La Regione vuole “ripristinare la legalità” e sgombera il “LAMBRETTA”

Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 18 ottobre 2012
 
A Milano c’è un nuovo spazio sociale, il Lambretta. L’hanno chiamato così perché si trova nel quartiere Lambrate, dove sorgevano gli stabilimenti dell’Innocenti, produttore dell’omonimo scooter, ma di cui oggi è rimasta soltanto l’Innse, la fabbrica riportata in vita da un’esemplare lotta operaia. Probabilmente nessuno dei ragazzi, in larga parte studenti delle scuole della zona, che ad aprile occuparono gli immobili avrebbe mai pensato di diventare un caso politico, anzi, una cartina di tornasole del desolante livello di degrado morale raggiunto dal sistema di potere formigoniano.
D’altronde, prescindendo per un attimo da una certa politica, è davvero difficile vederci un caso. Quelle “villette”, infatti, erano abbandonate a se stesse e diventate rifugio di spacciatori, nonostante si trovassero soltanto a poche centinaia di metri dalla sede della proprietà, cioè l’Aler, l’ente regionale che gestisce il patrimonio edilizio residenziale. E non vi erano, né vi sono progetti di riqualificazione alle porte, visto che l’operazione di “valorizzazione”, cioè di vendita, di queste ex case popolari si era arenata, causa mancanza di offerte. E quindi, non sorprende neanche che i residenti della zona guardino al Lambretta con simpatia, piuttosto che con preoccupazione.
Ma purtroppo da una certa politica non possiamo prescindere e così, non appena i ragazzi e le ragazze avevano occupato, ripulito gli immobili e allontanato lo spaccio, Aler e Regione si sono svegliati e hanno iniziato ad inondare Prefetto e Questore di richieste di sgombero. In prima fila ad invocare il “ripristino della legalità” c’era l’Assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti. Sì, proprio lui, quello del voto di scambio con la ‘ndrangheta, dell’assunzione all’Aler della figlia del boss e dell’assegnazione di case popolari su indicazione delle cosche.
Ora Zambetti non c’è più, ma il Presidente dell’Aler Milano, Loris Zaffra, continua imperterrito sulla sua strada, sebbene molte delle sue affermazioni, come quella relativa ad imminenti lavori di ristrutturazione, si siano rilevate palesemente false. L’Aler, peraltro, dovrebbe spiegare tante cose, specie dopo la vicenda Zambetti e l’inquietante permeabilità mostrata dall’ente regionale.
E poi, non è nemmeno la prima volta che si addensano nubi sulla gestione dell’Aler. Ci sarebbero certe consulenze d’oro, come quella data ad Ugliola, l’architetto indagato per corruzione e accusatore dell’ex Presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, o le inchieste sull’Aler che coinvolgono gli ex An Romano La Russa e Marco Osnato oppure potremmo citare la vicenda dell’assegnazione di sedi a gruppi neonazisti.
Ma tutte queste cose non sembrano turbare più di tanto il sonno di Zaffra. Del resto, lui ne ha viste di tutti i colori, essendo un politico che aveva vissuto Tangentopoli da protagonista (nel senso che finì in manette, reo confesso, per tangenti), e comunque deve rispondere a chi lo ha voluto in quel posto, cioè agli uomini di Formigoni.
E rieccoci alla politica, alla cattiva politica beninteso, quella che dorme, o fa finta di dormire, se non è addirittura complice, quando corruzione e ‘ndrangheta dilagano, ma che all’improvviso si mette a sbraitare “legalità!” e “sgombero!” contro un gruppo di giovani e studenti che costruiscono attività e relazioni laddove prima c’era solo vuoto e degrado.
O forse è proprio questo il problema, cioè il fatto che esperienze come il Lambretta risultino insopportabili perché stanno dimostrando che non bisogna per forza scegliere tra la rassegnazione e la complicità, ma che c’è anche un’altra opzione, quella di rendersi autonomamente protagonisti, di farsi cittadinanza attiva, di costruire alternative e voglia di futuro dal basso. Già, esattamente alcune di quelle cose di cui la Lombardia ha urgente bisogno per uscire dalle macerie politiche e morali che 17 anni di formigonismo ci hanno consegnato.

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