Il futuro del movimento ecologista fra zuppe e oleodotti

Da giorni, nella nostra piccola bolla social, ma anche e soprattutto, al di fuori di essa, si discute il gesto delle due attiviste di Just Stop Oil, che ormai due settimane fa hanno imbrattato con della zuppa i Girasoli di Van Gogh. Due settimane, un tempo lunghissimo per i social media, eppure i dibattiti sulla legittimità del gesto non si sono ancora estinti del tutto.
Un risultato senza dubbio impressionante, che mi ricorda i primi tempi dei global strike, con il loro massiccio strascico di polemiche, critiche, dubbi e commenti, e quindi, efficacia comunicativa, perché quando un’azione riesce a far parlare di sé, in qualsiasi modo, ha in parte già raggiunto il proprio scopo. Ora questo enorme spazio mediatico dedicato agli scioperi globali per il clima sta, diciamocelo, scemando, soprattutto se paragonato al corrente riscontro dei gesti di Just Stop Oil.

La rilevanza degli scioperi sta quindi per finire? Si deve forse aprire un nuovo capitolo nella lotta ecologista?

Molte persone sostengono che sì, la porta aperta dalle azioni dimostrative nei musei si aprirà sempre di più, facendo superare da grande parte del movimento ambientalista la presupposta nonviolenza. La nonviolenza all’interno del movimento climatico odierno è, ad oggi, abbastanza ben definita; intesa come disobbedienza civile, è un metodo di lotta che si distanzia dal pacifismo, in quanto riconosce che il conflitto vada gestito in modo nonviolento, ossia senza ricadere in nessun tipo di lesione fisica, rifiutandosi di replicare un sistema giudicato violento.

E l’attivismo climatico violento, invece, che attributi ha? La zuppa su Van Gogh può essere definita un’azione violenta? Si può definire violenza anche se applicata agli oggetti?

All’interno dell’enorme movimento della lotta ecologista le opinioni si moltiplicano e si dividono: la mia è una fra tante.

Mi rendo conto che l’appeal generale del movimento ambientalista degli ultimi anni sia dato da quella che chiamerò, per comodità, “bassa radicalità”, intendendo gli scioperi, i presidi, eccetera, cioè le categorie di azioni dimostrative che possono ricadere nella definizione di nonviolenza di cui sopra. Sono convinta che il nostro posto nel dibattito pubblico come istanza politica, competente e propositiva sia dovuto in gran parte a questo appeal non violento, che ci ha permesso di portare i nostri contenuti ad un pubblico ampissimo. Io credo molto in questi contenuti e nella loro comunicazione. Invito chiunque a leggere i documenti e le agende di Fridays For Future, come Ritorno al futuro o la più recente Agenda Climatica, che provano la competenza e la validità delle proposte e opinioni di attiviste e attivisti.
Personalmente, sono abbastanza convinta che lo spazio per sviluppare queste proposte si debba all’immagine “poco radicale”, che può essere accettata dalla maggioranza del pubblico fuori dalla bolla dell’attivismo, soprattutto sui social media.

Ora, vedendo questo spazio riempito dalla miriade di opinioni sul lancio della zuppa, non posso fare a meno di interrogarmi sul contenuto politico che potrebbe trarne una persona qualunque al di fuori di questa bolla: come già detto, penso che già solo il fatto che faccia parlare di sé lo renda un gesto potente. La provocazione dietro all’azione di Just Stop Oil è il fatto che ci si indigni di più per l’imbrattamento di un quadro che per gli effetti catastrofici della crisi climatica.

Mi viene spontaneo chiedere: Okay, e poi?

A cosa porta questa indignazione? Ha convinto delle persone a darsi all’attivismo? Ha scomodato in alcun modo chi detiene la colpa della crisi climatica, quando, ricordiamoci sempre, il 72% delle emissioni mondiali è provocato da 100 multinazionali?

Nella stragrande maggioranza dei casi, nessuna delle due opzioni si realizza.

Il tempo scorre. Io penso che l’indignazione, il boom mediatico di certi gesti, sia già qualcosa, ma di breve durata e sicuramente insufficiente. È ovvio che per riuscire ad occupare in modo efficace degli spazi, mediatici o fisici che siano, è arrivato il momento di alzare l’asticella del conflitto. Quindi, perché non farlo davvero miratamente?

Il movimento ecologista ha ben chiari i colpevoli della crisi climatica, ha ben chiare le soluzioni sistematiche, ha ben chiaro chi le debba applicare: per questo ha il potenziale di far davvero paura a chi detiene questo sistema insostenibile ed ecocida, come in parte sono convinta già faccia. Ci siamo guadagnati una posizione in vista nell’immaginario collettivo, è giunto il momento di usarla. Scomodare chi è davvero a capo della crisi climatica – multinazionali e istituzioni – senza potenzialmente creare la disapprovazione di parte della popolazione, come possono fare azioni quali blocchi stradali, consente di raggiungere e potenzialmente “attivare” fette di pubblico sempre maggiori. Questa idea sta prendendo piede, lentamente, ma neanche troppo, nel movimento: si pensi all’enorme successo di Come far saltare in aria un oleodotto di Andreas Malm, che tratta proprio di questo: l’uso mirato e strategico della proprietà, per esempio centrali a carbone e oleodotti, come parte integrante della lotta climatica.

Non so se definirei tutto questo necessariamente con violenza, ma di una cosa sono sicura: il movimento ecologista ha il potenziale di alzare il livello di conflittualità, e quindi di efficacia, come le grandi lotte della storia. Si pensi ad una parte spesso dimenticata della prima ondata di femminismo, quando anche le suffragette usavano come tattica la distruzione di proprietà: nel 1908, ruppero i vetri della residenza del primo ministro; durante una delle incursioni più grandi, nel 1912, bloccarono la maggior parte del centro di Londra distruggendo le vetrine di decine di negozi. Queste azioni erano complementari alle mobilitazioni di massa nonviolente.

Stiamo ancora capendo come, ma una strada si sta sicuramente aprendo.

Scrive Naomi Klein nel suo On Fire: Quando si è su una rotta così pericolosa come lo è la nostra, le azioni moderate non portano a risultati moderati. Portano a risultati pericolosamente radicali.

È arrivato il momento di comportarsi di conseguenza.

Cecilia Fiacco

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