Reportage da Ventimiglia: intervista a un solidale di 20K
Continua il reportage da Ventimiglia che vi accompagnerà per tutto Agosto. Andremo a raccontarvi le parole dei solidali che operano sul confine Italo-francese, che nonostante una continua e feroce repressione nei loro confronti, continuano ad agire per garantire ai migranti in transito la possibilità di avere un pasto caldo, nuovi vestiti e assistenza legale con la speranza che prima o poi il confine possa riaprire. Questa volta, per tutti e tutte.
In questa seconda puntata vogliamo riportarvi l’intervista fatta a un ragazzo solidale del Progetto20K , attualmente presente sul territorio di Ventimiglia.
- Hai mai fatto militanza politica? Sì, ma mai in maniera organizzata.
- Da quanto segui la questione migranti? Da parecchi anni, soprattutto per ragioni di umanità, pensiero politico e curiosità personale.
- E’ la prima volta che scendi a Ventimiglia? No, sono sceso la prima volta circa un anno fa.
- Noti delle differenze con l’anno scorso? Se sì quali? Sicuramente sono cambiate molte cose, qui la situazione è decisamente mutevole e proprio per questo risulta difficile seguirne con disinvoltura tutti gli sviluppi. Rispetto ad un anno fa esatto non esiste più il campo autogestito e il centro della Croce Rossa punta ad avere il monopolio completo dell’accoglienza, nonostante gli svariati problemi strutturali e organizzativi. Infatti, il centro delle “Gianchette” gestito da chiesa e Caritas (ospita donne sole, minori e famiglie) sta subendo pressioni da parte del Comune per chiudere, mentre il cavalcavia della superstrada – sotto cui dormono centinaia di migranti – è stato sgomberato per due volte con le ruspe, costringendo i ragazzi a spostarsi temporaneamente per poi però tornare nello stesso luogo. E’ sorto da poco l’info-legal point “Eufemia”, che grazie al coordinamento di alcune associazioni sul territorio permette ai migranti di ottenere informazioni utili, di utilizzare internet gratuitamente e di usufruire di uno sportello legale gestito da operatori e avvocati. Inoltre – almeno mentre scrivo – ci sono meno rastrellamenti dalla parte italiana, sospetto per motivi di pressione politica, ma ciò non vuol dire che non vengano fatti, anzi. Le deportazioni verso il sud-Italia (hotspot di Taranto) continuano senza sosta con una cadenza di 3-4 volte a settimana, e sono infine aumentati i controlli repressivi in Francia da parte della police aux frontieres , della gendarmerie e della polizia ferroviaria.
- Come reagisce la città alla presenza dei migranti? Senza generalizzare, diciamo che il “panorama” è frammentario. C’è una parte della città, direi quella maggioritaria, che si rifugia in una paura xenofoba che mal si addice ad un paese di frontiera, abituato da sempre al passaggio dei transitanti. Per esempio, la sezione locale della Lega Nord e alcuni comitati cittadini spingono in questa populistica direzione. C’è un’altra parte della città che ha invece una posizione più moderata, ma non riuscendo a comprendere il fenomeno nella sua interezza si affida alle politiche istituzionali varate dal sindaco PD Enrico Ioculano. Queste ultime consistono in misure atte a rendere invisibili i migranti agli occhi dei cittadini in nome del decoro urbano, e in meccanismi studiati appositamente per segare le gambe alla solidarietà indipendente. E’ anche da sottolineare, infatti, come esista una fetta di popolazione locale che solidarizza con i migranti: alcuni, come per esempio la barista Delia, scelgono di palesare questa scelta aiutandoli alla luce del sole, mentre altri hanno estrema paura dei provvedimenti repressivi che potrebbero colpirli.
- Pensi che Ventimiglia sia stata un modello (di gestione dei flussi/accoglienza) che poi è stato esportato? Sì, credo che Ventimiglia sia stato sostanzialmente il laboratorio di alcune pratiche gestionali di flussi/accoglienza e di repressione politica poi riproposte in altre parti d’Italia, come ad esempio a Como. Monopolio dell’accoglienza istituzionale, eliminazione della solidarietà tramite misure amministrative (fogli di via) e penali (denunce), controlli e perquisizioni a tappeto, rastrellamenti e trasferimenti forzati (come deportazioni e rimpatri) di migranti senza documenti risultano ormai essere un modello largamente adottato dalla gestione statale. Tipico, ad esempio, è stato il caso del rastrellamento in Stazione Centrale a Milano il 2 Maggio scorso.
- Come si comportano le Forze dell’Ordine a Ventimiglia? Il loro comportamento varia in base alla situazione. A livello generale, almeno rispetto ai loro colleghi francesi, a Ventimiglia è più presente la componente razzista durante i controlli: i migranti vengono spesso intimiditi e insultati in italiano senza che possano capire una sola parola. Lo scorso anno abbiamo registrato abusi polizieschi per quanto riguarda il finger-printing e la stesura dei verbali: molti migranti venivano costretti con le botte a dare le impronte digitali oppure a firmare documenti in italiano senza l’intervento di un interprete competente. Infine, i metodi utilizzati per rastrellare e deportare i migranti risultano coercitivi e brutali, con l’utilizzo della forza fisica e la negazione dei più elementari diritti.
- Qual è la composizione sociale/nazionale/etnica dei migranti presenti a Ventimiglia? La composizione sociale è difficile da definire, visto che in condizioni di viaggio disumane queste differenze tendono ad appiattirsi e che giungendo in un Paese più ricco economicamente il ceto tende ad abbassarsi. Rispetto alla mia esperienza mi sento di dire che in larga parte i transitanti appartengono ad una classe sociale medio-bassa, con la presenza di molti studenti, universitari e laureati. La composizione nazionale/etnica varia rispetto al periodo dell’anno, ed è strettamente connessa alle guerre, alle crisi economiche, alla mancanza di lavoro e agli altri problemi internazionali. Lo scorso anno la maggioranza dei migranti era di nazionalità sudanese e sud-sudanese, ma c’era anche una minima parte di persone provenienti da Mali, Nigeria, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Somalia, Eritrea, Etiopia, Pakistan e Afghanistan. Ora vi è un netto affollamento di maghrebini e sudanesi, e questi ultimi sono il segno sintomatico di un Paese allo sfascio: la guerra civile dura ormai da anni, il Presidente Al-Bashir ha due mandati di cattura da parte della Corte Penale Internazionale dell’Aja per genocidio e crimini contro l’umanità, e molti territori sono in mano a milizie armate, oltre al fatto che le istanze autonomistiche del Sud-Sudan (resosi indipendente dal Sudan) sono ancora poco accettate dalla sfera politica nazionale. Rendiamoci conto che in uno Stato del genere l’Italia, la scorsa estate, ha rimpatriato 48 persone – tra cui parecchi renitenti alla leva – rastrellate a Ventimiglia dalla polizia. Ora rischiano la pena di morte.
- E’ vero che le deportazioni sono inutili? Sì, le deportazioni risultano inutili, costose e controproducenti. Per usare una metafora si può dire che si sta cercando di svuotare il mare con un bicchiere. Infatti, quando la pressione in frontiera è troppo alta partono i trasferimenti (i dati che abbiamo parlano di circa 5.000€ a deportazione), diretti in prevalenza all’hotspot di Taranto, a mille chilometri da Ventimiglia. Questo serve soltanto a far “sbollire” temporaneamente la situazione, visto che poi in pochi giorni i migranti riescono a tornare nella città di confine. Persino un sindacato di Polizia ha protestato contro questo meccanismo assurdo, definito da molti “gioco dell’oca del migrante” e reso possibile grazie alla complicità della compagnia d’autobus imperiese Riviera Trasporti s.p.a.
- La frontiera è chiusa. Si riesce comunque a passare? La frontiera è chiusa ufficialmente da due anni, però sì, c’è sempre qualcuno che riesce a passare. In generale è utile immaginare il territorio di frontiera come serrato e poroso allo stesso tempo. A volte si tratta di strategie di decompressione, per cui la polizia italiana chiude un occhio evitando controlli approfonditi. Altre volte si tratta invece di passaggi organizzati dai “passeur” (cui spesso fanno capo organizzazioni criminali) oppure da solidali che decidono di rischiare la fedina penale pur di dare una mano a persone in condizioni di estremo bisogno. I percorsi più utilizzati sono il tragitto seguito dai treni, i sentieri in montagna e il tunnel dell’autostrada. Si tratta perlopiù di tratte pericolose, tant’è che nell’ultimo anno sono già morte almeno 12 persone tentando l’attraversamento, senza ovviamente contare i feriti e i dispersi.
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