PROTEGGIMI #3 la ciclabile umana agisce ancora a Milano e in altre 6 città

Nella giornata di ieri si è svolta la terza tappa di ProteggiMi: un’iniziativa che vede coinvolti ciclisti e cicliste che di volta in volta segnalano coi loro corpi la pericolosità di alcuni tratti di piste ciclabili milanesi mettendo in piedi delle vere e proprie “ciclabili umane”. Se la prima tappa di novembre era stata in viale Monza, la seconda di dicembre si era tenuta in corso Buenos Aires. Quella del 24 gennaio ha invece visto come palcoscenico il tratto di bike lane che da Melchiorre Gioia conduce in Isola.
Per farci raccontare la giornata di ieri e il senso complessivo della lotta abbiamo intervistato Zeo.

-Come nasce l’idea di ProteggiMi?
L’idea nasca da un sclero…mettiamola così…di una persona che è Angelo: attivista storico sui temi della bici che è anche nel direttivo di Fiab Milano Ciclobby. Un giorno, facendo il suo solito tratto in bicicletta su viale Monza ha contato non so quante macchine parcheggiate sulla ciclabile e quindi ha detto: “Bisogna fare qualcosa, tutto questo deve finire!” e ha quindi proposto questa idea a diverse persone che si muovono in termini di attivismo nella nostra città. In questo modo è nata la prima ProteggiMi. Il format della ciclabile umana nasce dal fatto che avevamo visto l’attivazione di alcuni ragazzi e ragazze di Portland, in Oregon, a seguito della morte di una ragazza a un incrocio di una bike lane segnalato o protetto male. Questi attivisti avevano fatto un cordone umano con dei cartelli e ci siamo detti: “Facciamolo anche noi!”. Quando abbiamo organizzato il primo flash mob gli abbiamo mandato i video dicendogli che ci avevano ispirati molto!

-Ci racconti le precedenti iniziative?
La prima iniziativa è stata il 10 novembre 2022 e ha avuto un grandissimo successo con un eco mediatica imponente che ha permesso alla notizia di girare in tutta Europa. In effetti eravamo più di 300 e grazie ad alcune foto fatte dai balconi su viale Monza il risultato è stato spettacolare. La cosa interessante è che alla seconda edizione, il 3 dicembre, non eravamo più soli ma avevamo in concomitanza iniziative a Genova, Napoli e Lecce mentre oggi eravamo in contemporanea con Torino, Treviso, Firenze, Cagliari, Napoli, Roma e Bologna che l’ha fatta un paio di giorni fa. Questo vuol dire che questa cosa sta crescendo e che sempre più gente si riconosce in questa forma di lotta. Una lotta che si basa sulla ricerca di un diritto: quello di condurre in sicurezza la propria bicicletta in spazi che, in linea teorica le sono dedicati, ma che poi, nella pratica sono costantemente occupati e, in qualche modo, “abusati”. Per cui le bike lane milanesi sulla carta sono una bella cosa, ma nei fatti diventano impraticabili e pericolose. Il 3 dicembre diluviava ed eravamo comunque più di 150 persone con una partecipazione caratterizzata sempre da forme sorridenti e gioiose.

-Com’è andata la ciclabile umana di ieri in via Galvani?
Anche ieri è andata molto bene. Partendo dall’incrocio tra Melchiorre Gioia e Galvani siamo arrivati quasi in Lagosta. Ho contato circa 200 persone tra cui molte facce nuove.

-Quanti siete? Quante persone partecipano alle iniziative?
Siamo circa 10/15 promotori più uno zoccolo duro di almeno 20/30 persone. E poi arrivano ogni volta i cittadini che si uniscono all’iniziativa. Ieri veramente tante tante facce nuove. Ad oggi non siamo mai scesi sotto i 150 partecipanti.

-Avete avviato delle interlocuzioni con l’amministrazione comunale?
Il rapporto con l’amministrazione è su diversi livelli. Da una parte raccolte di firme, audizioni in Commissione mobilità, presidi sotto Palazzo Marino per ricordare il tema della sicurezza, delle strade scolastiche e della “città a 30” (km/h – ndr). Altri temi molto importanti sono la ciclabile sul Ponte della Ghisolfa, le bike lane liberate e anche il fatto che il Comune non finanzi più il Motor Show. C’è una campagna aperta di firme e quindi invitiamo tutti e tutte a firmare. Basta cercare “La città delle persone”. Abbiamo poi un “canale privilegiato” nel consigliere comunale Marco Mazzei che è anche espressione del movimento ciclistico che ultimamente ha presentato l’ordine del giorno sulla “città a 30 all’ora”. Insomma, i contatti non mancano, anche con consiglieri di zona. Il lavoro di pressione quindi è molto forte.

-Da patito delle due ruote a motore ti chiedo com’è vivere in una città non certo friendly con i ciclisti come Milano.
Allora io sono un ciclista urbano da quasi 20 anni. Ormai uso esclusivamente solo la bicicletta per muovermi. Per qualsiasi tipo di spostamento. Non è una città facile, ma ci sono sempre più ciclisti e le cose stanno lentamente cambiando.. C’è una parte molto resistente a questo cambiamento che non riesce proprio a capire la presenza in strada del ciclista. Pensano che i ciclisti in strada siano in giro a perder tempo e non che magari, a differenza di loro che si muovono in macchina per andare a lavoro, altri hanno deciso di utilizzare la bici per lo stesso scopo. C’è frizione con chi culturalmente ha difficoltà ad accettare questo cambiamento ovvero che Milano diventi una città per ciclisti. Del resto abbiamo un numero esorbitante di macchine rispetto ai numeri di altre capitali europee di riferimento. La questione della velocità è, a mio parere, una questione primaria.

-Hai notato dei miglioramenti negli ultimi anni?
Se penso a vent’anni fa i miglioramenti ci sono stati. Le ciclabili, lentamente, sono state fatte. Ma la strada è ancora lunghissima perché siamo molto molto lenti rispetto ad altre città che sono state molto più incisive di Milano. C’è ancora molto da fare. Negli atti amministrativi quotidiani manca un po’ di visione. Del resto basta analizzare i bilanci. Ci sono dei lavori programmati da tempo e che potrebbero essere fatti velocemente che non vengono realizzati in tempi decenti.

-Il rischio, come sempre in Italia, è quello della “guerra tra poveri” ovvero ciclisti vs. automobilisti. Secondo te c’è modo di evitare questa dinamica già vista e rivista?
Mi verrebbe da dirti che la guerra tra poveri è quella tra ciclisti e pedoni che poi sono quelli che ci rimettono le penne. Spesso i ciclisti devono invadere gli spazi dei pedoni per la loro sicurezza e questo crea frizioni. Del resto, parlando in termini paradossali e metaforici, “pesce grosso mangia pesce piccolo”. E quindi spesso ci sono frizioni tra i pesci piccoli e uno strapotere delle auto in termini, prima di tutto di presenza fisica straripante. Secondo me l’utenza fragile deve allearsi per rivendicare una maggiore attenzione. Non dimenticare che in Italia, se attraversi le strisce pedonali ti viene naturale di ringraziare l’automobilista mentre in realtà è un diritto! La vera battaglia culturale è quella di portare il tema della sicurezza di ciclisti e pedoni agli automobilisti che li vedono come intralcio alla loro mobilità e circolazione. Questo vuol dire rivendicarsi spazio. Far passare il concetto che andare a 30 all’ora fa bene a tutti. Alla salute, alla sicurezza ma anche alla vivibilità di una città che non deve essere aggressiva, ma umana. Vogliamo una città delle persone e non delle auto! Dobbiamo riflettere su come ridurre il numero delle auto. Altre città europee l’hanno fatto. Rimane sempre questa dimensione dello spazio pubblico che è sovraoccupato alla dimensione delle auto.

* foto di Andrea Cerchi

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