Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (terza parte)
Il 25 Novembre è la giornata contro la violenza di genere e la violenza maschile sulle donne.
Come collettiva transfemminista queer partecipiamo e contribuiamo come ogni anno alle iniziative, azioni e mobilitazioni messe in campo dal Movimento di NUDM e del nodo milanese.
Quest’anno abbiamo deciso di fare un passo oltre e unire le nostre voci, raccontarci.
La pagina ospiterà riflessioni e racconti riguardo la violenza di genere e tutti i modi in cui si manifesta e le conseguenze che può avere, in modo diverso, su ognun* di noi.
Partiamo da noi perché non ci arroghiamo il diritto di parlare per altr* ma con l’auspicio che questo permetta a chi è sopravvissut* di sentirsi legittimat* a narrarsi.
Crediamo che la condivisione sia strumento per svelare la realtà sommersa delle violenze e trasformare la percezione spesso sminuente e minimizzante che si ha delle stesse.
Crediamo anche che siano strumento utile per creare alleanze ed empowerment.
Invitiamo chiunque voglia a partecipare, scrivendoci un messaggio alla pagina, perché tutte le storie possano avere spazio e la libertà di essere raccontate.
P.S. Questo è uno spazio safe e di rispetto.
Qualsiasi commento giudicante, stereotipo, pregiudizio, qualsiasi hater verrà bannat* senza pietà, perché con certa gente non si discute neanche.
Consigliamo nel caso di seguire gruppi come Maschile Plurale o di rivolgersi a Centri d’ ascolto per persone maltrattanti.
La prima volta che mi sono sentita costretta a fare l’amore con il mio compagno (perché in teoria con la persona che ami questo concetto non dovrebbe esistere giusto?! Costrizione?? Al massimo lo fai per amore appunto!) era l’estate del 2019, fine giugno…quello stesso giorno ero stata costretta a tornare in Italia, contro i miei progetti e desideri, alle 19 avevo toccato di nuovo il suolo italiano ed ero emotivamente distrutta e sopraffatta dal senso di impotenza verso le ingiustizie del mondo e nel mio piccolo contro di me…lui mi viene a prendere in aeroporto, mi porta a casa, mi lascia sfogare e ascolta i miei racconti, le mie lacrime e soprattutto i miei silenzi…poi però propone di fare l’amore (non sesso ovviamente ci amavamo) per “tirarmi” su il morale. Ma io proprio non voglio. Sono a pezzi nel fisico, nella testa e nel cuore. Lui insiste. Dice che è buon rimedio. Io declino. Ma lui inizia a baciarmi e ad accarezzarmi, dopo tutto è il mio compagno, non posso fargli questo torto, non posso dirgli di no, non posso farlo per lui e per il suo amore????
La seconda volta è successo quasi un anno dopo, aprile 2020, non stavamo più insieme ma pensavo fossimo ancora legati e innamorati nel nostro delirio, poi a posteriori ho scoperto che è successo perché ero considerata sesso facile…quella sera l’ho invitato io, per stare insieme e sono stata esplicita in questo, avevo bisogno della sua vicinanza, della sua persona, non del sesso. Ma comunque accade. Gli rendo subito noto e molto chiaramente che dobbiamo fare sesso sicuro, senza preservativo non si può avvicinare, sia perché magari non avendo più una relazione esclusiva, libero di fare sesso con altre, doveva comunque tutelarmi e tutelarsi, ma soprattutto perché 6 mesi prima ero stata operata all’utero, e per questo motivo, per la mia delicatezza, andavo tutelata doppiamente. “Certo” risponde…ma non è andata così: in un raptus di “passione” mi ha presa e facendomi ritrovare a testa in giù mi ha penetrata senza preservativo, raggiungendo l’orgasmo e giustificando con un “non resisto più“…non ho reagito bene all’istante. Mi sono bloccata. Ho parlato del mio disagio: sia perché ero stata chiara sul preservativo sia perché la mia volontà era stata sovradeterminata, sia per la mancanza di cura verso una mia delicatezza di salute…ci ho messo diversi mesi a parlarne alla mia psicologa. Lei ha usato la parola violenza. Io non lo avevo mai fatto. Nella mia testa non poteva essere possibile che il mio (ex) compagno potesse farmi violenza. Nella mia testa una persona che ti ha amato, comunque tiene alla tua salute, tiene al tuo benessere, psicologico e fisico che sia, per giunta una persona che si professa femminista non poteva aver commesso un atto del genere. Invece si chiama violenza. Invece lo ha fatto a me. E di tutta risposta ho ottenuto “scusa, ma non sembrava ti dispiacesse”… la cosa che fa più male è l’incoerenza che sta dietro la violenza: ciò che accadde nel privato, tra quattro mura, rimane tale; in pubblico siamo tutt le migliori persone del mondo, niente e nessun ci può mettere in discussione, figuriamoci noi stessi…
Ero al primo anno di Università a Roma, avrò avuto 19 anni e vivevo una di quelle storie logoranti e appassionate con un ragazzo otto anni più grande di me. Un ragazzo che si insinuava sempre nella mia testa, che non mi faceva mai stare tranquilla e che aveva un ascendente enorme su di me. Quella sera di giugno avevamo litigato e io ho deciso di andare a ballare con degli amici e svagare un po’: sarebbero venuti prendermi in macchina, quindi potevo finalmente vestirmi come mi pareva. Immagino che qualunque ragazza e donna sa bene che, prima di uscire di casa e decidere come vestirsi deve considerare un paio di elementi: esco da sola? C’è qualche probabilità di tornare da sola? Con chi ho appuntamento e dove? Si, perché purtroppo non siamo ancora libere di andare in giro conciate come ci pare senza suscitare battute pesanti o molestie, se non peggio. Ecco, quella sera ero tranquilla, uscivo con persone fidate e ho deciso di indossare un vestito molto corto e aderente perché, semplicemente, mi piaceva molto e non avevo occasione di indossarlo spesso. Verso le 23 mi passano a prendere, ma mentre siamo in macchina ricevo una telefonata: è lui. Mi dice che stava in giro con un suo amico e la ragazza, che hanno bevuto un po’, che un tipo l’ha provocato e che è finita in rissa. Mi dice che è caduto e ha urtato la testa, mi dice di stare tranquilla. Io ovviamente non sto tranquilla per nulla, mi preoccupo e gli dico che sarei passata. Ma no, dice lui, tranquilla…anzi ok passa, grazie. Allora chiedo all’amico che guidava di fare una deviazione e andare verso casa del mio ragazzo, che abitava in un quartiere molto periferico della capitale. Arrivati lì sotto scendo dalla macchina e il mio amico mi dice. Aspetto che entri? Ma no, rispondo io (odio pesare sulla gente) vai pure, tranquillo. A quel punto suono al citofono: non mi risponde nessuno. Riprovo: niente. Provo a chiamare il mio ragazzo al cellulare: nulla, sparito nell’arco di mezz’ora dalla chiamata precedente. In quel momento sento degli uomini che passano lì vicino e commentano: “bellezza vieni qui che ci pensiamo noi a te”. Mi prende il panico: il mio ragazzo sembra essere sparito e io sono sola, verso mezzanotte, nella periferia dimenticata e con addosso un vestitino inesistente. Penso di chiamare un taxi, ma non ho neanche credito sul cellulare. Penso di prendere il notturno, ma per farlo devo attraversare un parco e all’ingresso ci sono delle ragazze che si prostituiscono e due papponi che le controllano e che appena mi intravedono iniziano a chiedermi se voglio divertirmi con loro. Penso che se non ci fossero quei due stronzi potrei chiedere aiuto alle ragazze, ma così è impossibile. Sono nel panico: provo a sparire, a nascondermi dietro a una colonna del porticato, mi rannicchio e piango. Ma piango in silenzio, perché non voglio farmi notare da nessuno. Realizzo che sto rischiando davvero di fare una brutta fine. E intanto mi maledico per la scelta del vestitino, per la scelta di andare da uno stronzo che ora manco mi risponde, per l’essere donna in un mondo che mi fa tanta paura in quel momento. Passo circa un’ora e mezzo così, continuando a citofonare ogni tanto per poi tornare a nascondermi e provando a chiamare con l’addebito l’amico del mio ragazzo che era con lui durante la rissa. Ma soprattutto continuando a piangere e provare a sparire senza farmi notare da nessuno. Mi risponde dopo un sacco di tempo e, finalmente, mi viene a prendere. Non so descrivere in maniera precisa la sensazione di sicurezza e tranquillità che ho provato appena rientrata a casa. Mi sono messa a letto, ho pianto per ore, fino a vedere la luce del giorno. Non sono riuscita a uscire di casa per giorni.
Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (prima parte)
Verso il 25 novembre e oltre. Narrare la violenza a partire da noi (seconda parte)
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