Le Facce di bronzo di Expo 2015
Ci sono due strani clienti al bar del padiglione italiano ad Expo 2015. Corpi scultorei. Pelle scura, quasi bronzea. Strane barbe, uno stranissimo cappello. Si ostinano a chiedere, con uno stranissimo accento, ‘nduja e frittole. Piccolo particolare: sono nudi, ma nessuno ci fa caso. Nessuno ci fa caso perché intorno non c’è nessuno.
Nessuno al bar, vuoto perché le aste per assegnare la gestione dei punti ristoro dell’Expo che doveva “nutrire il pianeta” sono andate deserte.
Nessuno intorno all’ “Albero della vita”, lo spettacolare monumento al centro del padiglione italiano: dopo vari ridimensionamenti, è stato infine cancellato.
Nessuno nell’intero padiglione. I sigilli dell’antimafia non sono un grande invito ad entrare.
Un po’ irrigiditi, i due calabresi girano i padiglioni: sono gli unici che sono venuti. Un viaggio complicato, con le pedane antisismiche e l’aria condizionata. Erano così emozionati: vedere, dopo quelli che gli erano sembrati secoli, una grande città, gente di tutto il mondo, luoghi nuovi. Invece, nel bianco abbacinante del padiglione, l’unico altro ospite sembra essere un folle, con una capra al guinzaglio, che corre disperato per le sale dicendo “Portiamo tutto a Milano! Qui i Bronzi, nell’angolo il Colosseo, appeso al muro il Quarto Stato, lì di fianco il Quinto elemento, in mezzo la Gioconda, davanti alla porta l’Arco di Trionfo e dietro Franco Baresi. Presto, le gondole dove sono? E l’Etna? Vi siete dimenticati di sposare l’Etna? Capra, chiama i traslocatori! Capra! Capra!! Capraaaa!!!”
La capra, poverina, non può sentirlo: ha scoperto l’unico spazio verde rimasto in Lombardia, un’aiuola di mezzo metro quadro nel parcheggio, risparmiata solo perché dopo Brebemi, pedemontana, vie d’acqua, Tem, alta velocità e grattacieli inutili, è finito il cemento. Rendendo silenzioso e religioso omaggio a questo altare di una civiltà scomparsa, la capra lo sommerge di fitti e piccoli pallini marroni, poi presa dall’emozione soffoca tra smog e polveri sottili.
All’interno dell’Expo dedicata al cibo, intanto, la situazione sta precipitando: nessuno vuole rifocillare i milioni di ospiti attesi (previsti dapprima 20, poi 9, poi “facciamo una macchinata”, infine “andate voi che vi raggiungo dopo”). La dirigenza di Expo sta vagliando l’unica offerta sul tavolo, proveniente dalla Ugolino SPA, pronta a rilevare i punti ristoro di Eataly – il trattamento dei dipendenti rimarrà lo stesso.
Eppure, se solo riuscissero a mettere il naso fuori dalla fiera, i due scoprirebbero che Expo è ritenuta un grande successo: tutto è andato come doveva andare, soprattutto tutto è andato dove doveva andare. I soldi sono andati alle persone giuste. I manganelli anche, anche se sono persone diverse. Il cemento è stato messo dove serviva (e anche in parecchi altri posti, ma nessuno è perfetto). L’unica cosa che è andata a qualche persona sbagliata sono le manette, ma si sa che per fare una frittata bisogna rompere qualche uovo.
Stupiti, i due unici ospiti della fiera scoprirebbero che nonostante la sbandierata vocazione ambientalista, Expo ha contribuito a ricoprire Milano e la Lombardia di soldi e di cemento, ma un cemento particolare, reso instabile da un fenomeno che chiunque avrebbe previsto: le infiltrazioni. Mafiose, s’intende. Ma loro non possono sapere niente: d’altronde cosa c’entrano due vecchie statue con un evento dedicato a nutrire il pianeta? È quello che si chiedono certamente anche loro, mentre vagano per la grande fiera vuota.
Se i due poveri calabresi potessero scoperchiare le fondamenta dei capannoni, scoprirebbero che le basi su cui poggia Expo sono fragili, e anzi iniziano a cedere: la fiera non poggia su cemento, non ha strutture di sostegno. L’intera area espositiva, infatti, poggia su una uniforme e pericolante base di mazzette. Sepolti metri sotto le mazzette, i due amici troverebbero forse qualcuno in grado di comprendere il loro dialetto, qualcuno che proviene dalla loro stessa zona, ma che a Milano si è ambientato benissimo. Ma non credo che un picciotto della ‘ndrangheta avrebbe molto da dire a due statue greche – in fin dei conti, è difficile che un dito di bronzo venga “punciuto”, come prevede la cerimonia di affiliazione alla ‘ndrangheta.
Così, mentre le mazzette prendono la via di conti cifrati in Svizzera, di sale VLT che agiscono come efficienti riciclerie, di attività apparentemente sane ma dedite in realtà alla ripulitura di denaro, le fondamenta si svuotano e iniziano a traballare. Pian piano, lungo le infiltrazioni e le mille crepe di questa Expo, l’intero edificio trema, si muove, infine crolla rovinosamente al suolo sollevando una nube di polvere e menzogne.
Alla fine, quando si placa la tempesta, nella gigantesca area fieristica rimangono in piedi solo le due statue: si accorgono che, in tutto il casino che li circonda, le facce meno di bronzo sono le loro.
L’ultima immagine di questa Expo sono due uomini nudi, lunghi capelli e pelle bronzea, che fanno l’autostop lungo autostrade deserte, un cartello in mano con scritto “Riace”.
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