Le carceri: cimitero dei vivi. Riflessioni sulla possibilità di riforma

“Le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta: noi crediamo di aver abolita la tortura e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura più raffinata; noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che ammaniscano a goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti o scuole di perfezionamento dei malfattori (…).”

Filippo Turati, Camera dei Deputati, 18 marzo 1904

 

“Le carceri italiane, cimitero dei vivi; erano così cinquant’anni fa, sono così oggi, immutate. (…) I figli sono cresciuti, sono cresciuti i nipoti; ma il nostro sistema carcerario medievale è rimasto com’era. Anzi, sotto qualche aspetto, è peggiorato: perché se nei primi quindici anni di questo secolo, per la tenacia di apostoli isolati, si vide sorgere anche in Italia qualche stabilimento carcerario modello ispirato a criteri civili di igiene e di umanità, la condizione generale delle carceri è oggi ricaduta negli orrori di un tempo. E ciò per due ragioni: sotto l’aspetto edilizio ed igienico, (…), oggi anche nelle prigioni vi è una spaventosa crisi degli alloggi, che condanna a rimanere stivata in locali diminuiti di numero e ridotti a nude mura, una popolazione carceraria sovrabbondante; e più sotto l’aspetto spirituale, perché il passaggio del ventennio fascista ha deliberatamente portato nella disciplina dei reclusori, colla riforma della legislazione penale e dei regolamenti carcerari, un soffio di gelida crudeltà burocratica e autoritaria, che senz’accorgersene sopravvive al fascismo.”

 

Queste parole sono state scritte dalla rivista “Il Ponte” nel numero 3 dell’anno 1949 ma sembrano essere state scritte oggi.

Che la situazione carceraria oggi sia una terrificante emergenza non è più una novità, o forse non lo è mai stata.

Per chi scrive, il carcere, di per sé, non è realmente riformabile, rappresenta una delle tante contraddizioni della nostra democrazia: qualsiasi finalità di utilità sociale si voglia attribuire al diritto dello Stato di punire, il carcere non sembra idoneo a perseguirla.

Chi scrive pensa, altresì, che aldilà del dibattito teorico che risale a un epoca ben lontana dalla nostra e non è certo destinato a risolversi in questi anni, vi sia la necessità di agire e premere affinché nel concreto si facciano dei passi avanti nelle politiche sociali verso un sistema più accettabile sotto il profilo anche solo umano, aldilà di ogni posizione ideologica assunta.

Le carceri nel 2012 versano in condizioni pessime dal punto di vista strutturale (edifici in numero insufficiente, fatiscenti e obsoleti) e soffrono di un sovraffollamento endemico (la popolazione carceraria supera di gran lunga i posti disponibili reali).

Questi due motivi contribuiscono a rendere, nella maggior parte degli istituti, pressoché nulla l’offerta carceraria quotidiana, ossia le attività organizzate per riempire le ore delle persone detenute, al fine di rendere un po’ meno senza senso le lunghe giornate e al fine, presunto e teorico (e tutto da vedere se condivisibile), di raggiungere quel fantomatico obiettivo legislativo rappresentato dalla rieducazione e dal reinserimento nella società esterna una volta scontata la pena.

Per nulla nuova e originale ma evidentemente necessaria è la considerazione ulteriore che per riformare il sistema carcerario oggi bisogna agire soprattutto e in via primaria sulla legislazione penale: depenalizzare condotte che nulla hanno della condotta penale illecita (e in direzione totalmente contraria si è, invece, proceduto negli anni passati con l’emanazione di leggi criminogene – Bossi-fini, Giovanardi etc.), intervenire in modo massiccio e veramente incisivo sulla misure alternative al carcere di modo che esso sia veramente ultima ed estrema ratio.

“Il solo spazio di riformabilità del carcere è quello offerto da una prospettiva politica orientata se non al definitivo superamento della pena privativa della libertà, certo ad una sua progressiva riduzione (qualitativa e quantitativa) nelle politiche penali.

Il tema della riformabilità del carcere sembra doversi iscrivere all’interno delle sole politiche inclusive dello stato sociale.” Massimo Pavarini in rassegna penitenziaria.

Ma nel presente, non solo in Italia, queste politiche sono assenti o del tutto insufficienti. Infatti, anche i tentativi di riforma di questi ultimi mesi del governo Monti risultano una goccia nel mare.

Le parole lette all’inizio, scritte ormai nel secolo scorso, trasudano da un lato speranza e rabbia che ancora nulla sia cambiato, ma al contempo impotenza  e desolazione rispetto a un sistema immutato dal cambiamento di epoche, regimi e forme di governo.

E nel 2012 esse risuonano lugubri più che mai.

 

Si consiglia la lettura del rapporto del DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria) “resoconto aggiornato sul sistema penitenziario” aggiornato al 31.08.2012

Buona lettura

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