Leila Khaled non può parlare…

Con amarezza ma con forza, continuiamo a gridare: Palestina Libera!

Ha tenuto conferenze e dibattiti in tutta Europa, la sua voce parla delle ingiustizie che il suo popolo vive da più di 70 anni, è una donna che ha combattuto in nome della libertà e contro l’oppressione. Ma oggi, Leila Khaled, non è la benvenuta dal governo italiano.

Dipinta come terrorista, con la solita arroganza di definire terrorismo gli atti di resistenza contro un oppressore mentre occupazione, deportazione e pulizia etnica vengono accettati se a perpetrali è un governo economicamente e militarmente forte, Leila Khaled è stata reimbarcata a Fiumicino e obbligata a tornare ad Amman.

Diversi erano gli appuntamenti organizzati nel paese, uno in preparazione anche a Milano.

Per chi non lo sapesse, Leila Khaled, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, la pericolosa terrorista nella sua vita ha solo esercitato i suoi diritti, come sanciti dall’Onu e come fanno i resistenti del suo paese da quando i sinionisti hanno dato via al piano Dalet (il piano per l’occupazione e la pulizia etnica in Palestina): il diritto all’autodeterminazione, alla libertà e all’indipendenza per tutti i popoli, diritto rivolto in particolare a quei popoli sottomessi da meccanismi di tipo coloniale. Il diritto alla legittimità della lotta di un popolo per liberarsi da un dominio imposto e la sollecitazione per gli stati altri di riconoscere tali diritti.
Quando nel 1969 Leila ha dirottato l’aereo che da Los Angeles viaggiava verso Tel Aviv, a Damasco, voleva lanciare l’importante messaggio del diritto al ritorno nelle proprie terre per tutti i Palestinesi deportati, diritto sancito dall’Onu con una convenzione.
Prima di arrivare a Damasco, infatti, Leila ha chiesto di sorvolare Haifa, sua città natale nella quale la sua famiglia non poteva e non può tornare (Leila è stata profuga in Libano).
L’azione non ha causato né morti né feriti.
Nel 1970 ci ha riprovato con il volo tra Amsterdam e New York. Dirottamento non andato a buon fine per la presenza di un poliziotto sul volo. Leila aveva due granate con sé. Non le ha usate.

Nel corso degli anni questa valorosa resistente è diventata un simbolo per la lotta palestinese e per le donne che combattono per la libertà.

Lascia sgomenti la notizia. Ancora una volta la classe dirigente italiana dimostra la profonda ignoranza storica (basti vedere i titoli delle testate che non rendono merito al percorso fatto dalla combattente) e l’assoluta incapacità di affrontare dibattiti scomodi all’establishment politico-culturale.

La pressione che la lobby sionista esercita sui nostri governanti (non importa di che colore) non è un dato da sottovalutare e aiuta a capire quanto in Italia non si voglia fare una seria riflessione sulla portata dell’occupazione israeliana e sul significato intrinseco che ha per non andare a toccare interessi scottanti.

Ci resta un sorriso amaro, quel ghigno di chi sente il peso di un paese che, passo dopo passo, rinuncia all’aspirazione di democrazia e si blinda in un confortevole salotto dove migranti, chi lotta per i propri diritti, chi dissente…viene allontanato.

Deportazioni, imbarchi forzati e Daspo sono le nuove misure con cui viene governato questo paese, che ogni volta perde occasioni: di dimostrarsi all’altezza del confronto, di arricchirsi culturalmente, di mettere in discussione lo status quo deciso da poteri forti, di essere conforme a convenzioni e trattati quando il tema sono i diritti.

Dalla nostra amarezza rispondiamo con un forte
Palestina Libera!

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