Baby Gang esce dal carcere, per i giudici i contenuti social pubblicati sono criticabili ma riconducibili a scelte espressive

Baby Gang, il giovane artista di Lecco, è stato scarcerato ed è tornato agli arresti domiciliari.
In attesa della decisione di scarcerazione, che è stata presa mercoledì 26 giugno , il 22enne ha dovuto scontare due mesi di carcere.
Il verdetto del Tribunale del Riesame di Milano annulla, di fatto, la decisione di fine aprile della Corte d’Appello del capoluogo lombardo che aveva aggravato la misura cautelare per il cantante perché, mentre si trovava ai domiciliari con braccialetto elettronico, avrebbe pubblicato “fotografie nelle quali veniva ritratto mentre impugna una pistola» finta”, ed era circondato da sacchetti di plastica (anche questi finti) pieni di marijuana. L’accusa è quella di aver violato le prescrizioni imposte e di aver comunicato con “una pluralità indistinta di soggetti, avendo pubblicato contenuti su instagram” per sponsorizzare l’uscita del suo nuovo album.
Peccato che Baby Gang, all’anagrafe Zaccaria Mouhib, era stato autorizzato dalla stessa Corte per gli shooting fotografici, la produzione di videoclip; inoltre, poteva incontrare il suo manager, che gli gestisce anche la pagina social, e anche «comunicare con soggetti terzi».
Infatti, l’ordinanza di custodia è stata annullata per mancanza di una trasgressione rilevante e perchè i contenuti pubblicati “appaiono riconducibili alle scelte espressive dell’imputato nell’ambito dell’esercizio dell’attività lavorativa che comunque egli è stato autorizzato a svolgere”.
In sostanza, un altro giovane che non riesce  ad uscire dal sistema a porte girevoli che è il carcere italiano per le persone con storie di precarietà economica, familiare, abitativa. Un altro giovane che, solo perchè è stato costretto ad azioni mosse dalla miseria, non avrà possibilità di scrollarsi di dosso lo stigma del detenuto, figurarsi se si è figli di immigrati. Un altro di quei giovani che sono facilmente condannabili e incomprensibili per chi ha bisogno di standardizzare l’identità di questo paese.

Chi si ferma solo sulla fedina penale di Baby Gang non vedrà mai i suoi sforzi artistici e personali; ha cominciato a pubblicare musica quando ancora si trovava nel carcere minorile Beccaria, un luogo più volte protagonista di rivolte interne dovute al maltrattamento dei giovanissimi detenuti, figli di famiglie e contesti difficili; è stato il primo artista in Italia a uscire dalla prigione con un permesso di lavoro per andare a registrare canzoni, sostenuto da Don Claudio Burgio di una delle comunità che negli anni lo aveva ospitato, la Kayros di Milano.
Con il successo e i primi guadagni, Zaccaria ha iniziato a collezionare diverse denunce a partire da quella per rapina per cui, pochi giorni fa, è stato assolto perchè “il fatto non sussiste”;
Quel giorno di luglio 2021 un ragazzo a bordo di un’auto nei pressi di Milano aveva denunciato di aver subito una rapina con il conseguente furto di 120 euro, sostenendo di aver riconosciuto Baby Gang. Peccato che Zaccaria si trovava a Rimini, e che il suo avvocato abbia presentato fin da subito le prove che avrebbero dovuto scagionare l’accusato fin dal primo momento.
In primo grado, il giovane artista italiano originario di Casablanca era stato condannato a 4 anni e 10 mesi per rapina e altri capi di imputazione. Questo nonostante ci fossero fin dall’inizio prove schiaccianti sulla sua innocenza.
Questo particolare processo segna un momento importante per la storia musicale di Zaccaria. Infatti è da quel momento in poi che le misure cautelari e repressive dello Stato, dei comuni e dei privati impediscono di fatto a Baby di lavorare con la musica, obbligandolo a concedersi solo agli studio e alla produzione di video musicali.
I continui fogli di via, i divieti a esibirsi (emessi anche all’ultimo) e la valanga di denunce che hanno travolto Baby Gang all’inizio del suo successo musicale, gli hanno impedito negli anni di potersi esibire sul palco di fronte ai suoi fan, in gran parte giovanissimi e marginalizzati dalla società. La potenza dei racconti che sviluppa nelle sue canzoni ha sfondato più volte le pareti delle carceri che ha dovuto attraversare, superando i confini italiani per arrivare in Francia, Marocco, Inghilterra, Belgio e non solo.

La storia di Baby Gang è quella di molti giovani nat* in Italia da genitori di origine straniera che animano le periferie italiane, che vivono in condizioni di evidente svantaggio sociale, segnati da una mancata inclusione e in balìa della repressione poliziesca. Non c’è successo o guadagno che riescano a cancellare il marchio di una vita alla periferia delle città-vetrina.
In un paese dove la politica istituzionale tende a criminalizzare e – a destra come a sinistra – non svolge nessun tentativo di interazione con queste classi marginalizzate, la musica diventa un potente strumento di racconto e denuncia. Di fronte allo stigma imposto dallo società, rivendicare la propria illegalità sembra sia l’unica maniera per non essere vittime silenziose del razzismo istituzionale.
Quel razzismo (della borghesia perbenista o della destra populista) che permette il reiterarsi di decisioni drastiche di esclusione, persecuzione e di confinamento, quel razzismo che non fa altro che rafforzare nei giovani marginalizzati il sentimento di ostilità verso le istituzioni. E questo sentimento, nel mondo della musica, Baby Gang lo riesce a raccontare.

Nassi La Rage

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