Diversamente normali, normalmente diversi

Image“Abbiamo bisogno di un vero sesso?” Michael Foucault

Fra ormai meno di dieci giorni si terrà il Gay Pride 2015 di Milano; per continuare l’usanza biennale, per il terzo anno consecutivo ArciGayMilano ha deciso di organizzare la PrideWeek dal 22 al 28 Giugno durante la quale servizi commerciali, bar e ristoranti organizzeranno serate nel parco di Porta Venezia offrendo sconti sui loro beni di consumo in sostegno al movimento LGBT. Il 27 si terrà la tradizionale parata da Stazione Centrale fino al parco dove poi si terra la festa prima dell’ultimo giorno.

Ma cosa vuol direattraversare il GayPride?

Prima di rispondere a questa domanda trovo opportuno iniziare il discorso con alcuni cenni storici sul GayPride, i movimenti di liberazione omosessuale e l’Italia.

Nella notte tra il 27 e il 28 Giugno a New York, un gruppo di poliziotti fece irruzione nel locale Stonewall Inn, noto bar gay sulla Cristopher Street; la violenza omofoba e repressiva attuata dalla polizia quella sera ebbe la peggio: la storia narra che grazie al lancio di un tacco da parte della trasgender Sylvia Riviera contro un poliziotto, si innescò una rivolta talmente dirompente che le forze dell’ordine furono costrette a barricarsi all’interno del locale per scappare dalla folla di gay, lesbiche e trasgender. Seguirono tre giornate di guerriglia per tutto il quartiere che videro da una parte la polizia e dell’altra la popolazione gay, lesbica e trasgender, e che culminarono in una manifestazione a cui parteciparono più di mille persone; il primo Pride della storia.

Il 5 Aprile del 1972 fu organizzato dal Centro Italiano di Sessuologia a Sanremo il “Primo Congresso Internazionale di Sessuologia, comportamenti devianti della sessualità umana”
nel quale psichiatri, medici e psicologi del tempo poterono esporre le loro soluzioni per guarire dall’omosessualità anche attraverso scariche elettriche, ipnosi o lievi lobotomie. In occasione del congresso, il neonato Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (FUORI) creò una protesta internazionale all’esterno del palazzo a cui aderirono anche gli altri movimenti europei di liberazione omosessuale nati nei medesimi anni in tutta Europa come il Fronte Homosexuel d’Action Revolutionnair (FHAR) francese, il Gay Liberation Front (GLF) inglese e il Mouvment Homosexuelle d’ Action Revolutionnair (MHAR) belga e altre associazioni omosessuali italiane.

Nel 1978 a Torino fu indetto il sesto congresso di FUORI e fu organizzata una settimana dedicata al cinema gay.

A Pisa nel 1979 ci fu il primo Corteo contro le Violenze subite dalla popolazione LGBT*; fu la mobilitazione omo più attraversata fino al 1994; ebbe più di cinquecento partecipanti.

Il 9 dicembre del 1980 a seguito del ritrovamento dei corpi di due giovani amanti omosessuali uccisi a Giarre, in provincia di Catania, nasce il primo ArciGay a Palermo ad opera di Don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico dell’area del dissenso.

A Bologna nel 1982 viene concesso dal comune il Cassero, spazio dato a disposizione all’associazione XXVIII Giugno- nome ispiratosi ai moti di Stanewall. Nel 1985 diventerà la sede nazionale di ArciGay.

Mario Mieli, personalità di spicco già nella manifestazione del ’72, fonda nel 1983 il Circolo di Cultura Omosessuale a Roma (Mieli morirà suicida lo stesso anno e il circolo verrà intitolato a suo nome).

Nel 1990 nasce Arci Donna che diverrà nel 1994 un’associazione indipendente cambiando nome in Arci Lesbica.

Il 24 Marzo del 1994 in occasione dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo della Risoluzione sulla parità dei diritti per gli omosessuali, che assicurava un trattamento giuridico eguale a tutte le identità di genere, fu indetto a Roma il primo Pride della storia italiana. Oltre diecimila persone parteciparono tra cui Imma Battaglia, il circolo Mario Mieli e Vladimir Luxuria.

Nel 1995 il Pride si tenne a Bologna , l’anno seguente a Napoli fino al 1997, anno in cui iniziarono i problemi.
Già nel 1994 infatti, il Mieli fondò la Federazione Azione Omosessuale col dichiarato intento di “rompere il monopolio politico esistente all’interno del movimento omosessuale italiano”, ovvero in funzione anti-ArciGay. Le tensioni innescate da questa competizione culminarono nel 1997 in cui il Pride italiano si divise in due manifestazioni: una a Roma guidata dal Mieli e Azione Omosessuale, e l’altra a Venezia organizzata da ArciGay e ArciLesbica. Questa spaccatura provocò un calo vertiginoso della partecipazione alla Parade, tanto che nel 1999 si toccò il punto più basso dell’affluenza; la comunità LGBT* non comprendeva le dispute del dissenso tra le realtà e si dissociò non prendendo parte a nessuno dei due eventi.

La svolta si ebbe nell’anno del Giubileo, quando dopo l’attacco mosso dalla Chiesa Cattolica verso le comunità LGBT e verso il GayPride, tutti i dissensi e i malumori tra ArciGay e il Mieli vennero acquietati all’ultimo momento causando un inatteso compattamento di tutte le realtà LGBT italiane e una partecipazione straordinaria: un milione di persone presero parte al WorldPride, il primo GayPride anticlericale della storia.

Negli anni successivi si continuò a mantenere la parata unitaria pur persistendo una certa tensione tra il gruppo romano, capitanato dal Mario Mieli e che sosteneva il diritto della capitale ad ospitare il Pride nazionale, e il resto del movimento LGBT italiano che invece optava per una manifestazione di anno in anno itinerante per la penisola, che si accostasse ai diversi Pride cittadini o regionali. Nonostante le tensioni perdurassero, la manifestazione mantenne dal quel momento in poi una forma unitaria.

Quindi il Pride nacque come forma di denuncia e protesta contro l’omofobia diffusa nella società occidentale, come esaltazione estrema delle proprie identità sessuali fino ad arrivare all’esasperazione di certi tratti in denuncia all’opinione della comunità cattolica e tradizionalista che reputa(va) certi orientamenti sessuali innaturali, da guarire e normalizzare tramite una repressione eteronormativa che poteva talvolta culminare nella violenza o anche nell’isolamento sociale, grazie alla psichiatrizzazione. Il GayPride è l’espressione dell’orgoglio gay, della fierezza di essere ciò che si è e della vittoria contro la paura e la vergogna che costrinsero gli omosessuali, le lesbiche e i/le transessuali a vivere nell’ombra, nascost* per scappare alla normalizzazione eteronormativa fino agli anni ’60.
Foucault definisce l’omosessualità come “un’invenzione recente” introdotta dalla psichiatria che va a definirla come inversione (dello sviluppo degli organi genitali); solo con l’800 infatti, l’omosessualità diviene un problema sociale da risolvere.

La PrideParede si basa, perciò, su tre assunti:
Le persone devono essere fiere di ciò che sono;
La diversità è un dono e una ricchezza , non una vergogna;
L’omosessualità è innata e inalterabile e la propria identità sessuale non può essere alterata intenzionalmente.

La forma che la comunità LGBT ha deciso di adottare per esprimere se stess* è quella di una parata carnevalesca dove i/le partecipanti possano scegliere di (s)vestire i propri corpi come meglio credono, un corteo in cui poter scendere mostrando le proprie identità sessuali senza alcun timore, esaltando i propri tratti con trucchi, vestiti e colori appariscenti in una vera e propria euforia di genere collettiva.
Il simbolo scelto è una bandiera arcobaleno molto simile a quella della pace se non per alcune piccole ma significative differenze ( la prima ha sei colori invece che sette, il rosso è in alto e non in basso ed ovviamente non ha la scritta “pace”), e ogni suo colore rappresenta un aspetto della vita degli/delle omosessuali: rosso per la vita, arancione per la salute, giallo per il sole, verde per la natura, blu per l’arte e viola per lo spirito. Altro simbolo è il triangolo, originariamente usato nei campi di concentramento nazisti per indicare i gay (triangolo rosa) e le donne colpevoli di comportamenti anti-sociali (triangolo nero) come lesbismo, femminismo o prostituzione, e ad oggi riappropriato dalla comunità LGBT e proposto con colori arcobaleno.

Tuttavia è dagli anni ’80 ormai che questa manifestazione è stata contaminata dal capitalismo e dalla sete di profitto fino a divenire un luogo di contraddizioni: da una parte la commemorazione e l’espressione di una comunità lungamente repressa e dall’altra la rappresentanza delle associazioni LGBT più main stream, quella più conforme all’eteronormatività obbligatoria che vige nella nostra società, quella più vicina ai canoni della normalità eterosessuale. Questa diversità di intenti è sicuramente da attribuirsi anche all’influenza sociale esercitata dal processo di pinkwashing;in analogia al greenwashing, questa strategia di marketing punta non tanto all’ottenimento del favore delle società LGBT ma piuttosto a ripulire l’immagine di un marchio, di un’azienda, di una multinazionale e talvolta anche di un’istituzioni attraverso una politica mainstream che può andare dalla pubblicità Barilla sulle coppie gay, al finanziamento di un GayPride a Tel Aviv per spostare l’attenzione dai crimini di guerra commessi dal popolo israeliano verso quello palestinese, anzi, per darne un’immagine tollerante e gayfriendly. Il Pink Market perciò attraverso i media controlla i corpi e omologa i desideri per sciacquare le immagini dei brand e perpetuare il mantenimento di modelli eteronormativi.

“Appiattite le contraddizioni, fatte rientrare le “marginalità” nella norma, inglobate nel sistema di produzione e ri-produzione. Questo è il prezzo da pagare. Dentro se ti normalizzi, fuori se non ti sottoponi a questo processo di istituzionalizzazione della tua differenza che, inglobata nella massa, non sarà più tale.”
Quest’anno il GayPride di Milano ripropone le stesse dinamiche che da anni stanno minando la diversità sessuale e il valore della ricchezza che lo hanno caratterizzato fin dalla sua nascita e , dopo aver richiesto ma non ottenuto il patrocinio Expo2015, sfoggerà comunque il simbolo di ExpoInCittà e aderirà volutamente a quei modelli che verticalmente stanno cercando di imporci da molto, troppo tempo, gli stessi che propongono un’unica visione dell’omosessualità, quella produttiva e ri-produttiva, quella economicamente spendibile, quella che corrisponde a modelli occidentali, eteronormativi dai quali scappiamo in nome della nostra libera autodeterminazione.

Per questi motivi oggi attraversare il Gay Pride ha un altro significato ed aderirvi vuol dire in parte andare ad alimentare l’affermazione di tutti quei modelli impermeabili e prefabbricati che rafforzano i binarismi sociali e appiattiscono le ricchezze individuali; ed è per tutte queste ragioni che il 20 di Giugno 2015 prenderò parte al NoExpoPride e sarò in Piazza Luca d’Aosta con tutte le mie compagne e compagni, amici e amiche e tutte quelle persone che vogliono dire basta all’assoggettamento dei diritti LGBTQ in favore del profitto cieco e smodato, e che vogliono costruire un’alternativa concreta in cui poter essere ciò che si vuole ed offrire modelli alternativi a misura d’individuo e non di massa.

Marta

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