Profughi eritrei: dopo il deserto, una piazza.

22052014932Ormai da più di un mese la città è percorsa da un consistente numero di giovani eritrei che non sanno dove poter essere accolti, molti arrivano dalla sicilia e coltivano il desiderio di andare altrove per raggiungere parenti ed amici all’estero.
Per saperne di più abbiamo intervistato Medhin, giovane attivista di g2 (seconde generazioni) che nelle ultime settimane si è occupata di assistere i profughi eritrei giunti a Milano.

Medhin, questa nuova ondata di profughi eritrei che origini ha? Provengono dall’Eritrea o anche da altre zone del nord Africa non più sicure?
“Sono quasi tutti eritrei, ma ovviamente prima di arrivare in Europa hanno affrontato diversi passaggi intermedi, tra cui la traversata del deserto e l’ingresso in Libia, non è un viaggio diretto quello Eritrea- Italia e rischi e delusioni cocenti sono all’ordine del giorno, infatti sono tutti molto sfiduciati e stanchi.
Una volta arrivati fin qui, poi, trovano una società che non è pronta e attrezzata per accoglierli: per i numeri, per il tipo di situazione che è oggettivamente complicata da gestire, per le risorse che richiede e per il fatto che attualmente non c’è alcun fondo stanziato per questo tipo di emergenza e oggi che banalmente piove, per noi è un problema: non abbiamo strutture per sostenere la situazione. In questo momento il supporto sanitario è offerto dai medici dell’unità mobile di stazione centrale che vengono volontariamente un paio di volte a settimana e che abbiamo contattato direttamente grazie a conoscenze personali. In egual modo ci siamo organizzati per la gestione dei pasti e la distrubuzione dei vestiti. Il tutto è avvenuto grazie all’ impulso di un commerciante eritreo, o forse etiope, ma poca importa, che vive e lavora in zona e che sta dedicando il suo tempo e lo spazio del suo negozio per rispondere a questa emergenza. In coda a lui si sono aggiunti tanti tra cui io stessa”.

Avete ricevuto qualche forma di aiuto in queste settimane dalle istituzioni milanesi?
“Dunque all’inizio si sono presentati diversi assessori. Ricordo di avere incontrato personalmente l’ assessore Maran (trasporti), ma so che anche altri sono passati in momenti diversi. In generale sono venuti per prendere visione personalmente della situazione e in parte per proporre possibili soluzioni. Tutte le proposte formulate non tenevano però conto dei numeri che avremmo dovuto gestire e il fatto che la maggior parte delle persone sono in transito e non hanno intenzione di fermarsi in Italia. Gli unici obbligati a fermarsi, infatti, sono quelli già identificati e che, se dovessero uscire dall’Italia, sarebbero riportati indietro. Le destinazioni principali sono in realtà i paesi scandinavi e la Germania.
Gli eritrei presenti ora sono tutti senza documenti, solo pochissimi di loro sono stati identificati.
Altre organizzazioni tra cui il Naga hanno dato disponibilità a collaborare nell’assistenza, purtroppo però anche la presenza di troppi operatori rischia di diventare una questione di ordine pubblico, problematica da gestire per i profughi e per l’amministrazione comunale che ha espresso la necessità di non far sostare troppe persone nello stesso punto. Paradossalmente anche noi che li supportiamo vorremmo che fossero altrove, assistiti in modo più adeguato di quanto possano fare dei semplici volontari.
Ciò che riusciamo a fare è semplicemente rendergli più agevole la permanenza in una situazione in cui ci sono continui arrivi e contine partenze”.

Puoi darci dei numeri rispetto agli arrivi di queste settimane?
” La situazione cambia continuamente, da domenica ad oggi i numeri sono più contenuti, attualmente le persone sono più o meno un centinaio, ma nei momenti di picco ci siamo relazionati anche con 200 persone circa. Se devo fare una previsione futura seconde me aumenteranno con l’aumento degli sbarchi. ”

L’Amministrazione si è confrontata con voi rispetto al futuro?
” Il Comune sembra intenzionato ad occuparsene sul lungo termine, ma rispetto all’emergenza non sa come muoversi”.

Cosa vi racconta chi è appena arrivato?
” Ogni persona ha una storia e ciascuna delle loro storie meriterebbe un libro, tra l’altro parlano con estrema leggerezza di esperienze vissute molto pesanti. Una delle giovani ragazze che abbiamo incontrato ci ha raccontato di essere una delle sopravvissute al naufragio del 3 ottobre (300 vittime) e ora ha una figlia molto piccola fortunatamente sana, era partita incinta! Quindi incontrarli e assisterli anche in queste condizioni ci rende felici, perchè sappiamo che sono sopravvissuti all’esperienza del viaggio e molti sono giovanissimi”.

Qual’è la situazione in Eritrea?
” Se le persone sono disposte ad affrontare tutti i rischi di un viaggio lungo, faticoso che può significare morire, la situazione non può essere delle migliori. I miei genitori quando c’era la guerra negli anni ’70 sono arrivati in aereo in Italia, oggi i miei cugini e i miei coetanei arrivano affrontando i così detti viaggi della speranza e sostengono una spesa che rappresenta anni di risparmi di una comune famiglia, pagando dai 1200 ai 1800 euro.
Dal ’98 a cinque anni dall’indipendenza il clima è cambiato, sono anni che non vengono indette libere elezioni e la pressione della compagine militare è evidente, il servizio militare è obbligatorio per uomini e donne e quando finisce non hai una formazione adeguata per costruirti un futuro. Purtroppo arrivano sempre più giovani, ma dell’Eritrea non se ne parla neanche in Italia, un paese con innegabili legami storici e dove se chiedi dov’è l’Eritrea qualcuno non sa neanche rispondere, eppure..”

Voi che siete qui e li vedete arrivare cosa pensate?
” Le reazioni sono diverse. Io non riesco a non fare il paragone con me stessa. E’ diffcile immaginarsi di lasciare tutto e imbarcarsi. Attraversare il deserto, affidarsi a sconosciuti e spendere i soldi che la famiglia ti manda con grande fatica e forse, forse arrivi. E anche quando arrivi sarà molto, molto difficile e io penso solo a farli stare bene per il tempo in cui li incontro”.

Cosa ne pensi dell’idea che l’italia accolga la proposta di un corridoio umanitario?
” Penso che sarebbe la soluzione migliore, ma penso anche che l’italia non sia pronta. Ogni città rimette all’altra la responsabilità dell’accoglienza, non c’è coordinamento e la verità è che i profughi non vengono identifcati perchè il paese non ha idea di come affrontare una situazione che da anni si presenta uguale a se stessa, differentemente dall’emergenza siriana in cui la guerra in cui versa il paese è di attualità. Di Eritrea non si parla e l’Eritrea è come se non esistesse”.

Medhin, dove dormiranno stasera i profughi?
” Grazie alla comunità si sant’Egidio probabilmente anche stasera tra le 50 e le 60 persone dormiranno sotto un tetto, gli altri, se non conoscono qualcuno disponibile ad ospitarli, dormiranno fuori, o sotto le stelle o sotto la pioggia, per questo stiamo cercando di capire quali posti in più possa mettere a disposizione il Comune”.

Chi volesse dare un contributo in cibo, bevande e vestiario può recapitarli in
Largo Fra’ Paolo Bellintani orari pasti 13 o 19, chiedendo di Negassi o di Medhin.

oppure presso
Zam domenica 25 dalle 15 in poi

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2 risposte a “Profughi eritrei: dopo il deserto, una piazza.”

  1. […] cerco su Google ed ecco la risposta: “Didn’t cross the desert to live in a square”. Tutto torna, […]

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