Per i test è caos totale: i tamponi scarseggiano e le regioni vanno in ordine sparso
Se gli ospedali reggono l’urto della seconda ondata, la rete diagnostica è in seria difficoltà. Le code per i tamponi, la confusione dei medici di famiglia, le incertezze tra i dirigenti scolastici testimoniano di un sistema nel caos. Invece di adottare soluzioni comuni, le Regioni sfornano iniziative autonome a ritmo quotidiano. L’ultima viene dal governatore del Veneto Luca Zaia: «Stiamo lavorando a un tampone rapido in autosomministrazione. È un metodo che mutuiamo dall’estero e che permetterà ai cittadini di farsi da soli un test rapido. Credo che sarà pronto nel giro di 15 giorni». Ma il suo ex-pupillo, il microbiologo Andrea Crisanti, è tranchant: «Una baggianata».
L’Associazione Italiana Epidemiologi ha denunciato la situazione in un documento. «Identificare tempestivamente i positivi – sottolineano gli epidemiologi – è la priorità nazionale. Ma la corsa al tampone non può essere lasciata senza governo, perché non ci sono né tamponi diagnostici, né strutture per tutti».
Invece le regioni procedono in ordine sparso. «I governi locali o anche le singole strutture hanno acquistato e offrono diversi tipi di test in una sorta di gara senza arbitri o mete», scrivono gli esperti. Tamponi naso-faringei o salivari, molecolari o antigenici, sierologici e “fai-da-te”: per i non esperti orientarsi è difficile. Ma anche chi dirige le operazioni sembra muoversi a caso. «Ogni soluzione ha caratteristiche specifiche, va ricondotta a uno scopo preciso e deve avere un piano di applicazione nella popolazione».
I test non sono tutti uguali e ciascuno risponde a uno scopo diverso: alcuni servono a diagnosticare i casi, altri a monitorare la popolazione con gli screening. «Invece ci sono istituzioni regionali, enti locali, Asl che offrono test senza coordinamento né indicazione su quale test utilizzare a seconda del contesto», spiega l’epidemiologa Stefania Salmaso che ha collaborato alla stesura del documento. Con due circolari del 24 e del 29 settembre, il ministero ha fornito chiarimenti sull’uso dei test rapidi nelle scuole, ma non basta. «Ora chiediamo formalmente la definizione di un piano nazionale che stabilisca una strategia comune sui test da utilizzare nelle varie condizioni, che i risultati vengano resi disponibili e che i costi siano monitorati, perché ogni regione ha acquistato test diversi con prezzi diversi». Conte ha annunciato l’arrivo di cinque milioni di test rapidi. «Servirà un protocollo per stabilire a chi farli, come farli e cosa farne del risultato. Serve un’azione di governo su tutto il processo».
Gli esempi per rendere più efficienti i test ci sono. «All’Università dell’Illinois hanno validato un test salivare e vengono controllate tutte le 10.000 persone presenti, due volte a settimana», racconta Salmaso. «Si potrebbe pensare a qualcosa di simile per il personale delle strutture sanitarie, di case di riposo e altre situazioni simili?». Le regioni però vanno per conto loro e il governo latita. «Manca un piano autorevole a cui gli epidemiologi possono contribuire in modo utile».
di Andrea Capocci
da il Manifesto dell’11 ottobre 2020
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