Daisy Jones & The Six – Quando gli eroi erano giovani e belli

Long live rock! I need it every night
Long live rock! Come on and join the line
Long live rock! Be it dead or alive
Long live rock, the Who

“Ma questi sono i Fleetwood Mac!” ho pensato quando visto il trailer di Daisy Jones & The Six. Sì, perché le somiglianze stilistiche tra la band immaginaria di cui parla la nuova serie Prime e il gruppo angloamericano che ha sfornato Rumors, uno degli album più venduti degli anni Settanta e non solo, è impressionante. Appurato che si parlava di due gruppi musicali diversi, sono andato su Wikipedia per togliermi il dubbio che il gruppo che appariva nel trailer fosse realmente esistito. L’enciclopedia online mi ha rassicurato sulle mie conoscenze musicali: non è esistita alcuna band con quel nome!

Tocca allora fare diversi passi indietro per spiegare il complicato intreccio che ha dato il la a questa serie di 10 (per ora) episodi.

Daisy Jones & The Six è come prima cosa un romanzo. Un’opera del 2019 (ora nelle librerie italiane) della scrittrice americana Taylor Jenkins Reid, già autrice di un’altra fortunata opera come I sette mariti di Evelyn Hugo. Dal libro nasce dunque la rivisitazione per il piccolo schermo del 2023.

La storia prende il via a Pittsburgh, Pennsylvania, negli Stati Uniti della seconda metà degli anni Sessanta. Qui, un gruppo di teenager amanti della musica guidati dal carismatico Billy Dunne decide di fare quello che in tantissimi facevano in quegli anni al liceo in giro un po’ per tutto l’Occidente: mettere in piedi una band, in questo caso i Dunne Brothers. Questo anche perché, a detta dello stesso Billy, per un ragazzo americano di famiglia non abbiente della Steel City di quegli anni le alternative erano due: o andare a farsi ammazzare in Vietnam, o finire a lavorare in acciaieria.

Parallelamente alle prime avventure dei ragazzi dell’Est assistiamo anche allo sviluppo del personaggio di Daisy Jones, in California. Qui scopriamo il suo amore per la musica, le sue prime esperienze (non sempre positive) come spettatrice ai concerti dei grandi gruppi di quegli anni, il suo iniziare a scrivere testi di canzoni che, però, non è capace di portare e cantare su un palco. Ad accomunare le traiettorie esistenziali di Billy e Daisy, destinate a incontrarsi e scontrarsi facendo scintille, i difficili passati familiari.

Assistiamo quindi a una vera e propria cavalcata attraverso gli anni Settanta americani all’inseguimento del sogno di diventare delle star del rock e al comparire sulla scena di nuovi personaggi, alcuni dei quali, come la futura tastierista del gruppo Karen, molto importanti per la narrazione. Seguiamo la lenta scalata del gruppo verso il successo, che si concretizza a metà del decennio con l’aggregarsi di Daisy al gruppo di Billy che nel frattempo ha cambiato nome in The Six (imperdibile la scena in cui i componenti decidono di cambiare nome alla band).

Bisogna dare atto che la ricostruzione del clima dei Seventies è magistrale, così come lo sono i costumi. Apprezzabile anche lo sforzo di sfornare una serie di pezzi originali per un gruppo del tutto immaginario; uno sforzo complicato, perché va ricordato che si confronta con un decennio che ha creato musica incredibile a getto continuo in un’epoca in cui, musicalmente e non solo, qualsiasi cosa sembrava possibile, con produzioni di altissima qualità per il gusto di qualsiasi palato musicale. Il brano che resta più in mente e che capiterà di canticchiare è, forse, Look at us now, il singolo che, non a caso, esploderà portando il gruppo in vetta alle classifiche. Ci sono altri brani di ottima fattura, mentre altri sono destinati a scivolare velocemente nel dimenticatoio. Ma va ribadito che la sfida era veramente improba.

Chi scrive da ragazzino ha calcato il palchi milanesi suonando il basso in una band e sa bene quanto sia difficile rendere sullo schermo le alchimie che si creano tra i membri di un gruppo che fa musica, così come il vero e proprio demone che spinge a salire su un palco. Impresa difficile e qui non del tutto riuscita, ma è molto raro che un film dedicato alla musica ci riesca se non in qualche rarissima eccezione, come il magnifico The Commitments di Alan Parker. E non è un caso che il finale dell’ultimo, amarissimo episodio, capace di far succedere “tutto in una notte”, sia molto simile a quello del film del regista inglese di più di 30 anni fa.

Tuttavia non sono questi, a mio parere, i punti deboli della serie, e non lo è neppure l’utilizzo a piene mani di un bel po’ di cliché legati a quel decennio, il che, in una serie di 10 puntate, è un rischio calcolato. Se l’idea di affidare la narrazione a un immaginario documentario girato vent’anni dopo lo scioglimento, senza spiegazioni, della band per condurre la narrazione è eccellente, forse maggiore spazio e attenzione si sarebbe potuto dedicare a quella che potremmo definire “l’educazione sentimentale” della band, ovvero il percorso di formazione e di esperienze giovanili sui palchi che sono poi i momenti che spesso chi ha suonato ricorda con maggior affetto. La maggiore debolezza è l’eccessiva attenzione riservata ai due frontman della band, Billy e Daisy, al loro rapporto complesso, alla loro infelicità cronica e incapacità di godersi il successo e all’inevitabile triangolo che si creerà tra i due e la moglie di lui, la fotografa Camila Alvarez. Figura, quest’ultima, che a fronte delle mille debolezze e fragilità dei due egocentrici frontman emerge in tutta la sua solidità come vero motore immobile dell’intera storia. Inoltre, da amante degli outsider, dei mediani e di chi lavora nell’ombra caricandosi gli oneri e non gli onori, direi che un altro punto debole è l’aver sottovalutato le storie personali degli altri membri della band, ognuna meritevole di essere raccontata: dal chitarrista Graham (fratello di Billy) e tipico bravo ragazzo al simpatico batterista Warren, alfiere dell’arte di saper godere di ciò che si ha, dalla tastierista Karen, unica e fiera donna nella band, all’eterno insoddisfatto bassista Eddie, quello che sembra capirne più di tutti di musica e che, nel ’77, assistendo a un concerto punk sentenzierà lapidario più o meno così: “Questo è il futuro. Noi siamo il passato”.

In fondo, la magia del suonare in un gruppo, sta proprio nel farlo insieme e nel fatto che ognuno metta in gioco il proprio ego e la propria personalità per fare musica, per quello che può essere considerato un fine più alto. Per questo ogni membro della band meriterebbe un capitolo dedicato in quanto, quando si suona insieme, tutti sono fondamentali. In questo Daisy Jones & The Six è un po’ debole, ma per chiunque ami la musica e anche gli anni Settanta è una visione comunque consigliata.

T_B

 

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