Il sentimento del ferro – Caccia al nazista, quarant’anni dopo

“Bravo, ebreo Libowitz. Charles Darwin sarebbe orgoglioso di te!”.

Così, con una battuta e una risata sadica, lo Sturmbannführer delle SS Hans Lichtblau apostrofa uno dei due sopravvissuti a una delle scene più brutali di “Il sentimento del ferro”, il romanzo di Giaime Alonge pubblicato con Fandango Libri.

Lichtblau è un medico delle SS cui è stato affidato uno dei tanti programmi di sperimentazione scientifica (ma sarebbe meglio dire pseudoscientifica) voluti dal Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale. Per le sue ricerche vengono messi a disposizione come cavie e schiavi un gruppo di prigionieri ebrei travolti dall’infernale avanzata tedesca all’Est tra il 1939 e il 1940.

Le tre figure che guidano la narrazione sono appunto quella del carnefice e quella di due delle sue vittime: il contadino polacco Shlomo Libowitz e lo studente di medicina praghese Anton Epstein.

Il romanzo è costruito su una doppia narrazione: una ambientata durante l’intero corso della Seconda Guerra Mondiale e l’altra all’inizio degli anni Ottanta, per la precisione nel 1982.

Lichtblau è un tedesco emigrato negli Stati Uniti che, dopo la crisi del ’29, decide di rientrare in Germania irretito dalle sirene di Hitler. Nonostante la patina di medico e scienziato che il nazista tenta di darsi e nonostante le sue riflessioni filosofiche sul compito storico assegnato a uomini come lui, cioè di tentare di trovare una sintesi nel nazismo tra la visione misticheggiante (rappresentata da Himmler) e quella razionale (rappresentata da Heydrich), al dunque Lichtblau si dimostra per quello che è: uno squallido profittatore opportunista, pronto a trarre il meglio per sé da qualsiasi situazione. Il nazismo è stato sconfitto? Poco male… Con un giro di valzer ci si vende al migliore offerente, in questo caso gli Stati Uniti, riciclandosi nella crociata contro i rossi in Sudamerica e mettendo a servizio della “lotta per la libertà” i risultati degli esperimenti condotti sugli esseri umani durante l’Olocausto per poi finire a fare il narcotrafficante. Unici punti fermi: il razzismo e l’amore per la scienza nella sua versione più depravata.

Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich

I due antagonisti e vittime, che negli anni Ottanta diventeranno cacciatori, sono appunto Anton e Shlomo.

Dopo che la ferocia nazista ha inghiottito le rispettive famiglie, si trovano impiegati come schiavi-cavie-assistenti nei terribili esperimenti messi in atto da Lichtblau e dai suoi tirapiedi, vedendo morire come mosche tutti i prigionieri intorno a loro.

Nel corso di una narrazione sempre vivida assistiamo anche alla pianificazione e messa in atto della soluzione finale alla “questione ebraica”, che raggiunge il suo apice di tensione narrativa con la descrizione della Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942.

La maturazione dei due giovani li porterà a destini opposti, ma comunque accomunati dal legame indissolubile di essere stati vittime dei nazisti e sopravvissuti all’Olocausto.

Anton diventerà medico in Cecoslovacchia, credendo nel progetto salvifico del socialismo e venendo travolto nella repressione della Primavera di Praga.

Shlomo, finita la guerra , si convertirà al sionismo. Al sogno di una patria per gli ebrei di tutto il mondo. Una patria capace di difendersi, ma perché no, guidata da sentimenti di solidarietà e progresso.

I due amici, così diversi, ma in fondo così simili, si ritroveranno uniti nel fatidico 1982 nel dare la caccia a Lichtblau, riciclatosi nel frattempo con il nuovo nome di Victor Huberman. Si incontrano prima in Europa occidentale e finiscono poi in Centroamerica.

Nel 1982, mentre il mondo assiste al Mundial di Spagna, i loro sogni di gioventù sono ormai morti e sepolti.

L’esperimento socialista è ormai boccheggiante, soffocato dalla coltre di conformismo e repressione voluta da Breznev in tutto il blocco dell’est. Dell’uomo nuovo voluto dal socialismo nessuna traccia e nel crollo delle illusioni Epstein è stato colpito anche nell’intimo perdendo la moglie. Il sogno sionista, nel 1982, non se la passa tanto meglio. Israele è ormai caduto mani e piedi in un cupo militarismo e nazionalismo che scriverà una delle sue pagine più terribili proprio con l’invasione del Libano di quell’anno. Della superiorità morale ed etica sbandierata da Ben Gurion alla nascita di Israele non vi è più traccia. Al potere c’è Begin, dell’ala destra del sionismo, esponente di primo piano prima dell’Irgun e poi del Likud. Come Anton, anche Shlomo è stato colpito nei suoi affetti più cari. Durante il conflitto in Libano ha infatti perso un figlio.

Nella caccia al nazista, entrambi i protagonisti si ritroveranno catapultati nel Nicaragua sandinista della rivoluzione, dove vivranno una sorta di seconda giovinezza riuscendo, anche solo per un momento, a dare nuovamente senso alle proprie esistenze.

Sandinisti in Nicaragua nel 1979

Mentre la caccia prende corpo, Giaime Alonge costruisce un’intelaiatura di personaggi interessanti che accompagnano Anton e Shlomo nel percorso che li porterà a compiere la loro vendetta: dal nobile junker prussiano antinazista alla giovane spia del KGB figlia di un alto ufficiale, dal prigioniero di guerra inglese collaborazionista all’alto prelato che aiutava i nazisti a fuggire dall’Europa, dall’ex-agente segreto britannico diventato ufficiale sandinista alle amanti dello scienziato nazista.

Il romanzo, che in certi momenti porta alla mente alcuni passaggi di “La città dei ladri” di Benioff e di “Il potere del cane” di Winslow, con un finale per nulla consolatorio e anzi, molto dolente, termina con le immagini della Palestina nel 1948 e del massacro di Sabra e Shatila nel  1982 da cui traiamo uno scambio di battute per chiudere la recensione:

“Non abbiamo diritto anche noi ad avere una patria?”, lo incalzò Dov.

“Certo”, rispose Marc, convinto. “Però, se per avere una patria dovevamo cacciare la gente da casa sua, allora sarebbe stato più giusto prenderci la Baviera”.

Dalla gola di Shlomo sgorgò una risata spontanea. Prendersi la Baviera. Era la più stramba di tutte le idee strambe di Marc, ma era affascinante. Quello sì sarebbe stato un bel lavoro. Sbattere a calci in culo i tedeschi fuori dalle loro linde casette. Purtroppo non era all’ordine del giorno.

 

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