Pareggio in bilancio?Austerity costituzionale

I giochi sono fatti.

Il pareggio di bilancio è entrato a far parte ieri della costituzione italiana, in un silenzio misto a complicità dei media.

Viene sancito – con la modifica agli art. 81, 97, 117 e 119 della Costituzione Italiana – di vincolare costituzionalmente qualunque governo a mantenere il bilancio dello Stato in pareggio.

Questo uccide definitivamente lo stato sociale.

C’è la possibilità di sfondare il muro dello zero a fine anno, ma solo per motivazioni economiche e previa autorizzazione della Camera con maggioranza assoluta.

Il dominio del mercato sulla politica è giunto al culmine.

Uno stato diventa a tutti gli effetti un’azienda: la retorica sul malvagio debito pubblico ha portato ad accettare silenti questo drammatico passaggio che pone grossi ostacoli ad uno sviluppo equo e democratico della società italiana.

Le speculazioni sui debiti pubblici sono il nemico, non la contrazione di un debito sano e necessario per creare un welfare state che dia diritti e possibilità a tutti. Il pareggio di bilancio è stato votato con una schiacciante maggioranza. Una tale percentuale di voti favorevole cancella la possibilità di avere il referendum confermativo sulla modifica costituzionale.

Se ci fossero stati dei dubbi ora è chiaro che il cosìddetto centro-sinistra non è per nulla differente dal governo Berlusconi in materia economica.

Tutti, nascondendosi dietro la protezione del governo tecnico, hanno mostrato il loro status di servi della Banca Centrale Europea e del mercato.

L’austerity in Italia non sarà più un passaggio transitorio ma è costituzionalmente approvata, il pareggio in bilancio obbliga lo stato a spendere quanto introita, non ci sarà più la possibilità di stanziare fondi aggiuntivi per nulla.

Lo stato sociale non potrà più essere finanziato.

Una riforma del welfare basato sul bene comune e sul redditto di cittadinanza in queste condizioni è utopia materiale, non solo concettuale.

Ora inizierà l’ipocrisia della politica e dei politici che daranno in pasto ai media la retorica del taglio degli sprechi e della lotta all’evasione fiscale come soluzioni, aggiungendo che con queste ricette non solo non ci saranno tagli sostanziali e cancellazione dei diritti, ma addirittura si tracceranno le basi per una società più equa e giusta nel nome della legalità.

Il silenzio è complice. Il pareggio di bilancio non può essere accettato.

Le politiche della BCE braccio armato in Europa del capitalismo finanziario stanno distruggendo e svendendo i futuri di tutte le persone.

Qualcosa di forte ci vuole. All’immobilismo della “sinistra” istituzionale (partiti e sindacati) si aggiunge la disgregazione della società civile e la debolezza dei movimenti sociali.

C’è le necessità di aprire un dibattito pubblico tra movimenti, un dibattito che sappia diventare pensiero maggioritario per poter diventare resistenza attiva e concreta a questa situazione. Un dibattito tra le realtà sociali che non deve ambire solo a resistere ma a cambiare l’esistente.

Non possiamo nasconderci l’incapacità di aprire una vertenza pubblica dal basso c’è, i movimenti sociali in questo momento non sono capaci di ricomporsi per creare un pensiero alternativo maggioratario. Le responsabilità sono diffuse e su queste bisogna interrogarsi, scavare a fondo e ripartire.

Le conseguenze sono il silenzio ed il vuoto con cui è passato il pareggio di bilancio ma anche con cui si discute la riforma del lavoro, la fine della Lega Nord ed in generale della crisi.

Qualcosa di forte ci vuole, un movimento, unito e pervasivo.

 

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