Roma di piombo – Diario (poliziesco) di una lotta

Dopo la morte di Moro e durante i mesi in cui avvenne l’attentato di piazza Nicosia
c’era la fila nel movimento per entrare nelle Brigate Rosse (Miguel Gotor)

Pensate ai crimini del fascismo.
Nel giro di cinque anni sono stati scarcerati decine di criminali.

C’è stato un indulto e tra il ’53 e il ’55 sono stati tutti messi fuori
(Paolo Persichetti a proposito dei militanti italiani della lotta armata ancora detenuti)

Abbiamo guardato fin da subito con molta circospezione al documentario Roma di piombo e, alla fine, abbiamo deciso di guardarlo solo dopo un post dell’avvocato Steccanella, che sul suo profilo, ai primi di ottobre, non la stroncava, ma anzi, parlava degli elementi più interessanti che si potevano cogliere nella produzione Sky.

La serie inizia dopo il sequestro Moro, a lotta armata ormai completamente dispiegata non solo al Nord, ma anche a Roma. Sì, perché quello che sembra emergere è che per un lungo periodo, per leggerezza, sciatteria, pressappochismo o scarsa percezione della realtà, negli apparati polizieschi il fenomeno della lotta armata di sinistra è stato identificato come un “fenomeno criminale” prettamente settentrionale. Al Nord ci sono le fabbriche e gli operai…ne consegue che Brigate Rosse e gruppi affini agiranno solo al Nord. Grande lungimiranza, non c’è che dire!

Dopo la mazzata del sequestro Moro l’Arma dei Carabinieri si attiva e, con la collaborazione fondamentale di chi già si stava occupando del fenomeno a Torino e a Milano, viene costruita una sezione antiterrorismo anche a Roma.

La narrazione è quasi completamente in mano ai Carabinieri che all’epoca si occuparono della lotta contro i gruppi armati di sinistra. Primo tra tutti il Colonnello Domenico Di Petrillo e poi, a cascata, tanti dei suoi uomini. Il racconto è quindi ovviamente sbilanciato e di parte, ma a fare da contraltare con efficacia al racconto degli uomini in divisa ci sono due personaggi di un certo livello delle BR romane: si tratta di Francesco Piccioni e Paolo Persichetti. Rubiamo le parole dell’avvocato Staccanella che ci sembrano perfette per descrivere la strana sensazione che si percepisce durante le cinque puntate del documentario:

“i due ex (brigatisti, ndr) sbaragliano ogni ritratto tipo che fino ad oggi ci era stato tramandato sul “terrorista, feroce assassino”. Piccioni è un interlocutore di rara empatia e arguzia romana che tutto sembra tranne che un mostro impunito e Persichetti ha una pacatezza da intellettuale e storico nel raccontare, e soprattutto spiegare, i fatti, che è impossibile non riflettere su quanto dice anche se non necessariamente condividerlo”.

Il filo del racconto ripercorre tanti eventi, quasi tutti finiti sulle prime pagine dei giornali, che hanno caratterizzato le Brigate Rosse a Roma tra fine anni Settanta e fine anni Ottanta. Si va dunque dall’assalto al Comitato Regionale della Democrazia Cristiana di piazza Nicosia del maggio ’79 (che vide l’uccisione di due poliziotti) al sequestro del giudice D’Urso, dalla rivolta al supercarcere di Trani fino all’omicidio del Generale dei Carabinieri Galvaligi, il tutto in pochi giorni del dicembre 1980. Ancora, dall’attentato al dirigente della Digos romana Nicola Simone nel giugno ’81 fino agli episodi degli anni Ottanta inoltrati come il sanguinoso assalto a un portavalori in via Prati di Papa a Roma da parte delle BR-PCC (che portò all’uccisione di due agenti di Polizia) e all’omicidio del Generale Licio Giorgieri da parte dell’Unione dei Comunisti Combattenti, entrambi di inizio 1987. Il tutto costellato da molte operazioni che vendono l’arresto di decine di militanti tra cui spiccano Barbara Balzerani nel 1985 e Antonino Fosso nel 1988. Vengono, come spesso capita, solo accennati di sfuggita i motivi profondi che portarono centinaia di persone a intraprendere la strada della lotta armata, così come è trattato solo tangenzialmente il tema della rottura dell’unità delle BR a inizio anni Ottanta e la nascita di diverse organizzazioni dal tronco principale.

Aspetti estremamente interessanti che emergono sono a nostro parere quelli di tecnica/sapere poliziesco: come, mutuando lo stile dei brigatisti, gli stessi Carabinieri si siano dati nomi di battaglia; il ruolo svolto dal PCI (soprattutto dopo la sciagurata uccisione del delegato della CGIL dell’Italsider di Genova Guido Rossa, accusato dai brigatisti di essere una spia per aver denunciato all’autorità giudiziaria un collega di lavoro che distribuiva in fabbrica volantini dell’organizzazione armata, da parte della colonna genovese delle BR) nell’infiltrazione grazie al ruolo fondamentale giocato da un suo militante romano; l’utilizzo della “balena”, il furgone all’interno del quale un nucleo di Carabinieri scattava centinaia e centinaia di fotografie durante giornate intere di appostamenti  (impressionanti le foto d’epoca dei brigatisti e brigatiste pedinati); il ruolo fondamentale giocato dai pentiti (si cerca di sorvolare sulla vicenda di via Fracchia del marzo ’80) che non solo si rivelarono una vera e propria miniera d’informazioni, ma furono portati in giro per la città dai CC (una vicenda già trattata da Sergio Segio di Prima Linea nei suoi libri) per riconoscere eventuali militanti della lotta armata ed eseguire quello che, in gergo poliziesco, era chiamato “l’acchiappo”; l’utilizzo, a dire il vero discutibile, dei familiari degli stessi Carabinieri in alcune operazioni; la vasta gamma di “sapere guerrigliero” accumulato in anni e anni di lotta armata in Italia, come le tattiche di contro-pedinamento, l’utilizzo dei telefoni pubblici, gli “appuntamenti di recupero” e tanto altro.

Quel che emerge è il ritratto di un Paese in rapida trasformazione dove la sconfitta politica di tutti i movimenti degli anni Settanta (che fossero in tuta blu o col passamontagna poco importa) porta a una rapidissima desertificazione sociale e a un rapido mutamento dei rapporti di forza all’interno della società. La voce narrante dei Carabinieri, cresciuti con il mito del Generale Dalla Chiesa, arriva alla fine a un non si sa se più o meno consapevole “onore delle armi” ai militanti della lotta armata.

Dobbiamo confessare che abbiamo preferito, sempre sul tema Brigate Rosse, il documentario Il sequestro Dozier – Un’operazione perfetta, ma va detto che, nel quadro desolante e raccapricciante dell’attuale informazione italiana anche questa docufiction riesce a volare più alto rispetto al deprimente scenario generale.

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