Ponte sullo Stretto: un’opera anacronistica

Non voglio parlarvi delle difficoltà tecniche e tecnologiche della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, perché secondo il progetto definitivo di Webuild (qui le FAQ) – ancora in aggiornamento, date le 239 richieste di integrazione da parte del Ministero dell’Ambiente (qui) –, sono state prese tutte in considerazione e, almeno in linea teorica, superabili: sarebbe il ponte sospeso più lungo al mondo, con una campata di 3,3km, pronto a oscillare in occasione dei fortissimi venti (fino a 300 km/h) e compatibile con un sisma di magnitudo Richter fino a 7,5.

Non mi interessa riflettere sull’enorme rischio di dare avvio a una gigantesca macchina di riciclaggio per la ‘ndrangheta – del resto, tutti e tutte hanno sott’occhio cosa è successo per EXPO (qui), la grande opera più recente in Italia; o per la A2 Salerno-Reggio Calabria (qui), ancora, nonostante si pensi conclusa, in costruzione.

Non voglio neanche pensare ai costi ambientali, non solo in termini di impatto locale (trasformazione della biodiversità e della geomorfologia), ma soprattutto in termini di consumo di risorse: quanta acqua servirebbe per impastare il calcestruzzo di un’opera del genere, per dire? Persino l’uso di dissalatori è stato escluso, vista la difficoltà di smaltire la salamoia di risulta. Senza dimenticare che, secondo alcune stime, le emissioni di C02 e particolato dovuto al traffico di mezzi su strada aumenterebbero (qui).

Voglio parlarvi delle opportunità politiche. Il ponte è un’opera anacronistica. La fase progettuale, dal primo concorso del 1969 (qui il progetto di Musmeci) fino al progetto definitivo approvato dalla Società Stretto di Messina nel 2011, è durata più di quarant’anni, costando quasi mezzo miliardo di euro. Secondo le stime migliori tra approvazione del progetto definitivo, elaborazione, consegna e approvazione del progetto esecutivo, inizio, durata e conclusione dei lavori, il ponte potrebbe essere pronto tra 6-10 anni. Probabilmente di più.

La necessità di costruire il ponte risale agli anni Sessanta, durante il Boom economico e il corrispondente incremento dell’uso dell’automobile (anche se in realtà, come ricorda la pagina di architettura L’ortoincolto, il “sogno” di un ponte risale all’epoca romana). La domanda è: nel 2035, circa settant’anni dopo il primo concorso, l’opera a quali esigenze risponderà? Quale sarà il suo ciclo di vita (WeBuild dice duecento anni)? Con un costo preventivato di 4,5 miliardi solo per l’attraversamento, circa 5,3 per le opere di collegamento, 1,1 per opere non direttamente funzionali, stiamo parlando di più di 10 miliardi di euro complessivi. Con l’inflazione, le normali difficoltà di progetto, gli immancabili imprevisti, a quanto arriveremmo? È pronto, poi, un piano di business che preveda la sostenibilità dei costi di manutenzione? Saremo in grado di gestire con serietà la manutenzione, visto ciò che è accaduto al ponte Morandi?

Se davvero il collegamento della Sicilia alla Calabria fosse così urgente, continuo a chiedermi, perché mai avremmo aspettato così tanto tempo per provare a costruirlo? Perché non esistono – provate a controllare, sia per e da Reggio Calabria sia per e da Villa San Giovanni – collegamenti marittimi intensi, per auto, camion, treni, persone?

Non riesco a distogliere il pensiero dal fatto che la decisione di costruire il ponte sia dettata dalle opportunità politiche che genera. È una voce di bilancio spendibile a livello finanziario ed europeo (secondo WeBuild «Il Ponte sullo Stretto assicurerà un incremento della ricchezza prodotta su scala nazionale pari a €2,9 miliardi l’anno, equivalente allo 0,17% del Pil», ma come?); in continuità coi dubbi sulle collusioni mafiose, sarebbe praticamente la destinazione preferita di quel gigantesco ufficio di collocamento che sono diventati i ministeri; sarebbe una mossa molto forte a livello simbolico, infine un’enorme opera di distrazione dell’opinione pubblica.

In verità il ponte non verrà mai realizzato, perché è il perfetto alibi: la discussione che genera esaurisce tutte le energie. Ogni infrastruttura e ogni servizio nelle regioni Calabria e Sicilia dipendono, psicologicamente, dalla realizzazione del ponte. Ma il ponte è un’opera utile solo se considerata superflua, cioè addizionale.

Calabria e Sicilia sono sull’orlo del baratro. A parte la compromessa viabilità interna –sia stradale, sia autostradale, sia ferroviaria – le regioni stanno affrontando ondate di alte temperature e siccità fuori norma (per esempio), col rischio che in pochi anni venga a mancare completamente la disponibilità di acqua potabile. Il dissesto idrogeologico, i boschi che bruciano, la desertificazione, le coste che vengono erose ogni anno. Avete pensato che, se dovesse davvero accadere un terremoto di 7,5 di magnitudo, magari il ponte non crollerebbe, ma tutta la Sicilia e la Calabria sarebbe rasa al suolo? Ancora abbiamo di fronte agli occhi le immagini di distruzione del terremoto del 1908.

A cosa ci serve un’altra grande opera, quando davanti abbiamo la più grande crisi ecologica e sociale della Storia?

Per fortuna, i comitati No Ponte lottano per tutti e tutte – e lo fanno rischiando molto, visto la progressiva criminalizzazione, da parte di questo governo, del dissenso. Qui trovate alcuni documenti che approfondiscono la contestazione; qui le prossime iniziative culturali coordinate dai Giovani No Ponte, per il 24 e 25 agosto.

Demetrio Marra

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Una risposta a “Ponte sullo Stretto: un’opera anacronistica”

  1. Gianni Sartori ha detto:

    https://bresciaanticapitalista.com/2024/09/05/vicenza-7-settembre-2024-ieri-contro-il-dal-molin-oggi-per-i-boschi-dei-ferrovieri-la-lotta-continua/

    segnalo anche che poi le manifestazioni si sono svolte con grande partecipazione popolare, senza intoppi
    GS

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