Sblocca Italia o Svendi Italia? Dalla repressione degli spazi sociali alla svendita del patrimonio pubblico
Sblocca Italia o Svendi Italia? Dalla repressione degli spazi sociali alla svendita del patrimonio pubblico, una riflessione del Progetto Rebeldia sul piano di agevolazioni alla speculazione del governo Renzi.
A fine Agosto, il governo della larghe intese guidato da Renzi ha partorito il decreto “Sblocca Italia”. Un decreto legge che si occupa di vaste materie molto disomogenee fra loro. In Italia però, da diversi anni si governa tramite gli strumenti d’urgenza e d’eccezione unendo tematiche disparate per sottrarre la discussione al Parlamento, luogo in cui si ricorre quasi sempre al voto di fiducia e alla mera ratifica. Nonostante questa prassi nefasta, che svuota dall’interno le procedure di garanzia costituzionali, c’è chi invoca sempre più poteri forti e concentrati o nell’esecutivo o nel Presidente del Consiglio.
Come Progetto Rebeldia di Pisa vorremmo prendere parola intorno a due grandi temi che riguardano questo decreto: la gestione del patrimonio pubblico e i beni comuni gestiti dais ervizi pubblici locali.
Il cosiddetto “Pacchetto 9”, riguardante le “misure per lo sviluppo dei beni pubblici non utilizzati”, attraverso l’alibi retorico dell’eccessiva burocrazia prevede la svendita degli immobili demaniali inutilizzati esclusivamente a soggetti privati. I beni demaniali, patrimonio comune di tutti i cittadini, saranno messi a disposizione degli investitori privati e delle società finanziarie più potenti. In questo testo si modificano le procedure in materia di riqualificazione dei beni del Demanio (incluse le caserme dismesse di proprietà del Ministero della difesa) e, di fatto, la prassi attraverso la quale opera l’istituzione medesima. Il Demanio, da soggetto che governa il patrimonio comune di tutti i cittadini, è stato trasformato da Renzi in istituzione preposta alla svendita di immobili ai privati. I beni demaniali, ovvero i beni di cui siamo tutti noi cittadini proprietari in modo collettivo e comune, sono terreno di conquista selvaggia da parte dei capitali privati.
Leggendo attentamente gli articoli dal 45 al 49 comprendiamo come, in questo momento, i beni non saranno più assegnati tramite un bando di gara, ma sarà direttamente il soggetto privato (società di gestione risparmio o imprese) che individuerà l’immobile e stillerà un progetto di riqualificazione da sottoporre alla presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’Agenzia del Demanio e il Ministero della Difesa individueranno gli immobili per la vendita e la valorizzazione, poi entro un mese il Demanio dovrà proporre al Comune una nuova destinazione urbanistica, la quale dovrà essere approvata entro i successivi 4 mesi. I Comuni riceveranno una parte dei guadagni in maniera inversamente proporzionale al tempo impiegato per l’iter di approvazione (con ricavi che oscillano tra il 35% e il 5%). La velocità del procedimento non ha di certo tenuto conto di eventuali processi partecipativi che coinvolgano la cittadinanza e ne ascoltino i bisogni. La discussione pubblica sulla destinazione di un bene comune da riutilizzare e riqualificare è stata completamente forclusa. La semplificazione delle concessioni e delle vendite del patrimonio comune in disuso – attraverso le nuove disposizioni del decreto “Sblocca Italia” – favorirà i processi di privatizzazione selvaggia dispiegando corsie preferenziali ai soggetti privati, i quali avranno mano libera nel decidere destinazioni d’uso e varianti urbanistiche a scapito dei cittadini che abitano quei luoghi e delle loro autentiche necessità. Gli articoli 36 e 37 infatti semplificano e deregolamentano le norme in materia di edilizia e lottizzazioni: il nostro Paese è ricco di abusi edilizi e conseguenti condoni, anziché potenziare controlli che tutelino il paesaggio, l’ambiente e la salute si favorisce la speculazione. Altro esempio significativo dell’interesse di questo governo per l’ambiente e i processi democratici di partecipazione e dialogo con gli specifici territori è l’articolo 15 (Misure urgenti per l’individuazione e la realizzazione di impianti di recupero e di incenerimento dei rifiuti urbani), per cui è previsto che il governo decida dall’alto e in maniera centralizzata le ubicazioni dei così detti “incentitori”. Gli enti locali saranno meri esecutori di un piano nazionale, saranno obbligati a dimezzare i tempi “delle procedure espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale”. Avranno quindi l’alibi di evitare qualsiasi confronto con le comunità che si troveranno a dover subire gli effetti dei nuovi impianti. E se non attueranno nei tempi prescritti, interverrà il governo con un commissario a completare le opere.
Il pacchetto esclude, ad esempio, la possibilità di presentare richiesta di riutilizzo sociale senza fini di lucro da parte di reti di cittadinanza o associazioni attive nel territorio. La volontà di favorire i privati a scapito dei bisogni reali dei cittadini è ormai chiara. In periodo di crisi economica come questo, sarebbe molto più lungimirante assegnare gli immobili demaniali inutilizzati con un comodato d’uso gratuito alla gente senza casa, alle reti di cittadinanza che dal basso creano nuovi servizi e nuove forme di mutuo aiuto, ad artigiani e piccole o medie attività economiche in difficoltà nel pagare l’affitto, alle reti antirazziste per avere dei luoghi idonei dove accogliere i numerosi migranti richiedenti asilo; insomma il nostro patrimonio immobiliare comune potrebbe essere riutilizzato ad uso sociale, per combattere le crisi e affrontare le emergenze sociali che attraversiamo. Renzi vuole “sbloccare l’Italia” con il mantra delle privatizzazioni, quando in realtà ci sarebbe bisogno di un intervento pubblico maggiore nel welfare che aiuti e sostenga i luoghi di autogestione e democrazia diretta nati in questi anni dalle mobilitazioni politiche contro la crisi. Il banale slogan renziano di fare “guerra alla burocrazia” in realtà nasconde l’intenzione di fare cassa in modo veloce, svendendo l’Italia invece di “sbloccarla”, per pagare il debito (ingiusto e non estinguibile) rimanendo nei parametri dettati dall’austerità europea. La globalizzazione neoliberista non è ancora finita, già da qualche anno infatti sta arrivando la sua morsa più dura e terribile. Il vero settore sociale che il governo della larghe intese di Renzi vuole sostenere è quello della rendita, degli immobiliaristi, degli speculatori e dei capitali finanziari. Il governo Renzi vuole “fare cassa”, la giustificazione, apparentemente incontestabile, è il pagamento del debito pubblico, l’abbassamento delle tasse e l’aumento dei salari, ma il meccanismo dell’inversione tra tempi di vendita e percentuale di guadagno ottenuta dai comuni spingerà a svalutare i beni in vendita. Inoltre l’importo ottenuto nelle migliori prospettive non sarà sufficiente né a finanziare abbassamenti consistenti di tasse, né aumenti stipendiali (che anzi sono stati bloccati per il 2015 e per ora gli 80 euro in più in busta paga sono solo uno “specchietto per le allodole” poiché non comprendono una vera ridistribuzione del reddito a partire dalle disuguaglianze sociali), né tanto meno a rallentare il tasso di crescita del debito. Invece la proposta di mettere a valore immediatamente i beni abbandonati attraverso il comodato d’uso gratuito e l’autorecupero degli spazi può stimolare la crescita a costo-zero, coscienti, però, che è necessaria la patrimoniale per incidere sul bilancio dello Stato e per ridurre le disuguaglianze sociali del nostro Paese.
Una grossa marcia indietro con lo “Sblocca Italia” verrà fatta anche sui Beni Comuni, poiché il “Pacchetto 12” (articoli 57-58-59-60) prevede l’obbligo da parte dei Comuni di privatizzare e quotare in borsa i servizi pubblici locali dei rifiuti e del trasporto pubblico. Non una semplice privatizzazione – lo ribadiamo – ma l’obbligatorietà di quotare in borsa le aziende che dovranno gestire questi servizi. Entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali dovranno collocare in borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%. Questo diktat è perentorio e non ammette eccezioni. Inoltre Renzi evita accuratamente di nominare il servizio idrico, ma da questo indirizzo possiamo dedurre l’effetto domino che provocherà su tutti gli altri servizi pubblici non nominati nel decreto legge.
Crediamo che una forte denuncia dovrebbe levarsi dai movimenti e dalla società civile, poiché tali disposizioni non solo contrastano la volontà popolare dei referendum del 2011, ma la medesima Corte Costituzionale, che dopo quel referendum si pronunciò sconfessando qualsiasi privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ancora una volta si tenta un “golpe” sui Beni Comuni e si calpesta la volontà popolare! Il “pubblico” e lo Stato si riducono per fare gli interessi dei capitali privati! I servizi locali – attraverso i quali sono garantiti diversi diritti sociali per tutta la cittadinanza – vengono consegnati direttamente alla borsa, alle società di rating e alla speculazione finanziaria. Attraverso queste disposizioni viene inaugurato un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica speculando sui beni comuni e sui servizi pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti infine sarà messa al servizio di questi procedimenti finanziari. Il sociologo David Harvey ha chiamato questo processo “accumulazione per spossessamento”, e il Governo-Renzi non sta facendo altro che partecipare a questi dispositivi di dominio dettati dal neoliberismo.
Il ruolo del “pubblico” e dello Stato non solo è in crisi ma si sta comprimendo drasticamente a favore della rendita e della proprietà privata diventando il suo vero e proprio “Cane da guardia”. Gli unici interventi seri da parte dello Stato – declinati con una precisa chirurgia repressiva – sono quelli fatti per la tutela della sacralità della proprietà. Lo abbiamo visto ad esempio negli sgomberi che ci sono stati nell’ultimo periodo nel nostro Paese: tutti decisi nelle stanze della Prefettura, con il favore o l’indifferenza, o peggio ancora all’insaputa, dei sindaci. Dal Teatro Valle, dal CineTeatro Volturno e dal Cinema America a Roma, fino a Zam e Labretta di Milano, passando per gli sgomberi dell’Ex-Colorificio Liberato e del Distretto 42 di Pisa, fino ai numerosi fogli di via dati dalla Questura di Treviso agli attivisti di ZTL-Wake Up per citare solo alcuni esempi, notiamo come i dispositivi statali siano presenti fra i cittadini solo come forza repressiva delle istanze sociali che nascono dal basso. Nessuna soluzione alternativa alla crisi – anche se piccola e nascente dal basso di chi soffre la morsa del liberismo selvaggio – è data oggi, che non sia quella di governi ed esecutivi sempre più lontani dalla volontà popolare e dai bisogni sociali dei cittadini. Siamo di fronte ad uno “Stato minimo” che però riacquista sovranità e pieno protagonismo nei momenti repressivi di chi si ribella al modello capitalista per costruire vie alternative a questo modello di sviluppo.
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