L’inaffondabile Netanyahu e Israele sempre più a destra

Mentre Erdogan esce malconcio dalle elezioni amministrative e pensa di rilanciarsi utilizzando lo spauracchio buono per tutte le stagioni: i Curdi, il leader israeliano Netanyahu risorge per l’ennesima volta e, nonostante i guai giudiziari, vince le elezioni grazie al sostegno delle liste di estrema-destra. Presentiamo due articoli di Michele Giorgio usciti sul Manifesto dell’11 aprile.


La destra di Netanyahu stravince ma Gantz pensa positivo

Israele/Elezioni. I numeri sono impietosi. La destra con le sue espressioni più radicali dominerà la Knesset ma lo sconfitto leader di Blu e Bianco è convinto che le cose cambieranno. Festeggiano i coloni. Masticano amaro i palestinesi. Hanan Ashrawi: gli israeliani hanno votato per l’apartheid.

Possiamo esserne certi. Benyamin Netanyahu stasera celebrerà, come se fosse un omaggio alla sua riconferma a premier, il touchdown sulla Luna della mini-sonda israeliana Beresheet. Lo presenterà come un altro traguardo della sua era. Era che tanti credevano fosse giunta a conclusione. I sondaggi l’avevano detto per mesi e altrettanto hanno fatto gli exit poll martedì sera alla chiusura dei seggi elettorali. Invece sul filo di lana, dopo un testa a testa andato avanti per ore con la lista Blu e Bianco dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, il Likud del primo ministro si è affermato ancora una volta come il primo partito di Israele. Poche migliaia di voti hanno fatto la differenza (26,4% contro il 26,1%, 35 seggi ad entrambi) ed è possibile che Netanyahu li abbia conquistati annunciando la scorsa settimana che annetterà a Israele larghe porzioni di Cisgiordania palestinese. Ha strappato consensi alla destra più radicale, i fatti gli hanno dato ragione ed è già al lavoro per formare la nuova maggioranza, in anticipo sulle consultazioni che il capo dello stato Rivlin avvierà la prossima settimana.

Tutti i partiti di destra che hanno superato la soglia di sbarramento del 3,25% faranno il nome di Netanyahu. Assieme al Likud compongono una maggioranza di 65 seggi. Che potrebbe allargarsi se Nuova Destra, il partito fondato nei mesi scorsi dai ministri ultranazionalisti, Ayelet Shaked e Naftali Bennett, riuscirà ad entrare in parlamento grazie ai voti (300mila) di soldati, detenuti, ammalati negli ospedali e dei diplomatici all’estero di cui è in corso lo scrutinio. Se Nuova Destra supererà la soglia elettorale, dalla Knesset uscirà una delle due liste arabe, Balad-Raam, che ha passato lo sbarramento per poche migliaia di voti, penalizzata dalla bassissima affluenza (46%) alle urne nei centri arabi dove anche le telecamere introdotte da attivisti del Likud per impedire presunte “irregolarità” in 1.300 seggi elettorali ha scoraggiato la partecipazione al voto. Invece le irregolarità vere e gravi sono avvenute in diverse colonie ebraiche in Cisgiordania, le roccaforti della destra, dove si è registrato un numero di voti maggiore rispetto agli elettori. Ne ha beneficiato l’Unione dei Partiti di Destra (Upd), una coalizione di tre partiti sorta su pressione di Netanyahu, e di cui fa parte anche Otzma Yehudit, erede del movimento razzista antiarabo Kach.

I razzisti quindi fanno ingresso ufficiale, tra canti e festeggiamenti, nella nuova Knesset e già chiedono a Netanyahu di mantenere la promessa di cariche ministeriali. Forte dei cinque seggi ottenuti, Rafi Peretz, leader dell’Upd, si vede adatto a ricoprire l’incarico di ministro dell’istruzione. Il numero due, Bezalel Smotrich, vuole il ministero della giustizia. Due incarichi fondamentali ed è facile immaginare con quali intenti l’Upd voglia guidarli. Ieri nella zona H2 di Hebron dove sono insediati 700 coloni israeliani tra i più estremisti e alcuni esponenti di Otzma Yehudit, la soddisfazione si tagliava a fette e si invocava l’annessione immediata della Cisgiordania. Qualche rimpianto tra i coloni per il tonfo di Moshe Feiglin, bizzarro leader di Zehut che vuole «l’emigrazione incentivata» dei palestinesi, la ricostruzione del Tempio ebraico (dove ora sorge la moschea di al Aqsa) assieme alla cannabis libera.

Non c’è alcun motivo per stare tranquilli eppure lo sconfitto Benny Gantz si mostra positivo. «Buon giorno, amici, si, buongiorno!» ha scritto ieri su Twitter. Ha ammesso la sconfitta ma allo stesso tempo assicura che «Siamo la vera alternativa». Il suo alleato Yair Lapid promette di trasformare il parlamento in un «campo di battaglia» per tornare al voto già tra un anno. I due probabilmente pensano che la probabile incriminazione definitiva per corruzione costringerà Benyamin Netanyahu a dimettersi. Intanto devono fare i conti con un centrosinistra ai minimi termini e una presenza araba alla Knesset fortemente ridimensionata (10 seggi, solo sei se esce Balad-Raam). Spicca il crollo laburista, appena sei seggi contro i 24 del 2015. Il Meretz (4-5 seggi), la sinistra sionista, invece ha retto.

Masticano amaro i leader palestinesi che si auguravano la sconfitta di Netanyahu. I cittadini israeliani hanno votato no alla pace e sì all’apartheid, ha commentato Hanan Ashrawi storica portavoce palestinese e membro CE dell’Olp. «L’agenda estremista guidata da Netanyahu – ha detto Ashrawi – è stata incoraggiata dal cieco sostegno e dalle politiche sconsiderate dell’amministrazione Trump». Tuttavia il popolo palestinese – ha assicurato Ashrawi – resterà radicato nella sua patria. «Siamo un popolo resiliente e continueremo a stringere alleanze con attori internazionali affini e responsabili per creare un contrappeso alla pericolosa agenda sostenuta da altri governi razzisti e fondamentalisti».


 

Per i palestinesi in Israele è tempo di nuovo attivismo.

Parla Sawsan Zaher, vice direttore dell’ong Adalah: «La frustrazione è la causa della bassa partecipazione al voto degli arabo israeliani ma ha pesato anche la fine della Lista araba unita. La legge che ha proclamato Israele Stato degli ebrei avrà un forte impatto in Cisgiordania».

Un mix di preoccupazione e indifferenza percorreva ieri le strade dei centri abitati arabi in Israele dopo la vittoria elettorale che ha assegnato a Benyamin Netanyahu il quinto mandato da premier. Pesano sul dibattito che si è aperto il netto calo dell’affluenza alle urne della minoranza palestinese e le ripercussioni che ciò ha avuto sulla rappresentanza araba alla Knesset oltre alle ipotesi che si fanno sul programma nel “settore arabo” del futuro governo di destra. Ne abbiamo parlato con Sawsan Zaher, vice direttore di Adalah, centro per l’assistenza legale alla minoranza palestinesee una delle espressioni più autorevoli della società civile araba in Israele.

Una percentuale di votanti palestinesi così bassa non si registrava da molti anni.

Non mi ha sorpreso. La legge che l’anno scorso ha proclamato ufficialmente Israele Stato della nazione ebraica, l’appello al boicottaggio lanciato da settori ed esponenti della minoranza araba, la disillusione nei confronti del ruolo dei deputati arabi alla Knesset e la fine della Lista araba unita, sono alcune delle ragioni della frustrazione che alberga nella nostra gente. Chi non è andato a votare lo ha fatto per scelta ideologica o per disinteresse totale verso le elezioni. E chi ha votato lo ha fatto con poca convinzione.

Quanto hanno pesato le telecamere introdotte da attivisti del Likud in 1.300 seggi elettorali nei centri abitati arabi?

Tanto soprattutto da un punto di vista psicologico. Sebbene quelle telecamere siano state scoperte presto e in gran parte rimosse, comunque hanno spinto tante persone a non votare. Essere filmati mentre si entra nel seggio e ci si prepara ad esprimere il proprio voto, è qualcosa che molti non possono accettare. La commissione elettorale ha annunciato che saranno svolte delle verifiche. I partiti arabi hanno protestato con forza ma non sono a conoscenza di una richiesta formale per l’avvio di un procedimento penale sull’accaduto.

Di fronte al risultato delle elezioni come viene giudicata la scelta dei dirigenti politici arabi di andare al voto divisi e di porre termine all’esperienza della Lista araba unita che aveva conquistato 13 seggi nel 2015

Penso sia riduttivo confinare l’attivismo dei palestinesi in Israele alla sola presenza nella Knesset. Tuttavia la spaccatura occorsa prima delle elezioni è un tema centrale in queste ore. Sui social i militanti dei partiti arabi chiedono di rivedere le decisioni prese a inizio anno e di pensare a nuove e più efficaci forme di attività politica, diverse dai modelli visti sino ad oggi e forse non più adeguati. Il boicottaggio delle elezioni e della partecipazione alle istituzioni politiche è cresciuto in modo significativo dopo l’approvazione della legge su Israele Stato degli ebrei e ciò, esortano molti, deve spingere i palestinesi (d’Israele) a comprendere meglio il loro presente e a guardare con più attenzione al loro futuro. La fine della Lista araba unita è avvenuta non su temi politici ma a causa di interessi di parte. E i risultati si sono visti. La presenza araba alla Knesset è minore rispetto al 2015 e, anche per questo, non escludo che in futuro i leader di partito possano ritrovare un terreno comune per l’azione politica.

Netanyahu formerà una nuova coalizione di destra, che includerà forze estremiste, dichiaratamente anti-arabe. E qualche giorno fa ha annunciato l’intenzione di annettere a Israele larghe porzioni di Cisgiordania occupata dove si trovano le colonie ebraiche. Cosa si attende per i cittadini palestinesi in Israele.

Mi attendo una escalation. Prevedo nei prossimi anni, forse già mesi, l’approvazione di nuove leggi, di restrizioni ulteriori per lo sviluppo edilizio nelle nostre aree, nell’istruzione e in altri settori. Mi attendo l’attuazione in termini pratici della legge su Israele Stato del popolo ebraico. Questa legge avrà riflessi anche in Cisgiordania, a maggior ragione dopo i propositi di annessione manifestati da Netanyahu, perché afferma il diritto esclusivo degli ebrei su tutta la (biblica) Terra di Israele e sancisce che il diritto all’autodeterminazione in questa terra appartiene solo agli ebrei. Inoltre riconosce e incoraggia le attività di insediamento coloniale e le annessioni di terre palestinesi, soprattutto in Cisgiordania. Il nostro impegno civile e politico perciò dovrà raddoppiare.

 

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