Dalla Brianza alla Repubblica Democratica del Congo: la storia di un insegnante

KinshasaEmilio è un insegnante che sta lavorando da qualche mese nella Repubblica Democratica del Congo, paese di cui abbiamo più volte parlato e che sta vivendo in questi mesi una fase di particolare fragilità ed instabilità politica. Lo abbiamo intervistato. Ecco la sua storia.

1. Chi sei e cosa fai in Congo? Dove vivi?

 “Ho 57 anni, sono insegnante di informatica e sistemi di telecomunicazioni all’Itis A.Greppi di Monticello Brianza, e ho deciso di prendermi un anno sabbatico. L’anno sabbatico è previsto dal nostro contratto e consiste in un anno di aspettativa non retribuita.

Se le cose vanno come previsto, passerò metà di questo anno in Repubblica Democratica del Congo, su un nuovo progetto che sta partendo, e i restanti mesi in Paraguay, su un progetto già in essere da alcuni anni.

Durante un mio viaggio esplorativo nel 2010 per vedere se c’erano progetti adatti a me a Kinshasa, mi è stato chiesto di collaborare all’avvio di un centro di formazione per giovani che hanno abbandonato il loro percorso scolastico normale.

Il centro si affianca ad uno femminile già in essere da alcuni anni e prevede un primo anno di recupero, per gli studenti analfabeti o analfabeti di ritorno, un anno di preparazione e poi la scelta fra 4 indirizzi (elettricista, elettronica, tecnica del freddo, idraulica).

In questi mesi mi sono occupato sostanzialmente della messa a punto dei percorsi formativi, della stesura dei programmi di insegnamento, della preparazione del materiale didattico e nella definizione della struttura dei laboratori.

Il lavoro non è ancora terminato anche se la parte che mi riguarda si concluderà a fine mese. Alcuni finanziamenti saltati hanno costretto al rinvio di un anno l’apertura del centro, il quale pur essendo terminato non può essere adeguatamente attrezzato (arredi e materiale di laboratorio).

Ho fatto partire, a sostegno della fase di avvio, un progetto di sostegno per gli insegnanti. Il centro, a regime, dovrà evidentemente essere autonomo e quindi sostenuto dalle rette che gli studenti pagheranno. Non avrà, almeno nei propositi, finanziatori esterni. Ma nella fase di avvio è necessario costitutire un fondo per garantire gli stipendi agli insegnanti.

 Il luogo in cui vivo è nel quartiere di Kingasani, pochi km prima dell’aeroporto. Una grande periferia che si è sviluppata rapidamente e che si sta ancora estendendo. Senza infrastrutture, senza fognature, l’acqua distribuita in modo approssimativo, senza raccolta rifiuti, l’elettricità a singhiozzo.

Una grande baraccopoli costruita su un terreno sabbioso che diventa fango impraticabile dopo le piogge. Spazzatura ovunque, topi, condizioni igieniche precarie, le latrine lungo la strada.

Migliaia di piccole chiese locali, improvvisate, con pastori auto proclamati tali, mantenuti dai fedeli e che mantengono i fedeli nell’ignoranza. Stessa situazione in tutti i paesi in via di sviluppo. Da sempre si dice ci sia una mente dietro ciò, un progetto strategico di distruzione del potere della chiesa cattolica e protestante, che invece si occupano della popolazione in modo più concreto.

 2. Qual è la situazione umanitaria attuale? quali sono le criticità che sta vivendo la popolazione dopo l’avanzata dei ribelli dell’M 23?

 “A queste domande faccio fatica a rispondere, in quanto il problema è veramente lontano da Kinshasa. L’ho sfiorato durante un mio viaggio al nord, nei giorni in cui M23 ha preso Goma. Ero stato a Isiro, verso la fine dell’emergenza ebola,e ho potuto solo assistere al movimento dei mezzi militari dell’Onu e della Croce Rossa all’aeroporto di Kinsangani.

Qui a Kinshasa la lettura che tutti danno è che le multinazionali (loro dicono gli americani e gli europei) finanziano il Rwanda e i ribelli per prendersi i territori ricchi di miniere, e che Kabila sia d’accordo.

 Se le prime due domande sono relative alla situazione umanitaria qui a Kinshasa, direi che le criticità principali sono quelle classiche, causate da un livello di corruzione altissimo a tutti i livelli e a cui ho dovuto assoggettarmi, dalla mancanza di organizzazione del territorio, dalla disoccupazione ad altissimo livello, dall’inesistente controllo delle nascite. A questo si affianca la sopravvivenza dei modelli tribali di controllo sociale che, se possono avere un senso nella realtà dei villaggi, qui nella città diventano generatori di problemi, per cui ad esempio chi rimane vedova si vede togliere tutto quello che ha che viene restituito alla famiglia del marito, e rimane sola con i figli sulla strada.

La vita nel quartiere è all’insegna della sopravvivenza quotidiana. si cercano i soldi per comprare un po’ di manioca per nutrire i figli. Il lavoro stabile è fortuna di pochi. Le condizioni abitative precarie. Le aggressioni a colpi di machete sono comuni la notte.”

 4. Cosa si potrebbe fare in Italia per sensibilizzare le persone sulla situazione del Congo?

 “La vedo difficile, anche perché il modello di sviluppo occidentale ha bisogno della guerra del Kivu per il coltan. Ma sicuramente la conoscenza dei problemi reali legati alle ricchezze (coltan, legname, energia, minere) e come il nostro modo occidentale di vivere sia legato a questo, credo potrebbe aiutare.

Aiutare a vedere non scollegati dalla nostra vita quotidiana di consumatori occidentali la realtà drammatica di questo paese, non solo nella zona di guerra ma anche nella realtà della megabaraccopoli di Kinshasa, sicuramente potrebbe aiutare a vedere con occhi diversi le cose.”

Per conoscere il progetto dove lavora Emilio

Il blog di Emilio

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