La Campionessa d’Africa – L’Algeria come esempio
Il 22 febbraio 2019 le strade algerine si sono riempite di migliaia di donne e uomini. La richiesta è una ed è indirizzata al presidente Abdelaziz Bouteflika, 82 anni. Deve rinunciare a candidarsi immediatamente per il quinto mandato.
Da anni Bouteflika è malato e – dopo un ictus che l’ha colpito nel 2013 – le sue apparizioni in pubblico sono state sempre più rare. Nonostante la sua evidente disabilità e incapacità di governare lucidamente il paese, Bouteflika ha esitato non poco per non lasciare la poltrona su cui è seduto dal 1999 schierando l’esercito e arrestando centinaia di manifestanti. Solo a fine marzo viene abbandonato anche dall’esercito, nella figura del Capo di stato maggiore e Ministro della Difesa, Ahmed Gaid Salah.
Invocando l’articolo 102 della Costituzione algerina – che consente di rimuovere il presidente in caso di infermità – ha facilitato di fatto le dimissioni avvenute poi il il 2 aprile.
Mentre l’Algeria prova a fare i conti col proprio passato, accusando e mandando in tribunale ex premier e ministri, le proteste nelle piazze non si placano.
Dopo Boutflika altre ‘B’ devono andarsene: il presidente ad interim dal 9 aprile, Abdelkader Bensalah; il primo ministro Noureddine Bedoui; il presidente del consiglio Tayeb Belaiz (dimessosi il 16 aprile), e il presidente della Camera bassa del Parlamento, Mouad Bouchaeb.
I manifestanti e le manifestanti vogliono che l’intera classe politica se ne vada, ma le elezioni previste per il 4 luglio slittano, senza che venga fissata una nuova data.
Da mesi quindi le piazze sono piene tutti i venerdi. E’ l’Algeria laica e giovane quella che inonda le strade da 22 settimane.
Molti giornali locali parlano di questo movimento – l’hirak – come l’insurrezione più significativa dall’indipendenza dalla Francia nel 1962. Se allora i fratelli e le sorelle algerine hanno posto fine a 132 anni di colonialismo rendendosi comunque conto che il lavoro locale per una totale indipendenza dalla Francia è ancora tanto, l’hirak oggi sa bene che fino a che non si avvierà un processo di transizione democratica al di fuori del sistema Bouteflika la piazza non si può fermare.
Ecco che la Coppa d’Africa diventa la cassa di risonanza delle rivendicazioni di questo popolo in fermento da cinque mesi. Sugli spalti sono apparsi diversi messaggi : “Cari Stati Uniti ed Unione Europea, grazie per l’interesse, ma è un affare di famiglia”, “Statene fuori. Non è un problema vostro”, “Bou-Netflix-Ka, la quinta stagione è stata annullata”, “We want to break free, We are the champions, No time for losers”, “Yetnahaw Ga3” (“Lasciateli tutti liberi”) ; “Nerb7ouhm Ga3”, (“Li batteremo tutti”).
I fischi e i cori contro le diverse autorità, tra cui il presidente Bensaleh, non sono mai mancati. Come gli arresti, purtroppo.
Ma la stragrande maggioranza dei tifosi algerini è convinta che la vittoria dell’Algeria alla Coppa è una vittoria politica che riaccende la voglia di rinnovamento e di libertà del popolo algerino.
La storia che gli algerini e le algerine stanno scrivendo in questi mesi, la vittoria sportiva, la solidarietà espressa da diversi popoli ci fa crede che un mondo arabo senza influenze imperialiste è possibile.
Dal Marocco alla Palestina in tantissimi e tantissime hanno festeggiato per strada, tutti con i rischi presenti nel proprio paese. Le bandiere dell’Egitto, storico rivale calcistico, hanno sventolato affianco a quella algerina, a quella marocchina, a quella palestinese…
Per una notte siamo stati tutti fratelli e sorelle grazie a una partita di pallone. Anche per le strade di Milano ci si abbracciava e si urlava “Uno, due, tre viva l’Algeria!”.
Per una notte ci siamo sentiti tutti e tutte a casa, senza guerre e marciume colonizzatore, senza povertà e senza rais, re, fantocci al potere.
Per una notte è stato Arab United in nome della laicità, dello sport, della fratellanza e della sorellanza.
Nassi LaRage
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