Votare Maroni nuoce gravemente alla salute

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La distruzione della sanità pubblica punto per punto del programma di Maroni.

Intervista ad Alessandro, ingegnere che lavora per la sanità lombarda.

Il viaggio di MilanoInMovimento nella sanità lombarda continua…

1. Maroni dice che la regione Lombardia detiene il primato in ambito sanitario e che per questo motivo intende proseguire con la stessa linea politica adottata fino ad ora. Cosa ne pensi?

Che in Lombardia vi sia una buona qualità del livello di cura è vero, come dimostrato dalla mobilità attiva (la provenienza di pazienti da altre regioni) molto alta perchè abbiamo ospedali che funzionano bene ma questo non si crea in dieci, quindici anni al contrario è il risultato di un sistema di strutture complesso e di investimenti pregressi, quindi non è vero che negli ultimi anni c’è stato questo miglioramento rispetto a prima.

L’OMS dice che i nostri indicatori (come Regione e come Nazione) sono i migliori al mondo con una stima di vita attesa alla nascita tra i primi posti al mondo (insieme a Giappone e Svizzera) e con la mortalità infantile più bassa a livello mondiale. Questo è dato da un tessuto di servizi e formazione degli operatori che vengono da lontano, da molto tempo addietro. In Lombardia i dati sulla mortalità sono equiparabili a quelli nazionali e questo è dovuto all’intuizione della normativa nazionale del ’78 che funziona in termini di sistema universalistico, sistemi di prevenzione primaria e secondaria.

A proposito di questo, il programma di Grillo prevede tra i suoi punti quello di ridurre drasticamente la prevenzione secondaria perchè sostiene che spesso venga fatta con il solo scopo di assecondare le case farmaceutiche. Tu sei d’accordo?

No, affatto, anzi, il fatto che proponga una cosa del genere è inquietante. La prevenzione secondaria intesa come, per esempio, screening, percorsi diagnostici prenatali, vaccini, ha impatto in termini di efficacia sulla mortalità infantile e sulla vita attesa proporzionalmente all’implemento di queste forme di prevenzione. Per questo motivo è inquietante quello che dice Grillo: diminuire gli esami diagnostici preventivi che sono proprio quello che ci tiene così in alto.

Riprendendo il discorso di prima: il concetto di continuità col passato ha senso?

Il concetto di continuità alla base del loro programma sanitario è impostato sul discorso di Maroni che sostiene che la regione funziona bene, abbia funzionato bene e per questo vuole porsi in logica di continuità col passato. La politica fatta fin’ora non ha risposto alle aree di fragilità, alla necessità di continuità assistenziale, alle aree di precariato e ha portato ai disastri fuori controllo: questa è una buona presentazione per il futuro? Vorrei capire come si ha il coraggio di dire che si debba agire in continuità. Lo raccontiamo ai pazienti della Santa Rita? Ai 400 dipendenti del San Raffaele licenziati? Alle famiglie che devono cercare una badante? Vogliamo raccontarlo a chi si è sentito dire che l’assessore Zambetti ha raccolto voti dalla ‘ndrangheta? Oggi si dovrebbe parlare di discontinuità.

2. Dal programma di Maroni leggiamo “Il modello sanitario lombardo assume come suo principio originario il diritto elementare di garantire al paziente la libertà di scegliere dove curarsi, in strutture pubbliche piuttosto che private, senza alcun aggravio di costi a suo carico. Dall’applicazione di questo principio è nata la riforma sanitaria che è stata varata nel 1997.” E’ vero? Siamo sicuri sia un vantaggio?

No, questa è la prima grande bugia. Il sistema universalistico nasce nel ’78 con la riforma sanitaria che afferma che tutti i cittadini hanno diritto a ricevere cure adeguate ovvero l’applicazione di quello che c’è scritto nella Costituzione solo che prima del ’78 non era rivolto al cittadino. Questo perchè fino a quel momento vigeva il sistema delle mutue secondo il quale ognuno aveva un suo sistema di assistenza dipendente dalla mutua che possedeva in base al proprio posto di lavoro. Dal ’78 viene così sancito il principio della costituzione secondo il quale tutti i cittadini hanno diritto alle stesse cure.

La riforma regionale del ’97 è stata resa possibile da una piccola variazione che introduce una variabile nella riforma del ’78 (rif. Decreto 502) risalente al 1992: le prestazioni del sistema sanitario nazionale possono essere erogate o dalle strutture pubbliche o da quelle private accreditate. Insomma questo cambiamento non è stato determinato da loro nel 1997 come afferma Maroni.

A partire da questo la regione Lombardia si differenzia poi per il fatto che qualunque privato può essere accreditato perchè la regione non pone limiti (anche se è necessario rispondere a dei requisiti pubblici, ovviamente), mentre in tutte le regioni questi limiti vengono stabiliti. Questo non è sempre un bene perchè, come abbiamo esaminato nelle precedenti interviste, porta a un esubero di offerta e a distorsioni dei pagamenti e quindi dei sistemi sanitari in generale.

Un’altra bugia è il fatto che per il cittadino lombardo non sia aumentato il costo delle prestazioni sanitarie.

Le regioni possono applicare l’addizionale Irpef (aumentare la tassazione sulle persone fisiche) e la regione Lombardia è stata la prima a imporre l’aliquota massima dall’inizio di questa possibilità. Siamo la regione che paga di più in assoluto di addizionale Irpef, con i ticket più alti livello nazionale; nonostante questo gli ambiti non coperti dal sistema sanitario sono notevoli pur pagando più volte lo stesso servizio.

3. Un’altra cosa che sostiene Maroni è che la Lombardia spenda poco complessivamente per ogni cittadino garantendo una buona assistenza sanitaria e per questo propone la formazione di una macro-regione del nord. E’ vero? Ha senso questa proposta della macro-regione?

I recenti dati ISTAT relativi al 2011 dimostrano che la Lombardia ha una spesa esattamente pari alla media nazionale: 1.850 euro di spesa sanitaria pubblica per ogni abitante. La questione alla base della proposta di fare una macro-regione al nord, ovvero la presunta minor spesa sanitaria, è un’altra bugia: dal rapporto ISTAT sappiamo che tra Bolzano e la Val d’Aosta abbiamo la più alta spesa pubblica sanitaria mentre la più bassa viene registrata in Sicilia. Il punto è che non si tratta solo di un problema di spesa ma di appropriatezza della spesa e di efficacia delle prestazioni.

Maroni però sostiene che “noi siamo la dimostrazione che si possono fornire servizi eccellenti a costi inferiori rispetto ad altre realtà territoriali che spendono il doppio o il triplo senza garantire elevati standard qualitativi.” e che “sono le altre Regioni che devono attrezzarsi per fornire prestazioni al nostro livello rispettando i nostri livelli di spesa”. Non è vero?

Innanzitutto, come già visto, i dati ISTAT dimostrano che spendiamo in media come il resto delle regioni e in secondo luogo dovremmo stabilire cosa vuol dire eccellenza: vuol dire che siamo attrattivi per pazienti da altre regioni? Sicuramente, tanti pazienti del meridione vengono a curarsi in Lombardia (come anche in Toscana, Emilia e Lazio) però:

1. siamo veramente convinti che spingere oltremodo verso il regionalismo, e quindi guardare solo verso il nostro piccolo orticello, possa rilanciare il sistema sanitario nazionale? Siamo convinti che ignorando i problemi del resto del paese la Lombardia possa mantenere questo livello di sanità?

2. l’eccellenza va stabilita sulla base del confronto di una pluralità di indicatori di efficacia del sistema come quelli considerati negli indicatori Quars dai quali risulta che la Lombardia, pur essendoci ambiti di eccellenza (come le strutture per acuti) ce ne sono altri che funzionano male. Alcuni esempi sono l’assenza di psichiatria sul territorio, l’assenza di servizi sanitari e sociosanitari per anziani che fanno sì che abbiamo lo stesso numero di badanti dell’intera Germania!

Dai Quars vediamo che per trovare la Lombardia nella classifica del macro-indicatore salute è necessario scorrere l’elenco (dopo Emilia, Friuli, Umbria) per trovare la Lombardia, presentando un aumento della mortalità evitabile.

Un altro dato inquietante che deve far pensare è questo: l’Istat rileva a livello regionale il pezzo di sanità che ognuno di noi paga di tasca propria (perchè non viene coperta dal sistema sanitario nazionale) e questo è aumentato del 5% negli ultimi 10 anni (da 14 che era è passato a 19% della spesa complessiva). Insomma, aumentano i soldi richiesti al singolo cittadino: se il pubblico dà sempre meno, devo pagare più cose di tasca mia e in momenti di crisi si rischia che i primi a non potersi permettere l’esborso di queste somme siano gli individui più fragili: si sta calcando la mano sempre sugli stessi!

4. Una delle parole chiave del programma di Maroni è welfare, sei d’accordo col loro modo di intenderlo?

Un punto del loro programma molto importante è quello di far nascere il welfare dalla famiglia, sostenendo la famiglia come primo erogatore di welfare. Introduce inoltre il “fattore famiglia” ovvero la possibilità di pagare meno i servizi di welfare a seconda del numero di figli (tema caro a Formigoni) e richiama il concetto di sussidiarietà secondo il quale tutto quello che eroga già la famiglia non deve essere erogato dal pubblico. A Milano però il 30% delle famiglie è mono-individuale e questa agevolazione in base ai figli risulta quindi indirizzata a un pezzo molto piccolo di società che non comprende quella delle famiglie monoparentali, delle famiglie allargate o di quelle più fragili ma che comprende solamente il concetto di famiglia tradizionale con una stimata capacità contributiva solo in funzione del numero di figli.

Tutti i punti successivi del programma di Maroni, come quello sulla differenziazione dei servizi sull’intensità di cura, non hanno senso se si parte da un concetto di welfare con “fattore famiglia”. Un supporto delle situazioni critiche basato su una minore erogazione di servizi e un maggior appoggio ai nuclei familiari è un sistema di welfare basato su un modello di sussidiarietà parziale: non erogo servizi perchè do un aiuto economico, ma avendo un reddito minimo il vaucher erogato dalla regione non vale praticamente niente, non permette di acquistare i servizi necessari. In questo modo si differenzia il tipo di assistenza sanitaria ancora una volta sulla base delle disponibilità economiche del cittadino. Il pagamento del welfare in relazione al numero figli non considera la capacità di reddito che invece a mio parere dovrebbe essere il criterio più importante alla base di qualsiasi considerazione sul welfare. Ambrosoli nel suo programma parla di organizzazione del welfare sulla capacità di reddito: non di un’idea di famiglia che mi deve suggerire qualcun altro.

5. Un altra parola chiave delle campagna elettorale di Maroni è competizione dei sistemi sanitari. Secondo te è sana, è positiva per l’efficienza dei sistemi sanitari?

Con la competizione le strutture finiscono per “rubarsi” i pazienti e rimangono così in piedi solo quelle che rispondono meglio alle logiche di mercato, ma non tutti i cittadini hanno indicazioni chiare su quali strutture funzionino meglio, non hanno parametri di efficacia su cui basarsi. Sarebbe meglio parlare allora di collaborazione tra strutture: questo è anche, a mio parere, il modo migliore per uscire dal problema pubblico o privato oltre all’individuazione di parametri di efficacia controllati dalla regione.

La collaborazione tra strutture deve avere come obiettivo quello di capire in che modo rispondere meglio alle esigenze di salute e con il minor utilizzo di risorse (ed è di questo che si parla nel programma di  Ambrosoli).

6. Su “Quotidiano Sanità” Maroni ha sostenuto che “si dovranno rivedere i criteri di accreditamento delle strutture, basandosi sull’effettiva efficacia ed efficienza, introducendo ferrei sistemi di controllo qualità” e nel programma afferma “fin dal 2004 Regione Lombardia controlla infatti quasi il triplo delle prestazioni rispetto a quanto previsto dalla normativa nazionale.” Questi controlli di cui vanta un maggior numero rispetto alle altre regioni sono reali?

Innanzitutto, nonostante nell’intervista affermi questo, nel suo programma si parla di efficienza e controllo solamente in generale: è evidente che non vengono nominati appositamente dei metodi di controllo per non prendere impegni seri.

Maroni parla di un sistema di controlli “da aumentare ma che già funziona bene”: attualmente viene controllato il 5% delle prestazioni erogate dai privati. Se funziona così bene perchè sono stati possibili casi come quello del San Raffaele, o della Santa Rita dove sono intervenute prima le magistrature dei controlli della regione? Perchè all’Humanitas è dovuta intervenire la magistratura a condannare il primario sul caso delle protesi di valvole cardiache? E’ evidente che il sistema dei controlli vada completamente rivisto e dire che ha funzionato solo perchè di numero maggiore rispetto agli altri non è sufficiente (anche perchè un confronto con il controllo di regioni come la Toscana, che di strutture private non ne ha o con regioni che ne hanno pochissime, si capisce che non ha senso)

7. Un altro punto del programma di Maroni prevede di “ridurre ulteriormente le liste di attesa attraverso la maggiore specializzazione degli ospedali”. Cosa significa?

Certo, non tutti gli ospedali  possono fare tutto ma si devono differenziare nei diversi settori, ma in che modo questo può incidere sulle liste d’attesa? Non si capisce! In nessun modo!

In più non possiamo dimenticare, come fatto nel suo programma, gli Irccs con il loro importante apporto anche in termini di malattie rare, soprattutto essendo la regione con il maggior numero di Irccs privati in Italia che assorbono finanziamenti per la ricerca e richiederebbero un’attenta analisi: che fine fanno questi fondi? Nel programma di Maroni non ce n’è traccia e questa è una mancanza grave, non casuale. Ambrosoli, per esempio, fa riferimento a questo punto sostenendo sia possibile intervenire in quell’ambito in quanto la ricerca negli ospedali è fondamentale per l’evoluzione clinica.

8. Altro punto del programma di Lega-PdL: “Promuovere la sempre maggiore appropriatezza gestionale degli erogatori e identificare costi standard uniformi per l’acquisto e l’erogazione dei servizi sanitari e sociosanitari, migliorando ulteriormente i sistemi di controllo con nuovi criteri di valutazione e confronto delle performance”. Non è quello che sostenevi anche tu fosse necessario, nella scorsa intervista?

Si, il problema è che si tratta di una frase vuota; perchè non affronta il problema della competenza dei manager e di come vengono scelti?

L’assessore leghista Bresciani della giunta Formigoni (non dimentichiamo che dal 2005 la sanità è stata in mano alla Lega) in occasione dell’ultimo rinnovo dei direttori generali ha detto che è giusto che la politica scelga i direttori generali sulla base del peso del voto popolare, ovvero mediante lottizzazioni! La Lega in tutti questi anni ha sposato il concetto dei direttori generali scelti dalla politica.

Gestire oggi gli ospedali in modo efficace deve partire da competenze certificate di esperti (scelte cliniche, rischio clinico) non dal partito d’appartenenza dei candidati. Ambrosoli per esempio dice  “Dalle appartenenze al merito”, propone una rivoluzione nelle logiche di selezione di manager e dei professionisti che trovo condivisibile.

Un esempio pratico che rende bene l’idea è come oggi vengono selezionati i primari: tramite un concorso pubblico attraverso il quale vengono identificati tre persone ugualmente idonee valutate da una commissione composta anche da esterni e in seguito dalla scelta del direttore generale, tra questi tre, di uno. Perchè dev’essere il direttore generale a scegliere chi alla fine diventerà primario? Dare priorità al merito significherebbe assegnare il posto di primario al migliore di quei candidati giudicato dalla commissione. La nomina dei direttori generali, in particolare, è di esclusiva competenza regionale: è giusto quindi che i candidati si esprimano a proposito di questo. La posizione assunta da Ambrosoli è quella di volere una selezione del personale dirigenziale affidata a soggetti esterni al mondo della politica che si assumono la responsabilità.

9. Quale credi sia il problema più grave del programma sanitario di Maroni?

Il programma di Maroni è fortemente carente su un aspetto: il sistema sanitario come un sistema stagno e indipendente rispetto agli altri ambiti di welfare: i servizi sociali e i sistemi delle pensioni. Insomma sistema sanitario, assessorato alla famiglia e Inps non dialogano. Se una giovane madre ha bisogno di un aiuto deve rivolgersi prima al sistema sanitario, poi all’Inps per richiedere un assegno di maternità (se ne ha diritto) e poi deve fare la fila al settore famiglia per ottenere qualche sostegno alla maternità. Non ha senso che questi tre ambiti non dialoghino tra loro. I sistemi sanitari e di assistenza e quelli di supporto dell’Inps devono interagire tra loro mentre nel programma di Maroni non c’è traccia di questa cosa. E’ fondamentale che la necessità di una persona non venga vista come parcellizzata a partire da cose semplici da realizzare come la riunificazione dei due assessorati (oggi distinti!): quello per i servizi sociali e quello per i servizi sanitari, altrimenti inevitabilmente si lascia un’area grigia dove nessuno dei due risponde. Tutte le relazioni di fine legislatura hanno evidenziato una carenza di continuità assistenziale ed una frammentazione di supporti e non è mai stato fatto nulla, dimostrando assoluta sordità ai problemi reali delle persone.

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