Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (seconda parte)
Il 25 Novembre è la giornata contro la violenza di genere e la violenza maschile sulle donne.
Come collettiva transfemminista queer partecipiamo e contribuiamo come ogni anno alle iniziative, azioni e mobilitazioni messe in campo dal Movimento di NUDM e del nodo milanese.
Quest’anno abbiamo deciso di fare un passo oltre e unire le nostre voci, raccontarci.
La pagina ospiterà riflessioni e racconti riguardo la violenza di genere e tutti i modi in cui si manifesta e le conseguenze che può avere, in modo diverso, su ognun* di noi.
Partiamo da noi perché non ci arroghiamo il diritto di parlare per altr* ma con l’auspicio che questo permetta a chi è sopravvissut* di sentirsi legittimat* a narrarsi.
Crediamo che la condivisione sia strumento per svelare la realtà sommersa delle violenze e trasformare la percezione spesso sminuente e minimizzante che si ha delle stesse.
Crediamo anche che siano strumento utile per creare alleanze ed empowerment.
Invitiamo chiunque voglia a partecipare, scrivendoci un messaggio alla pagina, perché tutte le storie possano avere spazio e la libertà di essere raccontate.
P.S. Questo è uno spazio safe e di rispetto.
Qualsiasi commento giudicante, stereotipo, pregiudizio, qualsiasi hater verrà bannat* senza pietà, perché con certa gente non si discute neanche.
Consigliamo nel caso di seguire gruppi come Maschile Plurale o di rivolgersi a Centri d’ ascolto per persone maltrattanti.
Siamo usciti a bere una cosa.
Cioè, io avevo in mente di bere una cosa, tu eri partito con un’idea diversa.
No, non è di questo che ti responsabilizzo.
La serata è piacevole
Beviamo le cosa, le cose e chiacchieriamo.
Siamo seduti su un divanetto.
Mi dai un bacio sulla guancia.
Mi giro, ci baciamo.
Ritorniamo a parlare.
Capisco che mi piaci, ma non in quel modo da cotta o che ti toglierei i vestiti seduta stante.
Mi piaci, così.
Mi piace baciarti.
Usciamo fuori dal locale.
Devi fumare una sigaretta.
Parliamo ancora, fumi la sigaretta. Mi baci e mi tocchi il culo, ma non è un problema, non mi infastidisce.
Dopo un po’ guardi l’orologio.
Hai perso i mezzi. Non sai come tornare a casa.
È vero, non è una cazzata.
Io ho bevuto e non voglio guidare.
Tantomeno voglio darti la mia macchina. Non so come, ma sei sbronzo marcio.
Mi dici che per forza devi dormire da me.
Non era un grosso problema. Ho sempre ospitato persone, amici, uomini non amici (conoscenti) che avevano bisogno di un posto una sera.
Chiarisco che non voglio fare sesso. Te lo dico, lì, per la strada.
Ridi.
Chiarisco che dormi sul divano.
Ridi.
Mi chiedi anche se mi metto il pigiama. Rido anche io. Ti dico, ovvio, il pigiamone.
Andiamo da me.
Faccio una tisana. La faccio sempre prima di dormire.
Il divano è inaccessibile.
Ti dico ok, puoi dormire con me, ribadisco che non voglio fare sesso.
Sono seduta sul letto.
Parliamo.
Ho ancora i jeans addosso. Che ridere…i jeans.
Ti avventi su di me. Sei pesante.
Mi baci.
Ricambio il bacio, ma tengo le gambe strette. Con i jeans.
Le allarghi.
Le ristringo.
Le allarghi di nuovo.
Questa scena si ripete tipo 3/4 volte.
Finché te le lascio allargare.
Non so perché, o si anzi lo so…per non sembrare una cazzo di suora, una che non la dà al primo appuntamento, una che…sì che non la dà. Sono sempre stata ferma fottendomene del giudizio su questo. Non so perché del tuo e di chi ci circonda…un mondo dove il sesso è sempre e comunque facile da fare, non me ne sono fottuta.
Dopo varie resistenze ti faccio togliere i jeans, ridendo ti chiedo di non farlo.
Ridendo…sempre per paura del giudizio.
Mi lecchi in mezzo alle gambe.
Non mi piace.
Voglio solo che tutto finisca presto.
Non basta farti vedere che non mi piace.
Lo fai e lo rifai
Ti credi il mago del sesso orale.
Fingo un orgasmo.
Lo fingo in modo plateale.
Così quella cosa smette.
Smette.
Bene.
Tu sei soddisfatto e io finalmente posso rimettermi le mutande.
Non ti sei accorto di nulla.
Non ti sei accorto e nemmeno io per tanto tempo non mi sono voluta dire che QUESTA È VIOLENZA.
Hai violato il mio consenso.
Sì i jeans te li ho fatti togliere.
Hai spinto la tua lingua di merda tra le mie gambe.
Ho dovuto fingere.
Non ti sei accorto di nulla.
E nemmeno io.
Anzi, avevo cancellato gli attimi di quella sera.
Quegli attimi.
Mi sono tornati alla mente, uno dopo l’altro.
Avevo scacciato così tanto nell’oblio che con te ci sono anche uscita ancora.
E ho fatto sesso. Consenziente.
Non mi è mai piaciuto.
Chissà perché. So perché.
Ho continuato a fingere orgasmi le volte che l’abbiamo fatto.
Comunque ti sei rivelato lo stronzo violento che sei.
Anche nei modi, nei comportamenti.
Ti ho mandato via mille volte.
Hai imposto la tua presenza.
Mi hai pure stalkerizzata.
Ti trovavo dappertutto.
Mi stavi addosso.
Letteralmente.
Con il tuo alito pesante.
Mi bloccavi.
Ovunque
Mi hai anche sputato in faccia.
Mi hai urlato addosso.
Per strada.
Hai detto cazzate.
Eri dappertutto.
Non ti sei accorto di nessuna di queste violenze.
Dalla prima all’ultima.
Della prima sono sicura. Delle altre te ne sei fottuto.
Mi sono sentita un’idiota per quella prima notte…da quando mi sono resa conto. Un’idiota…un’idiota perché poi ti ho frequentato. Ma sei sempre stato un fardello.
Dopo l’ennesima invasione della mia vita ti ho scritto, ti ho parlato delle tue violenze, non della prima.
Quella non me l’ero ancora detta.
Mi hai risposto che per lo stalking, per lo starmi addosso, per l’ invasione della mia vita, ero una donna intelligente e potevo capire le debolezze altrui.
Le tue debolezze.
E’ molto difficile per me capire cosa siano state e cosa sono le violenze nella mia vita.
Se ci penso, mi dico, a parte tutte le violenze quotidiane, che subisco solo per il fatto di andare in giro, non mi succede molto altro. E’ un pensiero così triste e carico di problematicità che, quando capisco che la mia mente sta normalizzando delle violenze sessiste, percepisco un senso di grande vuoto, rabbia, delusione e inadeguatezza.
Ho vissuto tutta la vita con l’ansia che determinate violenze sessuali potessero accadermi. Vivo ancora questa angoscia.
Ho paura di abbassare la guardia, di fatto, non riesco a farlo.
E’ molto stancante.
Le mie foto intime non le condivide nessuno, senza il mio consenso, perché non esistono, perché mi limito per tutelarmi, ma al contempo mi nego una libertà erotica.
L’ho fatto spesso nella vita, specialmente da adolescente, quando avrei voluto esprimermi in tutta la mia folle e libera adolescenza. La paura di avere rapporti malsani, incontri spiacevoli, di non essere capita ne di essere presa in considerazione, superava qualsiasi altra volontà, ho sempre preferito la rinuncia.
Per anni mi sono chiesta se la frase “lo vuoi in bocca?” durante il mio primo rapporto sessuale, consensuale, atteso e piacevole, fosse una domanda aggressiva o solo un comunicare esplicitamente cosa avevo voglia di fare.
Sicuramente l’inesperienza, e il senso di giudizio che mi è piombato addosso in quel momento, facendomi sentire imbarazzata e inadeguata, mi hanno fatto perdere tutta la libido e sono rimasta attonita. Lui ha accolto il mio silenzio come un rifiuto e non ha detto altro. Ci siamo addormentati. Sono stata bene, ma non ho mai raccontato con facilità il modo in cui mi sono sentita.
Perché sentirmi sbagliata e giudicata per un pompino?
La risposta che mi sono data è per la narrazione che si ha del sesso, per come mi hanno parlato di sesso e del mio corpo, non solo le persone a me vicine, grandi o coetanee, ma soprattutto la società. E’ una narrazione tossica, escludente, misogina.
Avrei dovuto amare, essere romantica, scappare dal sesso, perché “a noi piace l’amore”.
Negli anni mi sono resa conto che, dietro a tanti discorsi moralizzanti, che si presentano come protettivi, si cela un’immensa, infima oppressione.
Chiunque voleva controllare, la mia sessualità, il mio corpo.
Il mio desiderio soccombeva.
Quando ho capito che mi opprimevano in quanto femmina, in quanto donna, nasceva in me, l’inquietante consapevolezza che stavo sbattendo forte contro qualcosa di enorme, subdolo, violento e deprivante. La violenza del patriarcato.
Per quanto mi sentissi svilita la mia voglia di libertà in molti casi mi ha guidata e risollevata.
Credo che la mia voglia di sentirmi ed essere libera e legittimata, davvero, in ogni ambito della mia vita, ovunque e costantemente, non abbia mai smesso di crescere in me, anzi, si è unita alla voglia e ai desideri di tante altre persone e ha trovato una sorta di casa, complessa ma meravigliosa.
Abbiamo fatto tanto, e siamo qui per prenderci tutto il resto.
Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (prima parte)
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