Il giorno più lungo

 

znakNell’Estate 2007, subito dopo lo sgombero dell’occupazione di Volturno 33, un gruppo eterogeneo di compagni decise di iniziare a raccogliere racconti ed interviste sui 20 anni precedenti di movimento a Milano.
Non era un periodo facile per chi faceva politica dal basso e l’intenzione era quella di produrre un libro che riuscisse a trasmettere un po’ di memoria su quel che era stato. 
Poi, nell’Autunno del 2008, venne il grande movimento universitario dell’Onda e tante altre cose presero vita. 
Ognuno si ributtò a seguire nuovi progetti ed il libro rimase una bella idea nel cassetto. 
Approfittando del lancio del nuovo sito di MIM, iniziamo a pubblicare settimanalmente alcuni dei racconti che erano stati raccolti ormai 7 anni fa. 
Ai tempi, quando proponemmo ai compagni di scrivere il loro vissuto, la traccia era fondamentalmente libera. 
Ne vennero fuori tante storie interessanti, di cui molte, inutile negarcelo, parlavano di episodi di conflittualità di piazza. 
Il movimento ovviamente è molto altro e non si riduce mai ai soli “scontri”. Noi però abbiamo deciso di pubblicare il materiale come lo ricevemmo all’epoca. Se vuoi proporre un tuo racconto scrivi pure a: milanoinmovimento@gmail.com 
Buona lettura!

* Il 30 Novembre del 1999 a Seattle, durante il vertice del WTO (World Trade Organization) nasce quello che poi sarebbe stato chiamato movimento no-global. Decine e decine di migliaia di persone scendono in strada scontrandosi con la Polizia e cercando di bloccare il vertice per contestare la globalizzazione neo-liberista in quella che passerà alla storia come “la Battaglia di Seattle”. Da quel momento i vertici delle organizzazioni internazionali vengono duramente contestati in giro per il pianeta (Davos, Nizza, Quebec City, Goeteborg…). A Praga, il 26 Settembre 2000 si svolge il vertice del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e della Banca Mondiale. Miglia di persone partecipano alla contestazione dividendosi in tre spezzoni ognuno con le sue pratiche: pink, yellow & blue block. In vertice verrà bloccato…

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Il giorno più lungo

Ero lucido, determinato e convinto che saremmo passati. Era una cosa mondiale e un delirio generalizzato. Io ero emozionato e mi sentivo piccolo di fronte a quanto era grande quell’evento e quanto eravamo grandi noi. Avevo diciannove anni, adesso mi sembran davvero pochi, stavo per andare a Praga, perché sarebbe stata un’esperienza indimenticabile, perché era importantissimo esserci, perché cuore, sogni, desideri e bi-sogni mi avrebbero fatto ostaggio se non fossi stato in quelle strade. In fondo circa dieci mesi prima c’era stata “la battaglia di Seattle” e a me si era schiuso il cuore. Da provinciale qual’ero fino a quel momento, come se fossi vissuto in un villaggio nella selva, dove una notte inizia a suonare un tamburo che racconta che nei villaggi a fianco le persone si stanno sollevando… e allora tu hai paura, ma sei eccitato, perché tocca a te, insieme a tutti gli altri minuscoli e a guardare bene semplici e quindi ribelli, sai che devi esserci.

Dei bulkanani non ci andava nessuno a Praga, io ci andavo lo stesso: a Padova sarebbero saliti dei miei amici. Già a Padova insieme a tutti i veneti che ci aspettano sul binario si riuniscono le cinque carrozze speciali che vengono da Milano e le otto che partite da Napoli avevano raccolto i compagni a Roma e Bologna. I due treni arrivano a distanza di una banchina, ci riconosciamo, la gente inizia a salutarsi col pugno, a mostrare bandiere, striscioni, ma soprattutto caschi, scudi, grossi imballaggi da portare fino a Praga. Tredici carrozze speciali che ai miei occhi sono cariche di alcune delle persone più belle e valorose con cui si possa cospirare.
La battuta che va per la maggiore sul treno è di dubbio effetto “ocio ragazzi che là sparano alla c(i)eca”. Va beh…

Alle quattro di mattina la prima sveglia, gelida, sale la polizia di frontiera ceca, imparo che si dorme con le scarpe infilate in certe situazioni, noi dobbiamo nascondere in scompartimento un compagno di Feltre senza documenti… e ci riusciamo pure! Timbrano i passaporti a tutti…”horniy dvoriste” poi avremmo scoperto che sarebbe valso l’indesiderabilità nel paese. Nei primi minuti in altre carrozze è parapiglia, si portano via una decina di compagni, poi ci riprendiamo, scacciamo gli sbirri giù dal treno e la situazione piano piano si smolla. Anzi si blocca. Non si va avanti finché un tot di “indesiderati” non scendono. Saranno le sei di mattina e i gradi centrigradi sono più o meno altrettanti, saccheggiamo l’unico negozio di alimentari del villaggio col proprietario che fa tanti di quei soldi che non ci crede e ora di mezzogiorno ha chiuso ed è andato a casa commosso. Don Vitaliano pensa bene di celebrare messa con un bongo come altare, altri invece si dilettano allo schiaffo del soldato, tipo “amici miei”, coi treni di robocop cechi che vengono a dare i cambi.

Anche se siamo tutti italiani probabilmente sospettano che non stiamo portando mandolini e spaghetti. Alle cinque ci siamo belle che rotti il cazzo, facciamo il delirio nella stazione, che è come dire bruciamo le due capanne che la compongono e quattro pezzi di legno marci che facevano da traversine, poi assemblea intorno al fuoco: tre ore per capire che non possiamo guidare noi il treno per cui o lasciamo chi ci chiedono o restiamo lì tutti in ‘sto posto dimenticato da Dio per un’altra notte. Ovviamente scegliamo la prima. Questa decisione è la prima notizia al tg di Raiuno delle otto. Ripartiamo, con dei poliziotti a scorta su una carrozza aggiunta, bah. Siamo tesi. Iniziano a sentirsi notizie di tutti i tipi “i francesi si stanno scontrando coi nazi”, “i tedeschi hanno buttato uno sbirro giù dal treno” e via di questo passo. Alle tre di notte siamo a Praga, alle quattro piantiamo la tenda allo stadio, alle quattro e un quarto… siamo al bar a bere birrette…

Il giorno dopo lo passiamo in giro per Praga, a malastrana, battendocene degli allarmi sui nazi e entusiasti di quanto poco costino le birre e impariamo a dire cittiri bier (quattro birre), boh l’avremo fatto in una ventina di bar forse. Alle due di notte rientriamo allo stadio e la mega assemblea intercontinentale tradotta in quattro lingue finisce in quel momento con un tizio che dice “italiener vordere linie, italians front line, italianos linea delantera, ligne de front d’italiens” bene. Cazzo. Un’amica mi spiega che praticamente noi siamo il blocco yellow e siamo il corteo più grosso, dobbiamo passare un ponte e che gli sbirri ci aspettano lì, ‘sti cazzi, penso, mica è lo sbarco in Normandia… vabbeh i pink e i blue ci staranno lontani… ah ehm… che cazzo è le Iene di Tarantino? Chiedo solo a che ora si parte: alle sei, guardo il cellulare, bene tra tre ore e mezzo… Fede sei il solito cazzone.

Ho gli occhi ancora impiastrati quando si sente a tutto volume nello stadio la cavalcata delle Valchirie, l’adrenalina mi dà un sacco di energie.
Praga, 26 Settembre 2000, ore 6.00, alba del giorno più lungo.
In poco divento talmente omino della Michelin dalle protezioni che mi metto che quasi la tuta bianca sopra non mi ci si infila. Alle 10 a Piazza Namesti Miru devastiamo il McDonald, va tutto bene, alle 11 siamo sul Jiraskuw most, il ponte sulla Moldava. Quello che stiamo per fare, pensavo, entrerà dalla tv nelle case di tutto il mondo. In questi cento metri tra noi e la polizia ci sta la frattura tra chi decide e chi sta sotto in tutto il mondo.

Già il ponte sulla Moldova, ci saremmo rimasti cinque ore; i gommoni saranno durati forse trenta secondi, tecnica semplice la loro: prima fila di sbirri con le lame. In pratica il pomeriggio è passato con noi che gli andavamo contro e questi menavano un po’ ma non facevano né un passo indietro né uno in avanti, se ci intestardivamo tiravano fuori gli idranti, tornavamo indietro ripartivamo, sempre più stanchi, sempre più presi male, ci davamo i cambi. L’eroe del mio pomeriggio è F., compagno romano, che ribattezziamo “er centurione” a mani nude, tra una carica e l’altra si rimetteva la vaselina in faccia e ripartiva al grido “aoh annammo”… Alle quattro del pomeriggio ci proviamo l’ultima volta, caschi, bastoni e scudi, ma siccome è l’ultima volta diamo uno strappetto alla regola: aste di ferro, sassaiola da dietro…è la situazione più pericolosa: mentre gli corriamo contro ci lacrimogenano ad altezza d’uomo io vado per terra come un cretino, mi è esploso qualcosa vicino, non ho capito se la botta che sento me la son fatta cadendo o mi hanno preso mi copro la testa con lo scudo poi sento qualcuno che mi trascina per un piede verso il corteo, bene. Non mi sono fatto un cazzo. Da dietro capisco che la situazione si stempera, ce ne andiamo, non abbiamo fatto una grande figura di guerrieri ma tant’è. Mi levo tuta e protezioni, mi accorgo solo ora che dietro avevamo forse diecimila persone, alcune davanti gridano “white overalls! white overalls!”, mi sento un po’ eroe di staminchia, ma in realtà sono ancora preoccupato di guardarmi allo specchio faccia e torace e capire se mi son fatto male o no. Andiamo a cena, io, dei ragazzi di Feltre e V., un ragazzo di Senigallia che sta al Tpo, due anni più tardi ci saremmo ritrovati insieme in piena Selva Lacandona a costruire una grande amicizia e a fuggire su una canoa dall’esercito messicano, cinque anni più tardi l’avrebbero arrestato, al corteo per la sua liberazione a Bologna c’era un sacco di gente a cui non stavo più simpatico, ma questa è un’altra storia.

A fine cena usciamo, Piazza Venceslao, una scena velocissima: 50-60 black bloccano un tram e sfasciano tutto con la gente sopra, un tizio in inglese dice che hanno beccato un delegato del Wto, un delegato russo, alzo la testa, sembra un film, c’è uno sbirro che mette in fila forse 100 celerini, li cambia di posto, arriva in fondo alla fila, alza il manganello e parte una carica allucinante, feroce, che spazza tutta la piazza ci rincorrono nelle vie, ho paura di restare accerchiato, preso, di perdere di vista gli altri…invece mi va bene, non so come, torno allo stadio, abbiamo trenta arresti, ma o ce ne andiamo subito o la polizia entra nello stadio. Tiriamo su tutto, l’avvocato Gastone mi accompagna in stazione, stanno arrestando un sacco di gente, ci aspettano con le foto della manifestazione, c’è un ragazzo polacco ferito grave alla testa (bufala), mi infilo in treno, ripartiamo.

Ricordo l’Austria vista dal finestrino.
A Milano, sul binario, ci sono quelli del Leoncavallo ad applaudirci, per me è un onore. Devo prendere un altro treno, al volo, senza biglietto, arriva il controllore, mi chiede se arrivavo da Praga… “Sì”, rispondo… “Allora non paghi”, parliamo forse per mezz’ora e a me sembra l’inizio di Terra e libertà il film di Ken Loach.
Diventa buio dal finestrino del treno, io tra me e me sono felice. Mi viene in mente Calvino quando dice che essere partigiani è essere innamorati, perché altrimenti non si può mettere in campo tutto quel coraggio, quel darsi alla macchia, quella voglia di essere migliori per sé e per gli altri, era inebriante. Era l’ultima volta forse che il mio mondo, ma il mondo tutto sarebbe stato così.

Un anno dopo, un morto ammazzato dopo a tramutare i sogni di una notte di mezza estate in incubi nei giorni più brutti della mia vita, due torri in meno dopo, più o meno negli stessi giorni passavo dal McDonald di Piazza Duomo con la mia migliore amica, scherzandoci su, ma pensavamo che fosse un obiettivo sensibile per degli attentatori islamici.
A vent’anni avremmo avuto diritto di provare ancora quella sensazione di potenza e invece a bordate feroci avanzava la sensazione di inadeguatezza e prevaricazione.

Per approfondimenti: http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2730-26-settembre-2000-praga-contro-il-fmi

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