Milano l’è bela

vecchia_milano_00009Oggi ho appreso dai giornali che l’assessore D’Alfonso di qui a due settimane presenterà una nuova delibera per disciplinare in modo più restrittivo la concessione di aree pubbliche nelle zone del centro per gazebo, bancarelle, artisti di strada e quant’altro. Bene, se così fosse, voglio scrivere giusto due cose, di corsa, da cittadina milanese.

Ho 29 anni e sono nata a Milano. Sono cresciuta nell’era Albertini, mi sono laureata sotto il regno della Moratti. Poi sono partita, ho vissuto altrove e poco prima della campagna elettorale di Pisapia, sono tornata nella mia città.

Vivo nell’area C, la zona in cui abito durante il giorno è assediata dai colletti bianchi del tribunale, durante la settimana della moda dalle fashion victims e durante il Salone del Mobile da amanti del design.

L’unico negozio di alimentari superstite nella mia via ha i prezzi di una gioielleria, mentre il macellaio, il merciaio e il salumiere hanno ceduto il passo da ormai diversi anni a una cioccolateria all’ultimo grido, a una compagnia telefonica e a una super catena di intimo.

Mi ritengo giovane, anche se non più giovanissima, mi sento al passo coi tempi, vanto amici di ogni origine e specie e trovo stimoli un po’ ovunque. Frequento i social network, mi avvalgo del crowdfunding per finanziare alcuni dei miei lavori, non disdegno la mondanità milanese e bazzico le serate più ggiovani della movida. Non puzzo di muffa, tanto per capirci…

Eppure, ogni tanto, mi prende un po’ di nostalgia. Eppure, se chiudo gli occhi, vedo un’altra Milano, che ho vissuto. Senza andare tanto indietro nel tempo, vedo i giardini davanti al Mom invasi da un tripudio di giovani che parlano, ridono, piangono, si studiano, si baciano, scambiano idee. Vedo le viette intorno a Sant’Ambrogio invase dal profumo del vin brulè e dalle opere artigianali e di riciclo spontaneo di amici, conoscenti e sconosciuti. Vedo una Fiera di Sinigallia lungo le rive della Darsena. Vedo delle panchine in stazione Centrale. Vedo la Stecca degli Artigiani strabordare di giovani, mostre, proiezioni, musica. Vedo la piscina Botta invasa di bambini.

Eppure, se continuo a chiudere gli occhi, vedo un’altra Milano, che ho vissuto nei racconti dei miei genitori e dei miei nonni, così come nelle fotografie in bianco e nero di qualche decennio fa. Vedo mia madre giocare per strada con altri ragazzini, vedo mia zia scavalcare muretti tra un civico e l’altro di via Podgora, vedo mio nonno andare a raccattare concime per i suoi fiori dietro ai cavalli dei Carabinieri, vedo mio padre andare a giocare a carte al bar, vedo giardini intorno alla casa dove abito, vedo un arrotino passare per strada gridando, vedo semplicemente, un lattaio sotto casa.

Sono una scienziata, studio la geotermia, ho un pannello solare sul tetto e smanetto al computer. Mi piace guardare avanti e non amo tornare indietro. Ma, cazzo, un po’ di nostalgia per le cose autentiche di Milano ce l’ho. Detesto gli studenti che arrivano da fuori e si innamorano di Milano per corso Como o gli aperitivi sul Naviglio Pavese anziché per il Rattazzo o il Frizzi e Lazzi, detesto i turisti che dedicano giornate intere a fotografare il quadrilatero della moda anziché a stanare vecchie botteghe, detesto gli scrocconi delle notti del Salone che si esaltano per un po’ di serate alcol free e detesto la gente che aspetta il sabato pomeriggio per andare al Coin davanti a casa mia.

Non è questa la mia Milano. E per questo, pur non essendo un’assidua frequentatrice delle bancarelle e pur non mangiando spesso caldarroste, vorrei mercati, bancarelle di artigiani, venditori ambulanti e artisti di strada in ogni angolo della mia città. Milano, resisti!

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