La materialità del conflitto
Gli spazi di agibilità politica. Fuori dalle logiche predeterminate, vivere le contraddizioni, occupare gli spazi politici aperti, fare movimento.
Scriviamo, senza presunzione alcuna, per proporre alcuni ragionamenti sulla molteplicità delle forme del conflitto e sulla legittimità e necessità di praticarle.
Viviamo in una città ormai asservita alle logiche commerciali e di profitto, terreno di segregazione sociale ed economica, ma anche di sperimentazione di nuove forme di diritto, di riappropriazione dello spazio e dei tempi di vita.
Una metropoli, quella delle speculazioni e dell’asservimento economico, da decostruire con la materialità del conflitto, con le pratiche e con la costruzione di un sempre più articolato discorso politico.
Si tratta di un territorio in cui i diversi soggetti del suo governo, bel lungi dall’essere identificabili nella sola Giunta di Palazzo Marino ed invece assai più complessi e articolati, determinano costantemente politiche di restrizione delle libertà e negazione dei diritti contro le quali ci opponiamo quotidianamente.
In questo vivono e si legittimano pratiche come le occupazioni (abitative e sociali) che utilizziamo e utilizzeremo come strumento di resistenza, ma anche come costruzione, nel qui e ora, di forma di vita e organizzazione alternative.
La quotidianità delle lotte per i diritti, nonché la creazione di alternative alla società della normalizzazione e della pacificazione, è una prova di quanto la materialità sia incisiva nello spazio politico che decidiamo di attraversare.
In questo momento c’è la necessità di costruire un laboratorio che possa elaborare un discorso politico comune, che parli di autogestione delle risorse, di diritto alla città, di come rendere partecipi di questa discussione tutte le persone e i soggetti che vivono e resistono all’interno della metropoli.
Di questo crediamo che la nostra materialità debba essere portatrice all’interno di diversi spazi politici.
Sedersi quindi ad un tavolo di lavoro sugli spazi sociali con l’amministrazione? Se questa è la domanda la risposta non potrebbe che essere “Anche no, grazie!” Ma noi crediamo che sia proprio la domanda, posta in questi termini, ad essere sbagliata. Non si tratta di scegliere fra il praticare il conflitto oppure sedersi a discutere. Attraversare le contraddizioni, agire e praticare conflitto, fare movimento: questo è ciò che abbiamo scelto. Una scelta che prova a rispondere quindi a domande diverse, più complesse e al tempo stesso stimolanti.
Rifiutiamo la dicotomia apparente secondo la quale da un lato ci sarebbe il tavolo di lavoro proposto dal comune, e in esso la pacificazione, l’annullamento di ogni conflittualità sociale e politica, l’asservimento alle logiche di compatibilità e differenziazione, e dall’altro ci sarebbe lo starne aprioristicamente fuori, e in questa scelta vivrebbero l’autonomia, l’indipendenza, la radicalità.
Crediamo sia una dicotomia errata per diversi motivi. Innanzitutto abbiamo ben presente, in diverse città italiane (per non parlare della situazione a livello europeo) svariate esperienze che hanno o hanno avuto relazioni con la dimensione istituzionale e/o assegnazioni degli spazi sociali occupati e che sono al contempo esempi forti e significativi dal punto di vista della capacita di produzione autonoma di conflittualità sociale, politica, culturale.
Viceversa sappiamo che esistono luoghi che, nonostante il nominale o sostanziale status di occupati, poco o nulla hanno a che vedere con la capacità di essere promotori di vitalità politica, sociale e culturale.
Non crediamo sia quindi l’eventuale condizione formale o sostanziale di relazione tra una collettività e lo spazio che abita a definirne il grado di radicalità o indipendenza politica.
Cosi come non pensiamo che sia la relazione in sè con l’istituzione a farlo.
Uno dei movimenti più significativi dell’ultimo anno, quello per il diritto all’abitare, ha concluso una manifestazione chiedendo e ottenendo un incontro col governo, ed è sicuramente un movimento che sta esprimendo un livello altissimo di lotta, condiviso e praticato diffusamente. Uno dei movimenti più importanti degli ultimi anni, quello contro il Tav in Val Susa, è addirittura composto anche da soggetti delle istituzioni, sindaci e consiglieri comunali dei comuni della valle, e nessuno si sognerebbe mai di dire che quel movimento per questa sua composizione non esprima radicalità, autonomia, capacità di produzione di conflitto.
Per non parlare di quella miriade di vertenze territoriali e ambientali piuttosto che di lotte specifiche sui posti di lavoro che hanno, nel loro svolgersi, concludersi, e a volte magari anche vincere, attraversato tavoli di lavoro con le controparti aziendali, istituzionali, a tutti i livelli.
Cos’è quindi che può determinare la coesistenza e un rapporto virtuoso tra la capacità di promuovere cambiamento, conflitto sociale e radicalità politica da un lato e la capacità di saper attraversare anche livelli istituzionali?
Noi crediamo sia innanzitutto la capacità di avere sempre al centro la promozione di istanze di movimento come perno del proprio agire.
Allo stato attuale quindi, per noi, realtà relativamente nuove, con già due sgomberi alle spalle in nemmeno tre anni e altrettanti paventati e imminenti, la scelta non è tra il chiuderci nella stanza della presunta concertazione o in quella della presunta purezza.
La scelta che facciamo è di essere, fare, praticare movimento, occupando spazi e quando serve occupando anche lo spazio politico aperto con questo tavolo di lavoro.
Perché per noi dentro quest’ottica la proposta avanzata dal Comune non è un patto da sottoscrivere, un pacchetto predefinito da accettare, bensì uno spazio politico ulteriore a quelli che già pratichiamo in cui agire conflitto, sostenere autonomia e indipendenza, far valere e vivere progetti sociali.
Questo potrà voler dire, di volta in volta, decidere quando avrà senso esserci per intervenire e quando per contestare, quando non esserci e quando invadere gli incontri con cortei e azioni, ovvero quali saranno di volta in volta le modalità migliori di far vivere, eventualmente anche in quel luogo, i conflitti sul tema spazi di cui siamo, insieme a tanti altri, portatori.
Siamo e saremo portatori di questa materialità, nei luoghi, negli spazi e nei tempi necessari, affinché le nostre pratiche di resistenza possano trasformarsi in virtuose pratiche di costruzione d’alternativa.
Zam – Zona Autonoma Milano
Lambretta
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