Quello che il bando su Zam non dice…
Il Comune di Milano mette a bando l’immobile di via Santa Croce 19 “a fronte della presentazione di una proposta progettuale di utilizzo per la realizzazione di progetti aventi finalità culturali, sociali, educative e/oformative”. Fino a poche settimane fa, c’era già chi faceva tutte queste cose, in via Santa Croce 19. Si chiamava, e si chiama, ZAM, e il Comune di Milano lo ha fatto sgomberare a manganellate.
Questo bando (http://www.comune.milano.it/dseserver/WebCity/garecontratti.nsf/WEBAll/D080D5326E3BC2A6C1257D330029D7C9?opendocument) ha il sapore della beffa, se non della presa in giro. È un bando prodotto a pochissime settimane da uno sgombero insensato, è la foglia di fico dietro cui il Comune si nasconde per tentare di evitare che si ripeta il triste processo per cui dopo uno sgombero, l’immobile sgomberato resta vuoto e inutilizzato per anni o fino alla rioccupazione (esempi perfetti sono il vecchio ZAM di via Olgiati e le villette del Lambretta, ma potremmo farne decine di altri).
Si dimostra, ancora una volta, come lo strumento dei bandi sia utilizzato in funzione non propositiva, ma contenitiva; non creativa, ma repressiva; non per liberare risorse, ma solo come paravento politico. Il bando, nel suo assurdo descrivere molte delle attività che già ZAM svolgeva in via Santa Croce (è perfino prevista la possibilità di un punto di ristoro!), evidenzia come le attività culturali, sociali, sportive, i laboratori, i corsi, le conferenze, le presentazioni e i festival svolti a ZAM siano ritenuti di nessuna utilità sociale dal Comune, solamente perché ricadono al di fuori di un inquadramento legale, e perché il Comune non può avanzare su di esse pretese di rivendicazione.
Se il Comune avesse davvero voluto che in via Santa Croce 19 ci fosse un luogo per progetti educativi, culturali e sociali, non avrebbe sgomberato ZAM. Con lo sgombero, e ancor di più con questo bando, la volontà del Comune è chiara: nessun riconoscimento al valore e al lavoro dell’autogestione, nessun interesse per i progetti sociali e culturali, nessuna volontà di recepire le forze vive che animano la città. Infine, nessun segnale di coraggio, nessuna risposta al di fuori della logica dei bandi – una logica che questo stesso bando sconfessa.
Potremmo addentrarci a lungo nelle tante assurdità di questo bando, come ad esempio il riconoscimento che solo una piccola parte dello stabile (a cui ZAM aveva già impedito l’accesso) è pericolante, o il paradossale obbligo di visionare l’edificio per chi partecipa al bando (ma come, non stava per crollarci in testa?), o come l’immobile sia definito “inutilizzato dal 2003” (inutilizzato sì, ma solo dal Comune!).
Non dimentichiamo, infine, che il bando prevede che il costo della messa in sicurezza dell’edificio sia a carico dell’assegnatario: certo, il bando si rivolge sia a non-profit che a privati, ma quale non-profit dispone di tali risorse, o può recuperarle da una gestione socialmente responsabile dell’immobile? Il Comune quindi rischia di assegnare a un privato, per un periodo fino a 60 anni, un immobile pubblico in una zona di enorme valore, casa fino a poco tempo fa di progetti che erano ben più utili alla cittadinanza di qualsiasi attività un privato possa svolgere.
Sempre secondo il bando, starà al soggetto assegnatario stabilire sia quali siano sia quanto costeranno le opere di ristrutturazione: in poche parole, ZAM è stato sgomberato sulla base di una perizia così accurata che non si sa nemmeno quali siano i lavori da eseguire per metterlo in sicurezza, né quanto costeranno. Viene il dubbio che la perizia sia stata, se non scritta, quantomeno pensata in uffici ben diversi e da quelli di ingegneri e tecnici.
Tuttavia, più che le minuzie e le tecnicalità ci interessa l’aspetto generale, quello che questo bando ci dice sulla politica del Comune. Il bando non è, chiaramente, uno strumento di dialogo con l’autogestione, o di apertura, men che meno di utilità pubblica. È un dispositivo che definisce chiaramente il perimetro al difuori del quale il Comune non è disposto a riconoscere l’utilità sociale di un progetto o di una realtà, il suo radicamento, il suo rapporto con la cittadinanza. È lo strumento con cui il comune, invece di recepire proposte e progetti, soffoca ciò che viene dal basso e da una parte “scomoda” della cittadinanza.
Questo bando, in particolare, invece di alleggerire la coscienza di chi ha sgomberato ZAM, è un goffo tentativo di pulirsi le mani, un’ulteriore prova di una politica chiusa, arroccata su posizioni legalitarie che non possono che scontrarsi con la realtà dei fatti: a Milano c’è, e ci sarà sempre, chi si muoverà dal basso, fuori da schemi e logiche istituzionali, a stretto contatto con la cittadinanza e con il mondo reale, e in nessun modo il Comune o qualsiasi altra istituzioni riusciranno a normalizzarlo o a legalizzarlo.
ZAM tornerà presto, in tutta la città, ma nessuno pensi che non seguiremo le vicende dello spazio di via Santa Croce e dell’assurdo ed emblematico bando che lo riguarda.
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