Al lavoro al contrario: tornano quelli al Nord e solo uomini
Il mondo alla rovescia, dove lavorare fa rima con rischiare. Lunedì torneranno al lavoro 4,4 milioni di persone. La maggior parte però nelle regioni più a rischio, a farlo saranno naturalmente le categorie più a rischio – gli over 50 – mentre coloro che sono più a rischio povertà rimarranno a casa, mentre come al solito le più penalizzate saranno le donne.
La stima è del Centro Studi dei Consulenti del lavoro utilizzando dati Istat. La ripresa delle attività produttive «si concentrerà proprio nelle aree più interessate dal Coronavirus»: ben 2,8 milioni di lavoratori al Nord, pari al 64 per cento del totale. Al centro saranno solo 812mila, mentre al Sud 822mila. Tra le regioni interessate, si legge nello studio dei professionisti, «Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto e Marche, dove il tasso di rientro oscilla intorno al 69%». Differenti le percentuali nelle altre zone del paese, ossia «in Valle d’Aosta (49,3%), Lazio (46,7%), Sicilia (43,4%), Calabria (42,5%) e Sardegna (39,2%)»: qui, recita il dossier, la Fase 2 coinvolgerà meno di un lavoratore su due tra quelli «sospesi» per effetto dei decreti del governo.
Dall’analisi affiorano ancora altre situazioni «paradossali». «Malgrado il dibattito nazionale sull’opportunità di prevedere rientri differenziati per tutelare maggiormente la popolazione più adulta», l’età degli occupati che ripartono è (indubbiamente) avanzata: su «100 occupati in settori «sospesi», a rientrare saranno il 68,7% dei 50-59enni, il 67,1% dei 40-49enni, il 59% dei 30-39enni ed il 48,8% degli under30». Inoltre, viene evidenziato nella ricerca (effettuata dai professionisti a partire dai microdati delle forze lavoro Istat), è elevata pure la quota degli addetti over60 (pari al 60,1%) coinvolti dal nuovo corso dell’emergenza sanitaria da Covid-19. L’indagine si sofferma poi sulle modalità di svolgimento degli incarichi: solo nel 36,6% dei casi i lavoratori chiamati a riprendere le proprie attività potranno farlo in smart working meno rischiosa, mentre al contrario «la maggior parte (63,4%), viste le caratteristiche del proprio impiego, non potrà farlo che stando in sede» e dunque rischiando di più.
Su 100 addetti «fermi» fino ad oggi in Italia per effetto dei provvedimenti governativi di sospensione delle attività a causa del Coronavirus, «il 62,2%» andrà nuovamente da domani a svolgere la propria occupazione.
La disuguaglianza di genere è ancora più marcata. Su 4,4 milioni di lavoratori totali che rientrano, ben «3,3 milioni sono uomini – pari al 74,8% – solo 1,1 milioni donne – il restante 25,2%.
Molto indicativa anche la suddivisione per settori. La Fase 2, scrivono i consulenti del lavoro, «interesserà principalmente i dipendenti dell’industria, dove l’attività potrà tornare a pieno regime (col 100% dei settori riaperti)». Su 100 addetti che riprenderanno il 60,7% opera «nel settore manifatturiero, il 15,1% nelle costruzioni, il 12,7% nel commercio e l’11,4% in altre attività di servizio».
E proprio nella manifattura si registrano i primi problemi di sicurezza a partire dai trasporti per raggiungere il luogo di lavoro. È accaduto alla Sevel di Atessa, gruppo Fca, la prima grande fabbrica – oltre 6mila addetti – a riaprire. Il segretario generale della Fiom di Chieti Alfredo Fegatelli chiede protocolli dopo la vicenda dell’operaio della Val di Sangro al quale due giorni fa al momento di entrare in fabbrica è stata riscontrata la temperatura di 38 gradi e a quel punto l’uomo è tornato a casa prendendo l’autobus utilizzato da altri lavoratori del turno smontante. «La Regione che decide di far ripartire 10mila persone (indotto compreso, ndr) ha bisogno di trovare un’organizzazione – dice Fegatelli. Si dovrebbe prevedere di misurare la febbre ai lavoratori prima di salire sugli autobus. E sui mezzi di trasporto c’è un problema serissimo: non esiste uno standard che dice quante persone devono stare sull’autobus.
Lunedì rientreranno in fabbrica 80mila metalmeccanici nella provincia di Torino, pari al 70% della forza lavoro del comparto nel torinese. Tra le aziende ci sono Valeo, Ibs, Fontana, Magnetto, Skf, Federal Mogul, gruppo Fca, Magneti Marelli, Cnh industrial, Dyco, Italdesign, Dana, U-Shin, Oma, Avio, Thales Alenia Space.
«I primi giorni saranno determinanti per capire se i provvedimenti saranno applicati correttamente negli uffici e nelle officine. Per noi la priorità assoluta rimane la salute dei lavoratori, dopo viene tutto il resto», afferma Edi Lazzi, segretario generale della Fiom di Torino «Per questo – aggiunge – saremo intransigenti nel fare rispettare ciò che è stato concordato. La nostra attenzione sarà soprattutto rivolta alle aziende in cui non siamo presenti con i delegati. Forniremo le informazioni ai lavoratori e laddove ci perverranno segnalazioni di mancata applicazione delle misure del Protocollo nazionale non esiteremo a intervenire perché siano attivati i dovuti controlli, fermando le attività non in regola».
di Massimo Franchi
da il Manifesto del 3 maggio 2020
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