Priorità alla scuola: «Un miliardo non basta e serve una prospettiva»
La risposta del governo alle sessanta manifestazioni organizzate ieri dal movimento «Priorità alla scuola» che chiede la riapertura in presenza della didattica a settembre, il rifinanziamento massiccio dell’istruzione e della ricerca e il loro ripensamento è stata lo stanziamento di un miliardo in più rispetto a quanto già fatto in precedenza: 1,4 miliardi, la metà di quanto dato all’Alitalia. Di questo miliardo chiesto dalla ministra dell’istruzione Lucia Azzolina 500 milioni potrebbero essere destinati all’assunzione dei docenti e del personale Ata. È una delle rivendicazioni del movimento che chiede la riduzione degli alunni per classe e la loro distribuzione in spazi diversi e maggiori. La cifra dovrebbe rientrare nel nuovo scostamento di bilancio prospettato nelle ultime ore dal ministero dell’Economia che dovrà essere ottenuto attraverso un voto parlamentare. «È solo un inizio per rientrare in sicurezza a settembre, ma non è sufficiente – ha commentato Francesca Morpurgo che ha manifestato a piazza San Silvestro a Roma con la rete «Apriti scuola» – Noi chiediamo di stanziare il 15% dei fondi europei in arrivo per finanziare e riformare la scuola e portare gli investimenti al 10% della spesa pubblica per tutto il settore. Ci rendiamo conto che è un discorso di medio periodo, ma nell’attesa dei fondi europei è necessaria una visione. Alla nostra manifestazione c’erano molti genitori con i cartelli che chiedevano il taglio delle spese militari e degli F35. Perché non iniziare da qui?».
«Il nodo vero della scuola è la mancanza di risorse: un miliardo non è sufficiente» ha detto Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil. Nei frenetici incontri, a più livelli, delle ultime ore la bozza delle linee guida diffusa dal ministero dell’Istruzione il 23 giugno che ha fatto infuriare tutti sembra sia stata modificata. Si parla di un ridimensionamento della didattica a distanza contestatissima ieri da Nord a Sud, in tutte le piazze del paese. «Priorità alla scuola» si oppone sia perché, nei mesi della quarantena, ha aumentato discriminazioni e diseguaglianze, sia perché la sua estensione strutturale avverrebbe sulle piattaforme digitali proprietarie. «In altri paesi europei è vietato, perché in Italia la dovremmo accettare? – ha detto Maddalena Fragnito di Priorità alla scuola in un intervento vibrante al sit-in davanti a Palazzo della Scala a Milano – L’educazione è un’esperienza relazionale, collettiva e in presenza. La didattica a distanza la cancella. Il virus ha mostrato problemi che la scuola porta avanti da decenni. Per questo servono finanziamenti straordinari e strutturali per le scuole di ogni ordine e grado».
Mancano una settantina di giorni da quel «14 settembre» indicato come data teorica della riapertura e nulla è stato fatto. Questo ritardo increscioso nella preparazione di una svolta epocale nell’organizzazione della vita di milioni di persone, e famiglie, tende a radicalizzare il movimento. Le ragioni sono emerse in tutte le piazze: il governo non solo non ha pensato all’istruzione, ma ha abbandonato un’idea di Welfare, di servizi pubblici, attestandosi su rimedi omeopatici e temporanei. La sensazione di lasciare tutto il peso della riapertura della scuola sulle spalle delle famiglie, già provate dalla precarietà e dalla disoccupazione, è stata così tradotta a Milano: «Vogliono forse che le donne lascino il lavoro per sostituirsi allo stato che si è deresponsabilizzato per seguire l’istruzione dei figli». Anche la prospettiva della riduzione del tempo scuola è stata rigettata con forza. La richiesta del movimento di una stabilizzazione immediata dei precari, sia tra i docenti che tra il personale Ata, senza ricorrere a concorsi irrealizzabili al tempo dell’emergenza, nasce da questo bisogno e si sposa con un’idea di giustizia sociale. «Il 30% del corpo docente è precario da anni. Quest’anno ci sarà un record. Ma la nuova scuola non può reggersi su questo sfruttamento» è stato scandito da Milano.
La coralità espressa da «Priorità alla scuola», un movimento spinto dai genitori e in particolare dalle madri, dagli insegnanti e dagli studenti, vuole strutturarsi in una «mobilitazione permanente».
di Roberto Ciccarelli
da il Manifesto del 26 giugno 2020
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