Prove generali di una strage
Paolo Morando ripercorre la vicenda delle bombe del 25 aprile ’69 a Milano e di come fu costruita la “pista anarchica” poi utilizzata per piazza Fontana.
Angelo Pietro Della Savia, Paolo Braschi, Tito Pulsinelli, Paolo Faccioli, Giuseppe Norscia e Clara Mazzanti.
Alla stragrande maggioranza dei lettori di MilanoInMovimento questi nomi non diranno assolutamente nulla, forse potrebbero essere conosciuti da qualche “addetto ai lavori”, ma in fondo è normale che sia così. Il nostro, si sa, è un Paese privo di memoria…
I nomi citati poco sopra sono gli involontari protagonisti del libro di Paolo Morando “Prima di piazza Fontana – La prova generale” uscito a giugno e pubblicato da Laterza.
Si tratta di sei militanti anarchici accusati (ingiustamente, ma si scoprirà molto tempo dopo purtroppo) dalla Questura di Milano e in particolar modo dall’allora Ufficio Politico (l’attuale Digos) di essere responsabili delle bombe del 25 aprile 1969.
Pochi probabilmente lo ricordano, ma nel giorno dell’anniversario della Liberazione, nel 1969, a Milano due bombe fecero molto rumore. La prima esplose allo stand della FIAT alla Fiera Campionaria provocando 20 feriti. La seconda esplose all’interno dell’Ufficio Cambi della Stazione Centrale di Milano facendo danni, ma senza ferire nessuno.
Era un periodo complicato per l’Italia, circondata com’era da regimi autoritari (in Portogallo, Spagna e Grecia) che molti, nel nostro Paese guardavano con grande attenzione. Il ’68 studentesco aveva scosso la palude del mondo universitario e l’intera, stagnante società italiana. Di lì a poco sarebbe arrivato l’Autunno Caldo operaio. Il 9 aprile, durante un corteo contro la chiusura dello zuccherificio e del tabacchificio di Battipaglia, la Polizia aprì il fuoco uccidendo due persone: Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione e l’operaio tipografo diciannovenne Carmine Citro; dei duecento feriti cento lo furono da proiettili.
La Questura di Milano, allora guidata da Giuseppe Parlato sostituito in estate dal famigerato Marcello Guida, uomo per tutte le stagioni ed ex-direttore della colonia di confino politico di Ventotene sotto il regime fascista, agì con grande celerità e apparente efficienza indirizzando subito le indagini verso l’area anarchica e arrestando, nel giro di pochissimo tempo, sei persone accusate degli attentati.
Comodo obiettivo gli anarchici! Del resto, come si diceva in Questura, non erano stati proprio loro a mettere la bomba al Diana nel 1921?
Il libro di Morando, già autore di “Dancing Days” sugli anni del riflusso e di “’80: L’inizio della barbarie” sull’inizio del degrado morale italiano nel decennio dei nani e delle ballerine ci offre una narrazione serrata e avvincente, ricchissima di particolari e con una ricerca documentale di ampia portata.
Ne emerge la pervicacia con cui l’Ufficio Politico guidato da Allegra e Calabresi indagò sulla pista anarchica cercando in tutti i modi di collegarla alla figura di Giangiacomo Feltrinelli, l’editore rivoluzionario vera e propria ossessione della Questura milanese e non solo.
Ma le sorprese non sono ovviamente finite…
Sì perché nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1969 ben dieci bombe vennero piazzate su treni in giro per la Penisola. Otto di queste esplosero e due rimasero inesplose. La esplosioni provocarono 12 feriti. E la pista seguita dalle indagini, ovviamente, fu quella anarchica con nessuna attenzione verso quella di estrema-destra.
A queste bombe seguì l’Autunno Caldo con durissimi conflitti sul lavoro e milioni di ore di sciopero. In un’escalation di tensione, il 12 novembre, durante gli scontri generati da un improvvido intervento delle Forze dell’Ordine all’uscita da un comizio sindacale al Teatro Lirico, in via Larga perdeva la vita il giovanissimo agente Annarumma.
Il crescendo raggiunge il suo apice il 12 dicembre 1969 con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura che provocherà 17 morti e 88 feriti di cui, proprio quest’anno, ricorrerà il 50° anniversario.
Non sarà l’unica bomba di quella tremenda giornata. Nel giro di meno di un’ora altre tre bombe esplosero a Roma provocando 16 feriti. Un altro ordigno venne trovato inesploso nella sede della Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala.
Anche in quel caso le indagini seguirono immediatamente la pista anarchica con decine di fermi in poche ore. Giuseppe Pinelli, trattenuto illegalmente in Questura ben oltre l’orario di fermo consentito dalla legge precipitò da una finestra nella notte tra il 15 e il 16 dicembre. Contemporaneamente venne arrestato l’anarchico Pietro Valpreda accusato della strage.
Solo nel 1971 la magistratura indirizzerà le indagini verso i neo-fascisti veneti di Ordine Nuovo con l’arresto di Franco Freda e Giovanni Ventura. Nel giugno 2005, dopo un lunghissimo iter giudiziario, la Corte di Cassazione confermerà la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage. Entrambi però non hanno potuto essere messi nuovamente sotto processo poiché, secondo l’ordinamento italiano, essendo stati assolti irrevocabilmente dalla Corte d’Assise d’appello di Bari anni prima (che li ha condannati solo per le bombe sui treni dell’agosto ’69) non potevano essere ri-processati per lo stesso reato.
L’accuratissima ricostruzione di Morando rispolvera anche il documento pubblicato dal settimanale inglese “The Observer” a opera del giornalista Leslie Finer e ripreso da alcuni giornali (prevalentemente di sinistra) proprio pochi giorni prima del massacro di piazza Fontana. Si tratta di un documento riservato del maggio ’69 dei servizi segreti greci dell’allora dittatura dei colonnelli in cui si faceva chiaro riferimento a progetti in chiave anti-comunista messi in piedi dalle autorità italiane con una citazione diretta delle bombe del 25 aprile:
“Le azioni la cui realizzazione era prevista per epoca anteriore non hanno potuto essere realizzate prima del 25 aprile. La modifica dei nostri piani è stata necessaria per il fatto che un contrattempo ha reso difficile l’accesso al padiglione Fiat. Le due azioni hanno avuto un notevole effetto”.
Mentre ci si addentra nell’avvincente lettura del libro ci si rende via via conto del ruolo di primo piano ricoperto dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno all’epoca guidato dal potentissimo Federico Umberto D’Amato nell’intera vicenda.
È la spinta degli Affari Riservati infatti a indirizzare la Questura di Milano sulla pista anarchica.
Ed emerge con chiarezza come, nei mesi antecedenti alla strage del 12 dicembre, D’Amato e il suo uomo a Milano, Silvano Russomanno, abbiano fatto di tutto per rendere pubblicamente credibile e spendibile la responsabilità della sinistra nella strage così da avere dei colpevoli già belli che pronti e confezionati da sbattere in pasto all’opinione pubblica quando la strage fosse avvenuta realmente.
A questo punto si aprono tutti i possibili scenari che cercano di spiegare lo scopo finale della Strategia della Tensione: c’è chi, come i fascisti, sperava che la strage sarebbe stata la “spintarella” per portare a un regime militare, c’è chi, come i settori democristiani e lo stesso Presidente della Repubblica Saragat, auspicava che lo stato di tensione nel Paese avrebbe portato alla richiesta di un regime presidenziale e non più parlamentare sul modello francese; c’era invece chi voleva mandare un segnale chiaro al Partito Comunista spingendolo a più miti consigli dopo le grandi spinte di lavoratori e studenti del ’68-’69. Insomma, nella strage di Milano nulla è come sembra e gli interessi si intrecciano.
Puntualissima anche la ricostruzione del processo per le bombe della primavera ’69 che si svolse nel capoluogo lombardo tra il 22 marzo 1971 e il 28 maggio 1971 ovvero a un anno e mezzo da piazza Fontana. A uscire malissimo dal dibattimento è la Questura di Milano responsabile di aver estorto della false confessioni e di aver basato tutta la sua ricostruzione accusatoria sulla figura inattendibile e mitomane della confidente Rosemma Zublena, la cui credibilità verrà distrutta in aula dall’attento lavoro del collegio difensivo degli imputati costituito da grandi avvocati progressisti dell’epoca.
Per quelle bombe, come per quelle sui treni, verranno condannati in via definitiva i fascisti veneti Freda e Ventura.
A tre mesi dal 50° anniversario della “madre” di tutte le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese, il libro di Morando è una lettura consigliata, soprattutto per le generazioni più giovani. Un libro che aiuta a capire l’Italia di quel periodo e di conseguenza quella contemporanea, insistendo su come non si debba mai fermarsi alle cose come appaiono, o meglio, come vengono raccontate dalla narrazione dominante.
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Io ho vissuto in prima persona quel periodo, e lo ricordo come può fare una poco più che adolescente, che si è trovata a vivere le esperienze intense che sono state il 68 e il 69 per la nostra generazione, forse con ben poca chiarezza dei fatti, ma con un’unica percezione e sensazione: che si trattasse di un progetto diretto totalmente dall’alto.
Oggi leggendo questa recensione che ricostruisce con tale dovizia di particolari quelle vicende rafforzo le mie conoscenze sull’argomento e le mantengo vive. Grazie all’autore!
Grazie a te della testimonianza