautelari venissero meno. Un’amara illusione.

In realtà subito dopo abbiamo capito che quel passaggio non avrebbe determinato niente, infatti la mia permanenza a San Vittore è stata confermata.

C’è stato un altro passaggio, un altro riesame, il giorno prima del concertone organizzato in piazza 24 Maggio, che ha avuto esito negativo.”

 

“Qual era la motivazione?”

“Guarda, la motivazione è assolutamente sconcertante e a posteriori, paradossalmente, fa anche ridere, pur essendo stata tra l’altro riconfermata anche al secondo rigetto del riesame ed era che non mi ero sostanzialmente fatto abbastanza carcere, che non ero ritenuto un soggetto collaborativo e che quindi non sussististevano elementi che deponessero a mio favore”

 

“Senti, come hai affrontato e poi vissuto l’esperienza del carcere?”

“E’ stata un’esperienza estremamente intensa.

Sono arrivato a 35 anni senza essermi mai dovuto misurare con le istituzioni totali, essermi trovato a doverlo fare è stata un’esperienza  veramente intensa proprio per la sua dimensione umana, era un qualcosa che conoscevo solamente attraverso i racconti di amici o di compagni, ma poi vedendola e vivendola dall’interno, ho avuto una percezione fortissima e mi sono creato un mio pensiero su questo vissuto.

Da un certo punto di vista è stata un’esperienza educativa, di certo non sono uno cresciuto al collegio San Carlo, ma non sono nemmeno cresciuto  negli ambienti della malavita, quindi è ovvio che il carcere non rientrasse nell’orizzonte quotidiano della mia vita, e tra l’altro il motivo del mio essere lì, per un reato politico, mi ha posto da subito nei confronti degli altri detenuti in una posizione “un pò speciale”, cosa che poi ho scoperto essere condivisa anche dagli altri detenuti No Tav.  Ero percepito come diverso, come una persona con cui utilizzare e ricercare dei codici di linguaggio diversi, che fossero condivisi da ambo le parti e che permettessero un confronto.”

 

“Chi erano i tuoi compagni di cella e quanti eravate mediamente?”

“Eh…i compagni di cella erano umanità varia, ma proprio varia, e sul numero, beh, questa è la domanda a mio avviso più importante perchè si entra nel campo delle condizioni delle carceri italiane e apriamo un capitolo infinito, ma è quella che dà la misura del grado di civiltà di una nazione.

San Vittore fa schifo, ma proprio schifo, non ci sono mezzi termini per descriverlo, sopratutto alcuni raggi.

Nel corso della mia vicenda detentiva ho avuto modo di vedere e di misurami con diverse situazioni.  In una settimana ho visto quattro celle diverse, e due volte nel sesto raggio; per fortuna sono stato sempre accolto benissimo dai concellini e sono grato della loro umanità, mi hanno aiutato a capire come ci si doveva comportare e l’ hanno fatto con una umanità e una gentilezza davvero rare.

Dal sesto raggio purtroppo sono stato spostato subito e sono finito in un posto che non sta nè in cielo nè in terra: il lato b del sesto raggio. Questa dovrebbe essere l’area di alta sorveglianza di San Vittore, in realtà non ha grosse differenze con il resto, ma è dove ”buttano” i detenuti che dovrebbero stare sotto osservazione ed è diviso da una sorta di cancellata dal resto del piano, c’è sempre un piantone in mezzo al corridoio ed è a detta di tutti la parte peggiore del carcere.

Qui sono capitato in una cella dove c’erano detenuti stranieri e ho capito come cambia la detenzione a seconda della propria provenienza.

Gli stranieri se la passano peggio degli italiani a causa della mancanza di reti di solidarietà all’esterno del carcere, reti rappresentate di solito dalle famiglie o dagli amici che mandano soldi, vivono quindi esclusivamente con quello che gli passa il carcere, e chi è stato in un qualsiasi carcere giudiziario sa benissimo che mangiare e vivere solo con quello che ti viene passato dentro, è una vita molto dura.

La cella era quindi completamente disastrata, essendo tutti detenuti di passaggio non c’era un fornelletto o cose utili che potevano aver lasciato altri detenuti, come pentole o caffettiere, sembra superfluo ma questi sono i dettagli che in realtà fanno la differenza, perchè anche banalmente cucinare vuol dire impegnare il tempo.

Questa era proprio una cella da girone infernale, la miseria proprio fisica attorno.”

 

“Quanto sei rimasto in quella cella e quanti eravate?”

“Sono rimasto sei giorni ed eravamo in sei persone.

Tieni conto che o sono celle da nove o da sei, per queste ultime le misure sono quattro metri per due, ho provato a misurarle, e in questo spazio devi infilarci tre letti a castello, due tavolini, gli sgabelli e lo spazio che rimane è fatto per viverci, e in quello spazio non puoi starci se non facendo dei turni.

Dividere uno spazio del genere a volte con persone agitate o sopratutto giovani, i quali ovviamente sono leoni in gabbia, diventa molto difficile.

Comunque numerose celle, grazie ai detenuti che si lasciano andare all’ingegno e alla creatività, hanno le dispense e i piani di cucina e sono state personalizzate in modo funzionale.”

 

“Nic, secondo te qual era il motivo di questo continuo spostamento all’ interno del carcere da una cella all’altra?”

“Il motivo era una direttiva arrivata direttamenete dalla Procura di Torino, nel senso che l’indicazione alle diverse carceri era di tenere “sotto controllo” i detenuti No Tav.

Ad un certo punto sono stato spostato al terzo raggio, per un qualche motivo, e sono finito con i detenuti lavoranti, coloro che sono dentro da un po’ di tempo e hanno fatto domanda, o meglio domandina scritta, per lavorare secondo le proprie professionalità, per lo più idraulici o muratori.

Questo è un settore tutto ristrutturato e quindi piastrellato, un mondo completamente diverso, ma vicinissimo a quello da cui arrivavo io, ovvero la fogna del sesto raggio, e in un secondo mi è sembrato di essere, molto fra  virgolette, in villeggiatura, ma sempre mille virgolette eh.

Acqua calda, docce, lavandini,  l’angolo cucina diviso dal bagno, tutta un’altra storia, e poi sono capitato in una cella molto fortunata, con detenuti di una certa esperienza e con un’ossessione per la pulizia e l’ordine quasi maniacale.

Qui mi hanno lasciato solo due giorni e poi mi hanno rispostato nel sesto raggio!

Questo fatto mi ha innervosito e ho avuto un momento di confronto un po’ critico con i medici e con le guardie poi, è stato il momento in cui ho rischiato di mettermi nei guai.

In questo caso mi sono salvato grazie alla furbizia, ma fondamentalmente perchè non ero completamente abbandonato a me stesso, fuori ricevevo molta attenzione e quindi anche dalla dirigenza del carcere c’era una sorta di attenzione. Questo fatto in qualche modo mi è stato fatto notare dal personale.”

 

“Come trascorrevi le giornate?”

“Una volta stabilto nella cella 123 ho trovato un ”equilibrio” oltre che degli ottimi compagni di cella.

Le giornate trascorrevano con consuetudini molto rigide: la mattina alle otto la sveglia, la colazione e aspettavamo lo spesino con le brocche di latte, il caffè ce lo facevamo noi in attesa delle nove. A quell’ora aprivano le celle per la prima ora d ‘aria, momento assolutamente vitale per correre in cortile e prendere una boccata d aria.

Purtroppo dall’ora d’aria devi togliere il momento doccia, infatti è compreso in quell’ora oppure nelle due ore del pomeriggio, dall’ una alle tre.

Dalle docce si recuperava l’acqua calda e si lavava la cella, di prassi, nelle ”usanze” dei detenuti, era un compito che spettava ai più giovani, ma io cercavo di farlo sempre, un po’ passi il tempo e non impazzisci, un po’ pulisci sul serio.

Con la cella pulita si giocava a carte, si leggeva, ma il vero problema era quando si accendeva la televisione…. non la si spegneva più e questa era forse la difficoltà più grossa nella convivenza in cella, la televisione sempre accesa è un dispositivo di rincoglionimento pazzesco sopratutto perchè il palinsesto offre una miseria da rai a mediaset, per fortuna c’era iris e così ogni tanto ci scappava il film, ma tutti i pomeriggi era un disastro tra ”uomini e donne” e trasmissioni varie, tra l’ altro noi avevamo il concellino sessantenne fissato con il grande fratello, un disastro totale..!”

 

“Ti sei mai confrontato con i tuoi compagni di cella sul perchè eri anche tu in carcere? Loro te l’ hanno chiesto?”

“Ah voglia…!

Poi continuavo a  rivendicarlo, eh, anche perchè in quel periodo era praticamente un tema sempre trattato in televisione, dai telegiornali, che tra l’ altro sono le trasmissioni più seguite perchè tutti in carcere aspettano la notizia dell’amnistia.”

 

“C’è una grande aspettativa?”

“Assolutamente sì, c’è una grande illusione, un’ illusione drammatica poichè tutti se la aspettano quasi a giorni e non si capisce in base a quali elementi; beh un po’ i radicali fanno la loro parte, più che altro è che si creano aspettative che poi rischiano di essere amare delusioni per chi le vive, il culmine c’è stato con il decreto svuota carceri, provvedimento assolutamente ridicolo.

Comunque i miei concellini vedevano di continuo le immagini degli scontri con la polizia, le mobilitazioni e poi durante le ore d’aria ho conosciuto altre persone con cui ho stretto amicizie e con cui mi sono confrontato; per tutti in realtà, non era perfettamente comprensibile la motivazione politica della faccenda del treno ad alta velocità e del perchè battersi contro di esso, era difficile da far comprendere con tutte le sue implicazioni; più facile era invece far capire le dinamiche generali del conflitto e dello scontro con lo Stato, insomma il tema conflitto- repressione era  molto più  facile da spiegare e recepire.

Quando sono entrato nella prima cella con un faldone enorme, quattrocento pagine, sono stato subito acclamato e ho dovuto spiegare che eravamo 46 imputati; solo allora mi hanno fatto delle domande più specifiche sui centri sociali, mi hanno chiesto se ero un leoncavallino o un noglobal.”

 

“In che modo ti arrivava il mondo esterno da dentro il carcere?”

“Tramite i canali classici che sono le lettere e i colloqui.

Avevo sei ore di colloqui al mese, in cui sono riuscito a vedere i miei genitori, il mio legale. La mia compagna solo da un certo momento in poi,  non è stato possibile vederla per tutto il primo mese perchè la Procura di Torino non ne voleva sapere di concedere l’autorizzazione, ma poi per fortuna lei è molto battagliera ed è riuscita a ottenerlo.

Il mondo esterno attraversava le mura del carcere mediante i colloqui e puoi immaginare in un un’ora che impresa concentrare i saluti, i messaggi, aggiornarmi banalmente su tutto quello che si muoveva nella nostra collettività,  tutti gli eventi e le ore dei colloqui se ne andavano così.

Le lettere arrivavano a pacchi e per questo motivo venivo preso in giro dagli altri detenuti e anche dalle altre celle, perfino dalle guardie le quali dicevano di voler cambiare turno perchè ”troppa fatica” facevano nel consegnarmi la posta, mi hanno detto che solo Corona riceveva piu lettere di noi No Tav!

C ‘era anche il filtro della televisione ovviamente, con quello mi sono fatto anche un’idea di come il mondo viene percepito dalle persone che sono dentro il carcere e ho pensato, a un certo punto, ”sono dovuto entrare in carcere per avere uno sguardo diverso sul nostro mondo”.

Il mondo esterno mi è arrivato anche attraverso le mobilitazioni e tutti  i presidi fuori dalle mura.

Purtroppo ero in una posizione un po’ sfigata, non vedevo nulla, ma sentivo in lontananza le voci degli interventi, e la musica, molto in lontananza.

Sono però riuscito a vedere i meravigliosi fuochi d’artificio, e comunque gli altri detenuti mi avvisavano sempre quando vedevano passare le manifestazioni : ”Uè Niccolò! Ci stanno i tuoi compà!!”

 

“Nic, invece con le guardie i rapporti com’erano?”

“Guarda, ora posso dirlo, le guardie sono la parte peggiore delle forze dell’ordine.

Un po’ c’è da riconoscere che l’ambiente e  il contesto non aiutano, ma sono veramente un’umanità molto, molto, molto bassa.

E’ stato un confronto molto difficile.”

 

“Ci sono stati degli episodi particolari in relazione al personale del carcere?”

“Beh… ho assistito a dei pestaggi, ma anche banalmente alle umiliazioni quotidiane nei confronti sopratutto di detenuti che non possono reagire, gli stranieri, perchè, inutile dirlo, con alcuni italiani si guardavano bene dal fare certe cose.

In generale l’atteggiamento era irrispettoso, anche solo dei più elementari codici di comportamento; per ogni cosa che sia un colloquio, una visita dal medico o dallo psicologo tu li devi chiamare, devi urlare dalla cella, e in teoria ti vengono ad aprire, solo che il passaggio non è mai immediato, ti devi piazzare al blindo e chiamare ripetutamente, poi dopo un po’ capisci che in realtà devi chiamare con una regolarità che faccia in modo che non li disturbi troppo, insomma è tutto a loro discrezione, rispondere subito o dopo venti minuti.

La discrezionalità mi è stata fatta capire subito: quando in uno dei passaggi da una cella all’altra mi sono innervosito con la dottoressa, un episodio in realtà banalissimo, dovuto al nervosismo e  alla tensione, sono stato subito blindato nella stanza delle guardie e lì tutte le guardie  si sono messe dietro la scrivania, mi hanno detto di mettermi con le spalle al muro, come se fosse un interrogatorio e  mi hanno fatto capire come girava la storia: “tu non hai capito un cazzo, tu sei un detenuto e qui comandiamo noi.

Che questo ti valga come avvertimento.”

Posso tra virgolette ritenermi fortunato, perchè sono sicuro che se fossi stato un altro detenuto, magari straniero, avrebbero avuto un atteggiamento diverso e me l’hanno anche fatto capire in qualche modo.

Da quel momento in poi ho capito e ho cambiato strategia, sulla base dei consigli e dei suggerimenti dei miei concellini piu anziani che mi hanno detto “poche confidenze, cordialità e cerca di avere meno contatti possibili, non fare il gradasso e usa i codici giusti, chiamali o assistente o appuntato a seconda dei gradi”.

Ovviamente c’erano tutti i gradi di umanità tra le guardie, c’erano i più carogna e i meno carogna.”

 

“Prima parlavamo del mondo esterno e di come ti sei sentito sostenuto. In alcuni casi così non è stato.

Ne vuoi parlare?”

“La vicenda che mi ha infastidito e che ha coinvolto in modo vergognoso la mia famiglia è quella in relazione all’ Anpi.

Questa è una vicenda che esplicita un po’, se vogliamo, la miseria di una certa burocrazia che è parte integrante di alcune organizzazioni.

L’impressione che abbiamo in realtà avuto in questa vicenda è che la loro presa di distanza sia partita da una segnalazione interna all’Anpi, ma fatta più per ”dovere istituzionale” che per altri motivi,  in realtà poi è stata impugnata politicamente dai vertici dell’Anpi nella figura del presidente Smuraglia.

I vertici a mio parere hanno fatto una figura pessima, hanno addotto giustificazioni a questo provvedimento patetiche, barcamenandosi sul fatto che l’Anpi non è no tav, ma nemmeno sì; in realtà la risposta migliore è venuta dai circoli Anpi di base, sopratutto e ci tengo a sottolinearlo, da quelli della Valsusa che hanno consegnato pubblicamente una tessera ad honorem per me, tessera che devo dire mi ha risollevato sicuramente il morale e, in generale,  ha anche un po’ alzato il tenore della discussione.

Ci tengo però a dire che la tessera mi è stata ufficialmente negata con una formula molto ambigua per cui il mio circolo mi nega la tessera, ma scrive un comunicato in mio favore e in solidarietà.”

 

“Nic, in tutta questa vicenda, l’arresto prima e i domiciliari poi, durante tutta la trafila penale, come sei riuscito a tenere insieme il tuo essere un militante e il doverti confrontare con  una serie di  poteri forti?”

“Il confronto più forte è stato quello con la Giustizia ordinaria.

L’aspetto piu logorante e doloroso, è stato il confronto con il tribunale del riesame, in generale con la procura di Torino.

Non immaginavo sinceramente che l’ idiozia degli organi di legge arrivasse a toccare certe vette, ma è stato anche questo un confronto per certi versi educativo, sconfortante capire e realizzare che di fronte a certe situazioni non si hanno gli strumenti per essere  incisivi.”

 

“Ti sei sentito finire in pasto a un enorme ingranaggio?”

“Assolutamente sì e  la dimensione è che non sei più padrone della tua vita, ma è qualcun altro che decide.

E’ banale, ma la percezione reale poi è fortissima, capisci questo e poi che chi deve decidere per te non ha nemmeno vagamente idea di chi tu sia, che vita conduci e qual è il contesto in cui vivi, ma ti giudica e sopratto decide sulla tua libertà, sulla tua vita.

Ad esempio, l’interrogatorio che c’è stato con una giudice è stato emblematico proprio del muro di umanità che separa le persone, ma anche gli stessi  spazi fisici sono emblematici all’interno del carcere e danno la cifra di certe esperienze; quando la mia difesa ha richiesto l’interrogatorio per sbloccare una situazione che non sembrava evolversi, ricordo di essere stato prelevato dalla mia cella, dove ero immerso in un ambiente di un certo tipo, da lì sono stato accompagnato alle stanze dei colloqui con i magistrati, tutti uffici ben tenuti, un altro mondo a soli 7 metri e mi sono ritrovato con un giudice tutto abbronzato e agghindato, una donna che a fatica mi guardava negli occhi e che continuava a fare domande e insinuare cose.

In quel momento ho avuto proprio la percezione dello steccato, certo lei deve fare il suo lavoro, nessuno lo mette in dubbio, ma a me veniva da dire: ma tu che mi fai queste domande, sei tu in queste foto, hai tirato il sasso o meno, pensavo tra me e me: ma tu hai visto da dove arrivo? Ti sei fatta un giro qualche metro più in là?

Se vuoi i miei ragionamenti erano anche infantili, ma erano quelli che d’istinto mi sono venuti in mente mentre vivevo quel momento.

Poi, ovviamente, ho risposto, e i verbali lo dimostrano, ho risposto cercando di tenere insieme la dignità e il senso politico di quello che ho fatto e stavo facendo e ci sono riuscito, tanto che poi nel verbale di scarcerazione è stato riconosciuto che io ”non sono comunque un soggetto collaborativo.”

 

“Avevo ipotizzato di domandarti quanta distanza hai percepito tra la Giustizia reale e la Giustizia con la ”G” maiuscola, che dici, ha ancora senso fartela?”

“Oltre all’impotenza, che è la senzazione piu invadente che si ha in tutti quei momenti, il punto è che i pm impostano  impianti accusatori che in realtà si costruiscono su dei teoremi loro, e che quindi, non si costruiscono sulla reale responsabilità  personale.

I pm in qualche modo modellano tutto l’impianto accusatorio sul teorema che hanno in testa e fanno di tutto per dimostrare quel teorema.

Capisci che un reato che in sè ha un peso specifico, se inserito in un quadro più grande il suo pesa cambia?

E questo non avviene solo per reati politici.

Un altro momento che va al di là della mia specifica esperienza e che mi ha dato estremo dolore è stata la recente condanna in cassazione dei dieci imputati per i fatti di Genova del 2001.

Ancora fresco di questa breve esperienza di detenzione, quando ho saputo come si è conclusa quella vicenda, vicenda a cui per altro ho preso parte, insieme ad altre migliaia di persone e insieme a loro ho provato a uscirne vivo, dicevo, pensare di poter essere tranquillamente uno di loro, mi sento male, pensare di essere un ragazzo che dopo 11 anni  deve scontare pene ignobili, di anni,  beh a me questa cosa ha letteralmente tagliato le gambe e ferito.

Penso alla vicenda umana, alla vita di quelle persone, agli affetti, alle relazioni, alle storie di chi deve scontare anni per una vetrina rotta a fronte di una condanna poi della polizia, misera e vergognosa, beh come immediata conseguenza di questi ragionamenti, mi vien da dire che, se mai ce n’è stata, ora, fiducia nello stato, zero.

E nel confronto con altre persone, sinceramente democratiche, e se vuoi del circuito ”nostro” più allargato, la  risposta nel confronto su questi argomenti, è la stessa, zero fiducia da parte di tutti.”

 

“Nic, alla fine a livello giudiziario hai optato per il patteggiamento, come sei arrivato a questa scelta?”

“Il patteggiamento è un capitolo delicato di questa vicenda, è inutile nasconderlo.

E’ una scelta che è stata il frutto di molte notti insonni, di un confronto con i vecchi retaggi di una certa cultura, e, senza far finta di niente, retaggi di una cultura anche mia.

Quello che mi ha portato a scegliere per il patteggiamento è un elemento puramente tecnico.

C’è una tale quantità di materiale probatorio di foto e filmati su di me che è assolutamente incontestabile, a questo poi è seguito un interrogatorio nel quale io confermo un’evidenza di fatto, ovvero che mi riconosco nelle foto, ho ammesso di aver reagito alle azioni delle forze di polizia, questo non ha comportato nè un abiura nè un pentimento, ma semplicemente la constatazione di un dato di fatto.

Il patteggiamento altro non prevede se non un accordo tra accusa e difesa.

La motivazione è quindi solo tecnica: a fronte di una condanna certa, il ragionamento fatto è stato quello di ”controllare” la pena, arrivando così  alla conclusione di un processo che avrebbe potuto avere una durata indefinita per poi avere come risultato di essere comunque condannato.

Il punto più delicato della vicenda è che questo è un processo politico e che sono coinvolto con altri 45 imputati e sono l’unico ad aver scelto il patteggiamento.”

 

“Come vivi questa scelta solitaria?”

“Beh, devo dire che ho avuto modo di pensarci, molto, tanto, e tutto sommato sono arrivato a una conclusione tale per cui ora me la vivo più  serenamente questa decisione; forse erano più le paure, le nostre, le mie, della collettività politica di cui faccio parte, nel provare ad affrontare e a spiegare una decisione del genere ad altri. Ora penso che forse erano più le paure che in realtà le conseguenze reali.

Questa è una decisione che sostanzialmente non è stata giustamente condivisa dagli altri imputati, ma in maniera assolutamente comprensibile. Ci muoviamo nell’ambito dei diversi approcci politici alle situazioni e in quell’ambito c’è stata la diversità dei punti di vista, evidentemente una collettività come la nostra ha ritenuto che fosse il caso di tutelare la vita di un proprio compagno in questa maniera e in un modo, ci teniamo a sottolineare, che non  lede o danneggia nessuno.

La condanna fissata è a un anno, con pena sospesa e, per i reati contestatemi, questa condanna non costituisce un precedente pericoloso per nessuno, a detta di qualsiasi avvocato, quindi siamo almeno riusciti a contenere i danni.

 

“Nic, la tua collettività ti ha supportato sia umanamente che politicamente, tu come hai vissuto questo appoggio?”

“Questo è stato uno degli aspetti più straordinari.

Da dentro il supporto politico è arrivato sotto forma di corrispondenza, ma poi venivo aggiornato a ogni colloquio dai miei genitori e dalla mia compagna di tutto quello che si muoveva intorno alla vicenda e a me.

Devo dire che ho scoperto e riscoperto, come dire, un affetto, perchè poi in definitiva è di quello che si parla, che mi ha dato un’enorme forza nell’affrontare una situazione del genere, il non sentirsi abbandonati e soli è in realtà moltissimo, ma è anche una grande responsabilità.

La scelta del patteggiamento, in questo senso, è una scelta che abbiamo preso sulla base sia di un confronto con gli avvocati e che di uno a livello personale, ma è una decisione che sapevamo avrebbe anche coinvolto la mia collettività, quindi una scelta in questo senso ”appesantita”. Devo dire che la  collettività a cui appartengo ha reagito inaspettatamente in maniera compatta e straordinaria.

Tutto questo mi ha dato una spinta  e una forza straordinaria, mi ha fatto sentire molto orgoglioso di esserne parte.”

 

“Nic…ora sei libero!”

“Si!

Proprio questa mattina è stata stralciata la mia posizione dal resto del processo, sono stato condannato a un anno, mentre tutti gli altri rinviati a giudizio.

Al riguardo voglio dire che come collettività, noi, continueremo a esserci in questa vicenda, senza alcun dubbio, supporteremo la valle con ancora più entusiasmo.

La mia vicenda processuale si conclude qua, ma la vicenda politica si riapre alla grande.”

 

“Che suggestioni, pensieri o riflessioni ti ha lasciato tutta questa storia?”

“Durante il periodo della mia detenzione mi sono sempre ripetuto che la dimensione del carcere era talmente assurda che andava assolutamente impugnata dall’esterno, e mi sono ripromesso che una volta fuori non mi sarei più dimenticato di quello che ho passato.

Ora dopo sei mesi, devo rimettere insieme la mia vita, a partire dal fatto che ho 35 anni e c’è una biografia da rimettere in carreggiata.

Sicuramente ho in testa molti pensieri, pensieri che sono nati da questa vicenda e uno fra tutti è che dopo certe esperienze, forti, uno ridefinisce la  mappa dei propri affetti e si ricostruisce la propria vita.

L’esperienza del carcere in sè è qualcosa che di sicuro devo rielaborare e partirò dalle cose che ho scritto quando ero dentro; sicuramente mi piacerebbe affiancare chi lavora nel carcere e chi sa dare spunti per un approccio a una dimensione del genere.”

“Insomma…. la voglia di fare politica non sono riusciti a fartela passare!”

“No, assolutamente.

Sicuramente dovrò rivedere alcune pratiche…ed evitare la pirlaggine, le cose si possono fare in mille modi, molti dei quali assolutamente intelligenti.”

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