Un Hunger Strike in Palestina

Mentre Netanyahu si appresta a formare l’ennesimo governo di destra, nelle prigioni israeliane esplode lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi.

Lunedì 8 aprile, vigilia delle elezioni israeliane per il nuovo capo di governo e la formazione della Knesset (il Parlamento), si è aperto un nuovo sciopero della fame per i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Lo sciopero della  “Karama”, dignità in arabo.

Lo sciopero è stato annunciato domenica, dopo l’ulteriore diniego da parte del IPS (Israel Prison Service) di voler scendere a patti con le richieste dei prigionieri. Le loro condizioni nelle celle sono disumane, per questo alcuni uomini hanno deciso di iniziare individualmente la protesta, e poi la loro decisione è stata seguita da tutti i partiti politici (PFLP, Hamas, Fatah e Jihad Islamica i più importanti), ed è stato organizzato ufficialmente in diversi scaglioni. Più o meno ogni giorno dei detenuti si uniscono allo sciopero, solo mercoledì 10 aprile, sono stati intorno ai 300, ed entro il primo maggio dovrebbero raggiungere il numero di 1.400 circa.

Il tutto è iniziato con lo slancio di alcuni singoli nelle prigioni del Negev e Rimon, ma andrà a toccare la totalità delle carceri israeliane: Nahfa, Eshel, Ofer, Gilboa, Megiddo…

Le richieste sono molto chiare, e mirano a far rispettare i diritti umani di base:

1. rimozione degli apparecchi acustici installati nelle prigioni al fine di disturbare 24 ore su 24 con onde sonore i prigionieri. Questi apparecchi provocano forti mal di testa, stanchezza fino ad arrivare a tumori.

2. installazione di telefoni pubblici nelle carceri per permettere ai detenuti di poter chiamare i propri famigliari. Al momento questi telefoni sono in funzione ma solo per i detenuti israeliani.

3. permettere l’aumento di visite da parte di famigliari, soprattutto per i detenuti provenienti da Gaza a cui al momento è completamente interdetto ogni tipo di contatto.

4. porre fine agli isolamenti.

5. porre fine ai violenti raid notturni nelle celle al fini di controllare e punire i detenuti.

6. aumento dell’ assistenza medica all’interno delle prigioni per assistere i detenuti malati.

Questo sciopero, che per alcuni prigionieri sarà anche della sete, si va ad innescare in un momento molto critico: pochi mesi fa il ministro della Pubblica Sicurezza israeliana Gilad Erdan ha iniziato una campagna per far ridurre ulteriormente la quantità d’acqua disponibile per i detenuti palestinesi. Ma anche a causa delle elezioni politiche israeliane, in una “battaglia” sfrenata di propaganda politica per accaparrarsi più voti, le promesse fatte all’elettorato israeliano sono tante (Netanyahu promette un’annessione ancora maggiore di porzioni di Cisgiordania per garantire maggiore sicurezza e unione con le colonie qui insediate illegalmente), soprattutto a discapito delle minoranze arabo-palestinesi, identificate sempre come il nemico terrorista e pericoloso da eliminare.

La percentuale di arabi israeliani alle urne è scesa drasticamente rispetto al 2015, anche a causa della pressione psicologica innescata dal Likud (partito di Netanyahu) attraverso l’installazione di telecamere nei seggi elettorali arabi. L’effetto diretto è la diminuzione dei seggi dei partiti arabi alla Knesset, anche a causa dello scioglimento della Lista Araba Unita (coalizione dei partiti arabi). Il quadro si fa più drammatico se si pensa anche alla proposta del governo Trump del “New State Solution”: insieme ad uno staff di ex militari propongono la completa dislocazione della popolazione palestinese presente in Cisgiordania nel deserto del Sinai, in modo da rendere finalmente effettivo e tangibile lo Stato di Israele SOLO per ebrei.

Per questi motivi e non solo la resistenza nelle carceri viene vista e sentita come una delle principali lotte contro l’occupazione e l’oppressione israeliana, e sostenuta dalle intere comunità sparse in Cisgiordania, come qui a Deisha: è stata allestita una tenda, dove ogni giorno e uomini e donne si incontrano per monitorare la situazione dei prigionieri tramite le informazioni che riescono a reperire grazie al Ministro palestinese per i prigionieri, Issa Qaraqe, e le varie organizzazioni palestinesi che si prendono cura dei prigionieri attraverso staff legali.

La maggioranza di questi prigionieri sono politici, spesso molto giovani, e frequentemente addirittura incarcerati attraverso la “detenzione amministrativa”, un sistema di sicurezza cautelare israeliano che permette l’arresto di individui anche in assenza di accuse specifiche o prove, con il preciso motivo di spezzare la resistenza in ogni sua forma, ad ogni età ( il numero dei minori nelle carceri ora è di 205 prigionieri).

Le prossime settimane saranno cruciali, per definire gli esiti di questo ennesimo sciopero della fame, soprattutto per alcuni prigionieri, che pur essendo malati e in gravi condizioni fisiche, hanno deciso di volersi unire alla protesta.

Con sempre più forza, ancora una volta Palestina Libera!

G_M

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