Reportage da Ventimiglia: intervista a due solidali di Popoli in Arte

Continua il reportage da Ventimiglia che vi ha accompagnato per tutto Agosto. Andremo a raccontarvi le parole dei solidali che operano sul confine italo-francese, che nonostante una continua e feroce repressione nei loro confronti, continuano ad agire per garantire ai migranti in transito la possibilità di avere un pasto caldo, nuovi vestiti e assistenza legale con la speranza che prima o poi il confine possa riaprire. Questa volta, per tutti e tutte.

In questa settima puntata vi riportiamo un’intervista fatta a due solidali di Popoli in Arte residenti a Ventimiglia. Ci racconteranno della loro associazione e di come vivono da cittadine la situazione di Ventimiglia.

  1. Che cos’è Popoli in arte? È un’associazione nata dieci  anni fa da persone che vivevano  in diverse parti  del Mondo – Brasile, Haiti, Ventimiglia – e che condividevano un sogno: quello della diffusione dell’educazione popolare secondo il metodo Freire. Consiste nell’attivazione di processi di coscientizzazione, quindi di cittadinanza attiva dal basso, che favoriscano il dialogo tra le parti Sud e Nord del Mondo, tra il Primo Mondo e il Secondo Mondo. È un processo di consapevolezza che può essere liberatorio e può portare a una società più inclusiva.
  2. Tu sei di Ventimiglia? Sono una napoletana trapiantata a Ventimiglia da dieci anni. froont a  -Come hai visto in questi anni l’evolversi del flusso migratorio qui a Ventimiglia?  Ventimiglia è una terra di confine e ovunque c’è un confine c’è un flusso migratorio costante. Se vai a guardare studi fatti da enti importanti nel passato, vedrai che qui c’era da vent’anni un flusso continuo di afghani che sono sempre passati inosservati e nessuno ha mai notato il fenomeno, eppure c’erano. La situazione è diventata un’emergenza per la città nel Giugno 2015, credo, perché il colore della pelle delle persone che passano da qui è cambiato. Gli afghani sono più o meno bianchi, i profughi che sono incominciati ad arrivare – sudanesi, etiopi eritrei- sono neri. Il cambiamento di colore ha reso il fenomeno più visibile.
  3. Che reazione hanno avuto i ventimigliesi? Guarda, la mia opinione è questa: nei primissimi mesi (metà Giugno 2015) fino a quando è stato creato il primo campo della Croce Rossa – quello vicino alla stazione- la cittadinanza aveva risposto in modo molto solidale. C’erano persone che portavano i panini, prodotti per i bambini, si fermavano in stazione per avere dei momenti di intrattenimento e di gioco con chi era lì. Dopo la creazione del primo campo della Croce Rossa, c’è stata una divaricazione tra chi ha cominciato a vivere questa presenza come un’occasione per essere solidale e chi ha cominciato a viverla come un problema.
  4. Attualmente la cittadinanza lo vive più come un problema? Abbiamo assistito a due cortei contro i migranti in queste ultime settimane.  Si la cittadinanza, non tutta, lo vive come un problema.  Ventimiglia è composta da 23000 abitanti e in quel corteo c’erano all’incirca un centinaio di persone, una rappresentazione della cittadinanza veramente esigua, però molto rumorosa, perché come al solito il bene non fa rumore. Da due anni e più c’è un esercito di persone, molto più numeroso, che si occupa della questione migranti in modo solidale, inclusivo e affettivo, mantenendo così una certa pace sociale, poiché fornendo loro cibo e cure mediche, hanno evitato che ci fossero troppe tensioni. C’è comunque gente al fiume, ma grazie all’assistenza della Chiesa delle Gianchette, della Caritas e dei solidali indipendenti hanno mantenuto la citta più pulita, ordinata e arginato in qualche modo il fenomeno. Credo che come sempre, quando c’è tensione sociale c’è bisogno di un capro espiatorio. Qui a Ventimiglia si utilizzano i migranti, ma sono questioni che non funzionerebbero a prescindere dalla loro presenza.
  5. Quante persone sono presenti attualmente a Ventimiglia, il fattore emergenza è ancora molto forte? Per quanto mi riguarda l’emergenza depo c’è anche con una sola persona che ha bisogno di essere accolta e assistita. I flussi sono diminuiti soltanto apparentemente, perché queste persone vengono identificate, raccolte e trasferite a Taranto. Si è creato questo gioco dell’oca, uno spostamento dal territorio per cui la pressione viene illusoriamente diminuita, mentre in realtà è solo allontanata momentaneamente. Comunque secondo me ci sono almeno 1000 persone sul territorio, sono meno visibili perché si proteggono e nascondono di più, sono meno in centro e più in periferia e questo da l’illusione che non ci siano, ma il problema è semplicemente nascosto.

Continuiamo l’intervista con una giovane solidale di Ventimiglia, anche lei appartenente all’associazione Popoli in Arte.

  1. Come i giovani ventimigliesi affrontano il problema? La maggior parte, soprattutto chi vive nelle aree più interessate al problema, sono piuttosto intolleranti, come però c’è anche chi si è dimostrato più partecipe della situazione.
  2. La presenza delle autorità è ingombrante sul territorio? image Sicuramente la zona della frontiera è cambiata molto da quando andavo io in Francia per studiare musica. Andavo due volte a settimana e non ho mai avuto problemi, ora vengo controllata. La loro presenza si sente, li vedi quando passano gli autobus per la deportazione che scendono dalla frontiera, volanti che girano costantemente, forti controlli anche in stazione..
  3. Il gioco dell’oca da Ventimiglia a Taranto quante volte a settimana avviene?  Almeno 2 volte a settimana. C’è stato un periodo in cui tutte le mattine tra le 4 e le 5 in stazione i migranti che dormivano venivano controllati e caricati sugli autobus. Le deportazioni avvengono 2 volte a settimana fisso, poi ci sono tutti gli altri momenti di servizi straordinari.
  4. Cosa pensate del lavoro delle istituzioni sul territorio di Ventimiglia? Allora la questione è veramente molto grande. Sicuramente non è il sindaco di Ventimiglia e nemmeno il prefetto di Imperia che hanno la chiave risolutiva di questo problema che è molto più grande di Ventimiglia. Quello che nel loro piccolo avrebbero potuto fare, mia opinione, è aprire un tavolo di dialogo con tutte le associazioni che operano sul territorio. Questo tavolo per un anno non c’è mai stato e avevano come unici interlocutori la Croce Rossa e la Caritas. Poi ci sono stati dei momenti di apertura con le grandi ONG che partecipano ai vari incontri . Questo non è abbastanza. Ci vorrebbe un tavolo che accolga tutti, dai comitati di quartiere fino alle organizzazioni più grandi. La città ha bisogno di dialogo, per me hanno toppato in pieno proprio nel mancato dialogo.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *