Il PD e le sue passioni tristi

Triste fine di un partito senza visione.

In pochissimi giorni il Partito Democratico e i suoi esponenti hanno inanellato una serie di prese di posizione politiche una più indifendibile dell’altra che mettono concretamente in evidenza a cosa si sia ridotto l’erede (si fa per dire) di quello che fu il più grosso partito comunista dell’Europa Occidentale, un partito che, con tutti i suoi errori, limiti e contraddizioni provava a dare (almeno fino a un certo periodo) voce agli strati più deboli della società.

CONTESTARE SALVINI (DA DESTRA)
Prima immagine.
Votazione della fiducia sul Decreto Sicurezza fortemente voluto dal Ministro dell’Interno Salvini.
Il PD organizza una contestazione esponendo i cartelli: “Decreto Salvini #MenoSicurezza #PiùClandestini.
Se uno dovesse interpretare alla lettera il cartello non potrebbe che essere d’accordo.
La nuova legge infatti rischia di far passare nella clandestinità migliaia di persone.
Poi però uno riflette e…
E si accorge che la contestazione è culturalmente e politicamente succube delle posizioni politiche leghiste.
Il PD va al traino di Salvini cercando di sorpassarlo a destra.
Del resto, si rivendica fieramente l’operato di Minniti (in corsa per la segreteria del partito) colui che ha realmente bloccato gli sbarchi dalla Libia con inconfessabili accordi coi vari potentati di quel paese e i cui risultati il leader leghista si è prontamente intestato.
Si va al traino dell’agenda politica dettata dalla Lega scordandosi uno dei comandamenti fondamentali della politica in Italia.
La gente, quando deve scegliere tra la destra e una sua fotocopia sbiadita sceglie sempre l’originale.

BEPPE SALA E IL LAVORO DOMENICALE 
Ospite di un convegno in Bicocca, a proposito del paventato progetto del governo sulle chiusure domenicali (se dovessimo scommetterci diremmo che sarà l’ennesima promessa non mantenuta) Sala ha dichiarato: “Se le vogliono fare in provincia di Avellino le facciano, ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti”.
Una dichiarazione che se l’avesse fatta il sindaco leghista Formentini nei primi anni ’90 sarebbe stato lapidato.
Certo, tanti milanesi hanno dato ragione a Sala, del resto Milano è la metropoli del lavoro, dei dané e del senso pratico.
E anche a molti di noi è scappato un sorriso immaginandoci la frase pronunciata col pesante accento da milanese imbruttito che caratterizza il Sindaco.
Ma forse sarebbe il caso di chiedere a chi lavora la domenica cosa ne pensa.
Siamo sicuri che con stipendi più alti, minore ricattabilità-precarietà e reali possibilità di scelta i lavoratori sarebbero in maggioranza felici di lavorare la domenica?
E inoltre le domeniche lavorative hanno consentito ai colossi della grande distribuzione di asfaltare la piccola.
Possibile che ci si sia riscoperti tutti iper-lavoristi e produttivisti schierandosi contro ogni forma di sostegno che garantisca la continuità di reddito e scordandosi lo slogan: “Lavorare meno, lavorate tutti”?
In aggiunta a ciò Sala ha fornito uno splendido assist alla coppia di fatto Salvini-Di Maio.
Il primo (udite udite!) lo ha praticamente accusato di razzismo (dimenticandosi dei suoi fasti secessionisti coi cori su napoletani e finezze del genere).
Il secondo si è eretto a difensore dei lavoratori sfruttati.
Oggi Sala ha dovuto scusarsi…
No comment.

IL SÌ-TAV E LA MARCIA DEI 40.000
Ultimo capitolo, ma probabilmente il più scabroso e squallido è quello del TAV.
Di fronte a un paese che perde i pezzi (già dimenticato il Ponte Morandi?) e che va a gambe all’aria di fronte a un po’ di pioggia si è deciso che il TAV Torino-Lione è una questione di vita e di morte.
Miliardi e miliardi devono essere buttati su una linea che vede il suo traffico decrementare da 30 anni a questa parte.
Su quella battaglia si è saldata un’alleanza di potere…ma sarebbe meglio dire un’ammucchiata mostruosa di cui il PD è ovviamente capofila.
Quest’alleanza che spazia dal PD alla Lega passando per Forza Italia e tiene dentro Confindustria, grandi giornali, potentati economici per finire coi gruppi neofascisti sabato ha portato in piazza a Torino diverse migliaia di persone.
Ma non c’è limite al peggio!
Nelle ore successive Monica Canalis, responsabile della Scuola di Formazione Politica del PD piemontese (annamo bbbene! come avrebbe detto la Sora Lella) ha improvvidamente paragonato l’iniziativa SÌ-TAV con la Marcia dei 40.000 dell’Autunno 1980.
Ovvero quanto di più reazionario e conservatore sia successo in questo paese negli ultimi decenni.
Una marcia, ricordiamolo, organizzata dai capi e dai quadri della FIAT (e spinta e foraggiata del management aziendale, Romiti in primis) per opporsi all’occupazione della fabbrica fatta dagli operai che lottavano contro 14.469 licenziamenti (ripetiamo quattordicimilaquattrocentosessantanove).
Una marcia cui si aggregò tutta la Torino che non ne poteva più che gli operai dicessero la loro su come dovevano vivere e che voleva che tornassero al loro posto.
La battaglia che sancì la sconfitta del movimento operaio italiano e l’inizio del progressivo peggioramento delle condizioni di tutto il mondo del lavoro.
Giova ricordare che la FIAT non ricambiò la cortesia (ma sarebbe meglio dire il servilismo) dei suoi capi e capetti facendoli progressivamente fuori nei 15 anni successivi.
Di questo si gloria una esponente del Partito Democratico. A lei e a quelli come lei ha prontamente risposto il movimento NO-TAV lanciando per l’8 dicembre una mobilitazione a Torino.

Serve aggiungere altro?

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